Nel pomeriggio di venerdì 25 ottobre, nella Basilica dei Martiri Turritani, a Porto Torres, l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione eucaristica in occasione della Festa liturgica dei Santi Gavino, Proto e Gianuario, Patroni della Città di Porto Torres, dell’Arcidiocesi Metropolitana e della Provincia Ecclesiastica di Sassari. Nel corso della celebrazione l’Arcivescovo ha conferito il ministero dell’Accolitato al signorAntonello Spanu, candidato al Diaconato permanente.
Di seguito si riporta l’omelia integrale dell’arcivescovo.
«Il Dies Natalis dei nostri patroni, in modo particolare di San Gavino, al quale vengono associati anche Proto e Gianuario, offrealla nostra Chiesa Turritana l’opportunità per ascoltare la Parola di Dio, sollecitati dal loro esempio, cioè dal loro martirio, dalla loro testimonianza, dalla loro vita donata per la causa del Vangelo.

Benedetto XVI, nella Deus Caritas Est, ci ricorda che all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con una persona che dà alla vita un nuovo indirizzo, un nuovo orizzonte, la direzione decisiva. Questa sera noi pensiamo alla figura di Gavino, membro delle legioni romane, graduato dell’esercito romano, che fu posto come custode dei due cristiani e pilastri della comunità: Proto e Gianuario. Pensando a questa figura possiamo comprendere che fu l’esperienza dell’incontro con Cristo a trasformare Gavino, attraverso la testimonianza di Pronto e di Gianuario.

Anche se gli elementi storici non fossero precisi, sarebbe comunque comune questo paradigma retorico delle passioni dell’antichità, le quali attraverso questo modello ci trasferiscono come avvenivano spesso le conversioni. Papa Francesco direbbe che non avvenivano per colonizzazione o per costruzione, ma per contagio, per comunicazione. Le parole e la testimonianza di Proto e Gianuario hanno aperto la mente di Gavino verso un nuovo orizzonte. E questo diede anche una nuova direzione alla sua vita, talmente nuova che egli camminò completamente in prospettiva: da carceriere divenne custode. Custode di fratelli, aprendosi alla scelta della fede, alla libertà di credere. Oggi questo è un tema sociale tanto importante, e prima di essere un tema sociale, è un tema esistenziale, un tema che afferisce alla libertà profonda di ogni persona di poter rispondere alla propria singolare situazione con libertà piena e assoluta.

Non servono libertà guidate e governate da sistemi di pensiero che costringono l’animo umano verso orizzonti non pienamente liberi; queste “libertà” non facilitano la scelta che ogni individuo desidera compiere tra maggiori esistenze. I martiri, perciò, sono per noi autentica testimonianza di libertà e non di libertinaggio. Il libertinaggio è infatti amico dell’anarchia. La libertà è invececompagna della fede, di una fede che genera una vita nuova. Essi, perciò, si pongono nella nostra vita, nel nostro momento ecclesiale come modello di evangelizzazione. È questa la priorità che la Chiesa universale, attraverso il processo sinodale, sta maturando;ed è questo altresì l’orizzonte nel quale anche la nostra Chiesa diocesana, attraverso il sinodo, il processo sinodale e la Visita pastorale sta promuovendo.

Questa prospettiva ci invita a non tornare indietro rispetto a scelte importanti: l’annuncio del Vangelo, che non avviene per costituzione, ma mediante l’incontro. Ricorrendo ai testi della Parola di Dio, si evince come l’incontro con Cristo sia una realtà dinamica. È proprio questa logica dell’incontro rende sicuramente la ragione più bella dell’annuncio del Vangelo. È questa la via che Dio ha scelto, che è presente nel cuore dell’uomo, anche attraverso le leggi di natura. Un bambino, infatti, quando nasce non impara a parlare davanti a uno schermo, o mostrandogli dei programmi registrati, asettici, privi di relazioni affettive ed emotive. Un bambino cresce e si sviluppa attraverso delle relazioni, ha bisogno pian piano di percepire il calore che gli arriva, ha bisogno di percepire la prossimità, la vicinanza. Ha bisogno pian piano di distinguere le immagini, osservare le sfumature del volto, osservare i movimenti delle labbra, udire i suoni per apprendere pian piano a parlare. Questo processo naturale è un processo che la tradizione dei Padri della Chiesa negli scritti delle antiche catechesi spesso riconduce anche al metodo dell’evangelizzazione.

