Martedì 13 agosto, a Tissi, si è svolto il funerale di Don Matteo Bonu, sacerdote della parrocchia di Santa Vittoria nel piccolo centro del Coros. La Santa Messa è stata presieduta dall’arcivescovo Gian Franco Saba alla presenza del Capitolo Turritano e delle autorità civili del territorio.
Si riporta di seguito l’omelia integrale dell’arcivescovo Saba:
<< In questa Eucaristia salutiamo il nostro Don Matteo, ma egli è qui con noi perché nella comunione dei santi è spiritualmente unito a questa liturgia, una liturgia terrena che ha presieduto e guidato esercitando il ministero presbiterale in diverse forme e in diversi luoghi, ma principalmente come parroco. Noi tutti possiamo rievocare alcuni tratti della sua vita.
Nacque a Sassari il primo novembre del 1961, e battezzato a Cossoine l’8 novembre dello stesso anno. Fu ordinato diacono il 6 settembre del 1987 a Cossoine. Svolse l’esperienza diaconale per un congruo tempo a Ossi nella parrocchia di San Bartolomeo. Fu poi ordinato presbitero il 25 ottobre nella Basilica di Santi Gavino Proto e Giannuario a Porto Torres. Il 24 novembre del 1991 il Vescovo Mons. Isgrò lo nominò vicario parrocchiale a San Pantaleo Martire in Sorso, dove svolse anche il servizio di insegnante di religione nelle scuole medie pubbliche. Dal primo settembre del 2001 fu parroco di Giave, successivamente dal 2005 al 2018 parroco a Bonannaro e Borutta e dal 20 ottobre 2018 – come di solito mi diceva – “come un fulmine a ciel sereno” parroco qui a Tissi. In questi anni è stato vicario foraneo della Forania del Coros, svolgendo questo servizio in comunione con il Vescovo e con le comunità, percependolo come un progressivo, faticoso, ma necessario cammino per comprendere alla luce di Dio quale cambiamento è richiesto in questo momento storico nella conduzione delle nostre comunità. Pur non nascondendone le fatiche, mai si è tirato indietro nella partecipazione ad appuntamenti e incontri, che potrebbero e sarebbero potuti apparire quasi un perdi tempo nel sottrarre alla pastorale ordinaria il tempo per il rapporto diretto con il popolo, ma estendendo così un servizio a beneficio della Chiesa diocesana.
Caro Don Matteo, di questo ti sono grato e te ne sono anche per il rapporto filiale vissuto con me in questi anni di condivisione. L’ultima volta che mi son potuto recare a fargli visita, perché poi non era più possibile, mi disse – ormai ben consapevole anche della sua situazione molto declinante – “generalmente noi andiamo a portare Gesù agli ammalati. Questa volta lei è venuto a visitare Gesù”.
Aveva capito che era entrato nella situazione del Cristo non solo sofferente, ma fragile; del Cristo segnato dalla croce e segnato probabilmente anche da una conclusione che spesso intravedeva, seppur custodendo la speranza di ciò che il trapianto del polmone avrebbe potuto significare. In questa circostanza credo di poter esprimere un pensiero di grande gratitudine ai primari delle Cliniche Universitarie di Sassari che con paterna cura e professionalità si sono adoperati per accompagnare questi tratti dell’esistenza di Don Matteo.
Abbiamo concluso la visita pastorale in questa comunità da poco, da neanche un anno, e la visita pastorale è ancora in corso. Abbiamo visitato le vie di questo paese insieme ed era lontano dall’umana immaginazione personale che oggi ci saremmo trovati qui per questa celebrazione. Anche questo ci ricorda che noi siamo servitori nel tempo ma il custode e il signore del tempo è Dio. E così nelle sue mani e nella sua volontà troviamo la nostra pace e la nostra serenità.
La liturgia che noi abbiamo ascoltato nella prima lettura tratta dal libro del profeta Ezechiele ci ricorda proprio il dono della missione. Il Signore sceglie nella comunità qualcuno perché si metta in ascolto di Lui per essere inviato perché poi il popolo lo ascolti in suo nome. È questo mistero che la vita del profeta ci descrive. Avviene dentro una vita storica, talvolta dura e complessa. Perché il profeta inviato ad annunciare la parola del Signore dovrà fare i conti con un popolo che non ascolta. Non è soltanto il segno del popolo di Dio, ma di ciascuno di noi, di ogni persona, di ogni individuo che viviamo la fatica di entrare nella logica del discepolato. Ma colui che ha inviato non dovrà parlare con i propri linguaggi ma con il linguaggio di Dio, dovrà parlare con le sue parole e perciò Ezechiele è invitato a mangiare e per ben due volte. Egli mangia, ed è un’azione importante, perché solo dopo aver mangiato il rotolo del libro, egli poi può andare e può parlare. Egli è il figlio dell’ascolto, è chiamato così ad affrontare la fatica della missione, ed egli stesso deve divorare quel libro, quel libro ampiamente scritto dal Signore della Vita. Ogni invio è preceduto da questo atto, da questo processo. Questo processo di discepolato avviene anche nella conoscenza di ogni vocazione, di ogni missione nella Chiesa. La missione non è un atto magico, il nostro essere discepoli missionari, come ama dire Papa Francesco, è il frutto di questa esperienza profonda. Non a caso qui oggi sulla bara di Don Matteo vi è il libro aperto. Quel libro del quale egli si è nutrito.
