Nel pomeriggio di giovedì 15 agosto l’arcivescovo Gian Franco Saba ha presieduto il Pontificale nella Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria nella cattedrale di San Nicola a Sassari.

Riportiamo di seguito l’omelia integrale dell’arcivescovo:
<< “Maria è uno specchio per ognuno”

Così nei primi secoli della Chiesa Sant’Ambrogio in un suo scritto definisce il grande mistero di Maria. Anche noi siamo chiamati a specchiarci in Lei come ci ricorda San Giovanni Paolo II nel suo bel testo “Redentoris Mater”. Per questo, in occasione della solennità della Beata Vergine Maria Assunta in cielo, troneggia qui, dormiente, segno luminoso per il popolo di Dio in cammino. Prosegue Sant’Ambrogio ricordandoci che coloro che aspirano ai suoi privilegi sono chiamati ad imitarne il suo esempio.

Perciò la dimensione del privilegio di Maria è profondamente unita con il mistero del cammino di Maria con la sua esperienza di sequela, e noi viviamo in questo momento la tappa della sequela guardando al progetto realizzato di colei che è madre di Dio, nostra madre ma anche perfetta discepola di Cristo e quindi specchio per ogni discepolo e ogni discepola del Signore.

Lo è in modo particolare in un tempo nel quale il santo padre Francesco invita ogni battezzato a riscoprire il suo essere discepolo missionario, invita ad essere missione. Ogni battezzato è in missione e perciò ci specchiamo in Maria che il concilio Vaticano II chiama anche “icona per comprendere sempre meglio qual è la nostra vocazione e qual è la nostra missione”.

L’immagine dell’icona è un’ immagine che è molto più profonda di quella di un quadro perché non si tratta di un semplice ritratto, si tratta di una raffigurazione che evoca dimensioni della vita di Colei che sta davanti a noi perché anche noi possiamo stare davanti a Lei in una circolazione di grazia e di luce. La prima lettura tratta dal testo dell’Apocalisse ci invita ad ascoltare questa parola in un’ampia prospettiva che è la storia della salvezza. Così anche noi siamo chiamati a chiamare Maria, a guardarla, a invocarla dentro una storia di salvezza, quella già avvenuta, quella che è in corso.

La storia di salvezza dentro la quale anche noi eravamo pensati ma che oggi ciascuno di noi è chiamato a vivere col proprio nome, con la propria soggettività. L’immagine che desidero evocare di questa donna, che il libro dell’Apocalisse presenta a noi, nel cielo, che mostra una finestra aperta, è quella di una donna vestita di sole con la luna sotto i suoi piedi. Maria è chiamata donna per esprimere attraverso questo messaggio non soltanto la sua dimensione umana ma quello che è il mistero del popolo di Dio in cammino. Maria è la donna segno della Chiesa, la Chiesa che è madre, la Chiesa che è anche discepola e Dio riveste questa donna che è la Sua sposa con preziosi ricami, la riveste di luce, è rivestita di sole.

Non si tratta semplicemente di un qualcosa di luminoso, di un faro esteriore:
risplendono in Lei i tratti profondi della grazia di Dio, di Cristo, sole nascente dall’alto, di Colui che è la primizia dei risorti da morte. In lei contempliamo questa luce, la luce che diventa per noi il faro, che orienta il nostro cammino. Vestita con preziosi ricami. È l’opera di Dio verso la sua sposa. Sono le parole che nell’Antico Testamento spesso ricorrono per descrivere l’amore di Dio nell’alleanza con Israele. Lo avvolge con gli ornamenti dell’amore. Nella stessa creazione Dio fece l’uomo e la donna. Poi fece per essi tuniche di pelli e li vestì.

È bello l’abito che Dio dona alla creatura umana, è bello l’abito che Dio dona a Maria e in Lei possiamo vedere compiuto quel mistero, quell’abito che si fa generando giorno dopo giorno nella ferialita’ , nella vita di ciascuno di noi. Ecco perché questa festa ci immette in una dinamica discepolare. Siamo chiamati ad essere discepoli soggettivamente e comunitariamente come Chiesa. La Chiesa è madre ma è anche discepola del suo Signore.

La rigenerazione della Chiesa, il rinnovamento della Chiesa, non può che nascere e avvenire attraverso una feconda esperienza discepolare. Questa donna che appare come segno grandioso è una donna che è incinta, vive l’esperienza della gravidanza. Essa contiene in sé qualcosa che deve nascere, vive una situazione di attesa ancora di non pieno compimento e di propensione verso il futuro e verso la generazione di una vita. L’evocazione di questa immagine mostra proprio il mistero della Chiesa, l’aspetto generativo della Chiesa. La Chiesa è in uno stato permanente di gravidanza per generare la vita di Dio nei suoi figli, nel suo volto, nella sua missione.

Questo ci dice che il nostro percorso non è mai compiuto, è sempre orientato verso una vita più piena, verso una vita più intensa, che poi sarà la vita eterna. Questa prospettiva ci aiuta a leggere in una chiave profondamente pasquale l’invito che il Santo Padre rivolge alla Chiesa oggi: l’invito ad essere rigenerativa. Spesso il Papa ci ricorda che la rigenerazione di cui oggi ha bisogno la Chiesa non è un fatto meramente sociologico, ma è veramente un’adesione all’azione dello Spirito Santo. E perciò come Maria è stato un segno compiuto, bello, di questa donna, di questa gravidanza che ha generato una vita, il verbo di Dio fatto carne, così la Chiesa nel tempo è chiamata a generare Cristo perché sia dispensato ai suoi figli. Il mistero della Chiesa perciò è un mistero di gestazione, è un mistero di accoglienza, è un mistero di cura della vita, è un mistero di dedizione umile per essere arca dell’Alleanza.