Si evangelizza attraverso il coinvolgimento profondo di tutta la persona. Non a caso, in occasione del Battesimo nella Chiesa Antica, che contemplava anche il conferimento della Cresima e la partecipazione all’Eucarestia, vi era una profonda sottolineatura dei sensi umani come canali per i sensi spirituali. E perciò il Vangelo non è semplicemente una lezione, una lettura di parole, ma una presenza. Il Verbo si è fatto carne ed ha preso dimora in mezzo agli uomini. La Parola di un Dio vivente si è resa palpabile con le mani e divenuta carne. E così, anche oggi, nell’evangelizzazione continua questo mistico prolungamento dell’incarnazione di ciascuno di noi, di ciascun cristiano e della comunità cristiana, che diventa presenza viva di Dio.
L’Apostolo Paolo ne è consapevole. Tant’è vero che rivolgendosi alla sua comunità, egli dice: “Mai abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature” (1Ts 2,5-7). Credo che questo sia il metodo pastorale, il metodo da assumere con coraggio nella comunità cristiana. Perciò esorto la nostra Chiesa diocesana a non rinunciare alla dinamica dell’incontro, della prossimità, della territorialità, dell’interparrochialità, di una sorta di ecumenismo interno tra associazioni e movimenti affinché, essendo tutti orientati ad annunciare solo e unicamente il Vangelo, non trasformiamo queste strutture in strumenti di possesso che non appartengono alla logica religiosa.
Lo stesso atto del battesimo, che significa immersione, implica una relazione; non è un rito vuoto, ma è un’azione vitale nella quale la nostra vita è immersa nella vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ecco il mistero della Chiesa, il nostro mistero, al quale siamo chiamati. Il Vangelo, perciò, non è un monumento, ma è una presenza.
Invito la comunità di Porto Torres a riprendere di mano, con rinnovato slancio, la nota pastorale che a conclusione della Visita pastorale nella Città ho consegnato alle Parrocchie; altresì invito la Forania del Golfo a compiere questo lavoro non in solitudine, ma all’interno di una profonda commissione tra le comunità parrocchiali.

L’interparrocchialità, come ho già detto altre volte, non vuol dire l’abolizione delle singole parrocchie, e non significa neppure far finta che le parrocchie possano rimanere con ritmi, strutture, azioni come nel passato, quando si viveva in un regime di cristianità. Oggi la parrocchia è chiamata non a buttare lo sguardo sulla struttura, ma sulla trasmissione della fede per essere presenza. Questa è una questione che ci riporta alle origini della Chiesa nascente, come abbiamo ascoltato nelle parole dell’Apostolo Paolo rivolte ai Tessalonicesi.
In questa giornata, per grazia di Dio, noi doniamo alla Chiesa Turritana e non solo, il dono dell’Accolitato al nostro carissimo Antonello Spanu. Il ringraziamento va a sua moglie qui presente insieme ai loro figli, alla comunità originaria di Sorso, della stessaforania della comunità di Porto Torres.
Che cosa fa l’accolito? Ci si domanda cosa significa questa parola oggi non più facente parte del lessico quotidiano. Con un Motu proprio, Papa Paolo VI nel 1972 dispose che quelli che fino ad allora erano chiamati ordini minori fossero definiti ministeri e si stabilì che potessero essere affidati anche a laici, di modo che non fossero più considerati come solo ed esclusivamente riservati ai candidati al sacramento dell’Ordine. “I ministeri che devono essere mantenuti in tutta la Chiesa latina adattati alle odierne necessità sono due – scrisse Paolo VI – i lettori e gli accoliti”.