Vi era un luogo che egli amava frequentare tanto, il monastero di S. Pietro di Sorres, nell’esperienza della lezione divina, nel nutrimento della parola di Dio e credo che egli avesse consapevolezza che la missione fosse segnata da questo nutrimento.
Dice il profeta: “aprì la bocca e mi fece mangiare”.
Il profeta non è costretto, è invitato e si nutre abbondantemente dopo aver compiuto un gesto libero, un rotolo nel quale vi sono scritti anche elementi che comportano la sofferenza, la fatica di quella missione. Conteneva lamenti, pianti, guai, ma si trasforma nella dolcezza simile al nutrimento del miele. È la parola che rigenera le viscere del profeta, dell’inviato, nutrita dal miele della Parola di Dio. La perseveranza della missione non è posta in altre strategie, in altri mezzi, non è posta nella perfezione umana, non è posta nelle qualità singolari e soggettive, ma è posta in questo atto di nutrimento che diventa trasformativo per la missione, potremmo dire che la perseveranza nella missione e anche nel ministero ordinato non è frutto delle nostre umane qualità.
Il cibo disceso dal cielo ci conduce, ci accompagna, ci sostiene e mentre presediamo l’Eucaristia annunciando la parola e donando il cibo eucaristico noi stessi ci nutriamo di quel nutrimento che doniamo al popolo santo di Dio. E così le imprese della missione sono possibili perché la parola del Signore opera efficacemente. Ci ricorda San Gregorio Magno: ”chi altro sono le viscere del ventre se non l’interiorità dello spirito?”Infatti la parola deve cadere in profondità perché il cuore dell’uomo, il cuore del profeta sia trasformato.
Alla luce di questa esperienza credo che possiamo comprendere il ministero sacerdotale. Perché siamo qui certamente per consegnare Don Matteo all’ultima dimora terrena, ma anche per rendere grazie di una vita offerta, donata e vissuta a beneficio e a servizio di Dio e della sua Chiesa. Il nostro sacerdozio è un sacerdozio di partecipazione all’opera del Signore risorto, è un dono, che mantiene sempre il sapore della gratuità.
È una sfida profetica in un mondo particolare dove si è chiamati a presiedere con l’arte dell’accompagnamento. E questo è l’altro aspetto che desidero sottolineare di Don Matteo. Nel suo trasferimento egli disse: “sì, sarei rimasto volentieri a Bonnanaro e a Borutta, ma vado là perché io devo solo farmi compagno di coloro che devono incontrare il Signore”.
E quindi non ci sostituisce al Signore ma ci si mette al suo servizio. Altro elemento che credo rimanga per noi una testimonianza, un dono, un buon fermento e perciò si è messo a servizio e a disposizione. È un dono che il Signore ci fa comprendere proprio celebrando l’Eucaristia nelle parole dell’istituzione.
“Questo è il mio corpo offerto per voi. Questo è il mio sangue versato per voi.”
In questo mistero di donazione si trova anche il mistero della grazia della libertà. Una libertà piena, totale e assoluta. Una libertà anche di relazioni.
Don Matteo possiamo definirlo, credo, un presbitero del popolo. In questi anni ho potuto riscontrare un amore particolare per la gente che lo portava a stare lungo le vie, lungo le strade, nelle case, nei luoghi di svago e anche in altri luoghi di sofferenza e di dolore. il ministero e il servizio dei sacerdoti è un ministero di accompagnamento della comunità. Egli tuttavia non sottraeva il tempo – ho potuto capire – dall’ascolto della Parola. In questi anni che sono qui a Sassari ho notato la sua partecipazione abituale agli esercizi spirituali dei preti diocesani, e vi partecipava quasi “come un seminarista”, mettendosi in un atteggiamento di semplicità; infatti nei momenti di condivisione emergeva questo spirito semplice, umile, ma non banale. Ascoltare, e fondare il ministero sulla parola. Credo che questo sia un aspetto del tratto della cura di sé. Forse Don Matteo si è preso cura di sé dal punto di vista spirituale, credo un po’ meno dal punto di vista fisico. Egli stesso mi disse: “ho sottovalutato questi sintomi, ho sottovalutato queste sofferenze”.
E allora il Signore voglia benedire questo sacrificio, voglia illuminare di luce eterna questa vita donata e voglia anche renderci coscienti e consapevoli che il Signore invita ancora oggi uomini e donne a seguirlo nella via della missione e in modo speciale ragazzi, giovani, adulti a seguirlo nella via del Ministero Presbiterale.
Nelle nostre comunità ci si domanda e si chiede il dono del presbitero, ma ogni comunità è chiamata ad essere generativa anche rispetto al dono del ministero ordinato. La presenza profetica dei presbiteri nelle parrocchie come ministero di accompagnamento non si improvvisa, non nasce dall’oggi al domani, non è frutto di un’azione miracolistica, è frutto di un cammino di accompagnamento, di dialogo tra la libertà umana e la grazia di Dio.
Vogliamo chiedere al Signore che mentre Egli oggi ha un altro figlio di questa chiesa Turritana nel cielo, voglia suscitare altri giovani e altre persone generose che si lasciano interpellare dall’invito a portare la parola di Gesù.
Il Signore susciti, in questo processo di riforma ecclesiale che il Papa ci invita a vivere, l’ardente desiderio di coltivare i doni della chiamata di Dio. E tutto il bene che Don Matteo ha seminato con la sua dedizione, la sua bonomia, il suo spirito anche di goliardia e di compagnia venga trasformato in benedizione per tutti>>.