Chi siamo noi come Chiesa? Quale Chiesa vogliamo essere? Quale volto della Chiesa? Quale missione di Chiesa?

Ecco, Maria ci mostra quale è la via. La via di Colei che accoglie il figlio, ma quest’opera – ci ricorda il testo dell’Apocalisse – non avviene senza fatiche. Maria era incinta, gridava per le doglie, per il travaglio del parto e poi davanti ad essa vi è un enorme drago rosso.

Indubbiamente, ogni opera, ogni cammino discepolare, ha le sue fatiche e i suoi ostacoli. E così, come Maria, nella sua esperienza terrena, ha vissuto le sue fatiche umane come creatura, anche la Chiesa sposa del Cristo vive le sue fatiche. E anche noi oggi viviamo le nostre fatiche sponsali nella relazione con Cristo, ma fiduciosi che colui che guida l’opera è lo Spirito Santo.

Così guardando Maria noi guardiamo noi stessi, guardiamo la nostra vocazione e scopriamo di essere chiamati non alla sterilità ma alla fecondità: una Chiesa feconda e non solo, anche una Chiesa in uscita.

Maria, nel testo evangelico, appena ricolma della grazia dello Spirito di corsa va verso la cugina Elisabetta per leggere i segni di Dio. E abbiamo questo abbraccio, l’abbraccio della giovane Maria con l’anziana Elisabetta. La giovane abbraccia l’anziana. Colei che è stata resa feconda nella giovinezza abbraccia colei che è stata resa feconda nella sterilità dell’anzianità. Questo è anche il mistero della Chiesa, un progressivo avanzamento del progetto di Dio. Occorre avere fiducia profonda perché il Signore può rendere sempre feconda la vita della Chiesa. L’incontro tra Maria ed Elisabetta mostra che la regia di tutta questa opera non è né di Maria né di Elisabetta, è dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo suscita vita nuova, lo Spirito Santo suscita nuovi cammini, li orienta, apre le orecchie, dona le parole, lo Spirito Santo pone in cammino. Senza lo Spirito Santo, la carne e il sangue non possono concederci di dire che Gesù è il Signore, che Egli è il risorto. Senza lo Spirito Santo, la Chiesa è solo un’istituzione terrena.

Maria ci mostra tutto questo grande mistero, in Lei evocato, in Lei portato mirabilmente a compimento in modo singolare, per noi quotidianamente evocato perché chiamati a leggere l’opera di Dio nella nostra vita quotidiana. Lo Spirito Santo, abbiamo detto, che suscita una vita nuova. L’immagine del grembo chiamato alla gestazione, l’immagine del cammino, dell’abbraccio, dell’incontro, ci aiutano a comprendere l’esortazione del Santo Padre nell’Evangelii Gaudium.

Tutti i cristiani sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. In quest’ottica, Maria, fedele discepola di Cristo, ci dice che non vi è una vocazione solo per alcuni e per altri no, ma tutto il popolo di Dio, non solo collettivamente ma soggettivamente, è chiamato a rispondere ad una vocazione personale, a una vocazione soggettiva. In una cultura nella quale la vita è spesso soggetta al dominio tecnocratico, parlare di vocazione e di mistero sicuramente ci aiuta a comprendere l’aspetto del mistero di Maria e anche della nostra vita e quindi la dimensione generativa di Maria ci aiuta a promuovere e a generare e a coltivare leadership attente a generare nel nostro tempo un nuovo umanesimo dell’incontro.

Il Magnificat che Maria ha cantato e che l’autore del testo ci ha consegnato “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva” possiamo ritenerlo un vero e proprio manifesto che apre a un nuovo sguardo dell’umanità sul mondo.

Il Magnificat possiamo ritenerlo il cantico di un nuovo umanesimo, dove la potenza di Dio non si contrappone alle qualità umane, dove le creature umane sono chiamate a rapportarsi le une alle altre nell’amore, nella bontà e nella misericordia. Egli disperde i superbi, rovescia i potenti, innalza gli umili e ricolma di beni gli affamati.

Alla luce di questo mistero, quale leadership, quali ministerialità, quali servizi, quale governance per la nostra comunità Maria ci suggerisce?

Ne tratteggio qualche elemento.

Anzitutto leadership che si prendano cura della vita con lo stile di Dio e di Maria. L’apertura all’altro, superando la logica del piccolo gruppo, sia esso sociale, culturale o religioso, per ragionare nella logica di appartenenza ad un’unica famiglia umana. Leadership che promuovano la gratuità come larghezza di cuore, una prospettiva di valutazione affettiva e intellettiva che allarga l’orizzonte. È un’attitudine che orienta a puntare su logiche a lungo termine, più ampie rispetto ad angusti e ristretti progetti, più larghe rispetto al proprio “io” isolato, più larghe rispetto al solo principio dell’avere e del possedere momentaneo, del godere istantaneo.

E poi leadership capaci di prossimità: quelle che vanno oltre il calcolo, che trasmettono una larghezza di cuore per una visione a lungo termine. Leadership leali, sincere, trasparenti, pulite e luminose come Maria. La capacità di leadership che sanno investire nel tempo e a lungo tempo, sapendo che tutto è compiuto ma che tutto sarà portato a compimento>>.