In tempi recenti, con la Spiritus Domini di Papa Francesco del 2021, questi misteri, riservati da Paolo VI ai soli uomini, sono stati aperti anche alle donne. Questi ministeri, di fatto vengono,esercitati da tante donne e principalmente dalle donne nelle nostre comunità. Perciò, è ancora molto triste vedere che nonostante sia concluso da decenni il Concilio Vaticano II, si preferisca porre l’accento sul fare delle cose, piuttosto che sulla struttura ministeriale della comunità. Occorre evangelizzare il fare, non ridurlo semplicemente ad un’organizzazione asettica per togliere qualche impiccio al parroco. Si tratta di presenze essenziali e fondamentali per la vita fruttuosa della comunità cristiana. Il rito dell’istituzione degli accoliti ci ricorda, infatti, che l’accolito è istituito per il servizio al Corpo di Cristo. È questo l’elemento essenziale.
Cos’è il Corpo di Cristo? La Celebrazione eucaristica è il memoriale della Cena del Signore, memoriale celebrato dal popolo di Dio, radunato insieme. Quindi ci sono le due dimensioni di servizio eucaristico e il servizio al popolo di Dio. L’accolito, in modo particolare, richiama il suo servizio alla presenza di Cristo sull’Eucarestia, per la Chiesa e per la vita del mondo. All’accolito è affidato anche il compito di coordinare il servizio della distribuzione della Comunione, ma non è ministro dell’Eucarestia, a differenza del sacerdote che lo è. L’accolito può quindi coordinare il servizio della distribuzione della Comunione ed è cosa buona, perché molte volte c’è tanto disordine nella distribuzione della Comunione. Gli accoliti sono le figure pensate dalla Chiesa, dal Magistero della Chiesa, per vigilare su eventuali problemi presenti nelle comunità. Fuori dalla celebrazione dell’Eucarestia, l’accolito anima l’Adorazione eucaristica e promuove in diverse forme il culto eucaristico, portando la Comunione agli ammalati o a quanti ne sono impediti non potendo partecipare all’Eucarestia domenicale. Esso, perciò, non è un sacramento di supplenza. È un ministero legato al Giorno del Signore, che noi siamo chiamati a favorire nella partecipazione, diretta e indiretta, soprattutto quando le circostanze non lo consentono. È altresì rilevante e importante promuovere l’Adorazione eucaristica secondo la tradizione.
Ciò che è veramente importante è che si promuova l’Adorazione eucaristica come occasione nella quale ascoltare la Parola di Dio e sostare davanti alla presenza del Signore. Ecco, questo ministero che per Antonello sarà transitorio, perché in cammino verso il Diaconato permanente, deve diventare stabile attraverso persone, uomini e donne formate perché lo si eserciti nelle comunità. È un atto di carità portare la Comunione eucaristica a ogni persona che sia impedita. Questa è la tradizione dei Padri della Chiesa, è la tradizione della Chiesa antica, non è un’innovazione della società secolarizzata. E allora, carissimo Antonello, a te come a noi tutti, usando le parole di Romano Guardini, viene chiesto di avere“occhi che ascoltano”. Gli occhi, ascoltando, quando si mettono a disposizione di colui che guarda, fanno prendere consapevolezza delle ferite del sofferente e così si diventa una sorgente che tracima e rinfresca gli altri, come ci ricorda Papa Francesco. Ci sono due trascendenze che si toccano in questo ministero. Quello dell’incontro con Dio nell’Eucarestia e quello con il fratello sofferente bisognoso e ammalato.
I servizi che oggi tu svolgi nella Chiesa, nella Caritas e nell’Accademia, in ambito amministrativo, sono servizi di profonda carità, non burocratici. Da una parte, significa promuovere l’esigenza di spezzare il pane della Parola, ma c’è anche un’altra grande povertà, che è la povertà della mente, della cultura. Non pochi disagi, come più volte abbiamo detto, vissuti dalle famiglie, dai bambini, dai ragazzi, dai giovani, dagli anziani, nascono dalla cultura di uno Stato e da una Chiesa che talvolta ha rinunciato a formare e a comunicare i valori della cultura cristiana.
Animati da questi sentimenti, sotto la protezione dei Santi MartiriTurritani, anche noi vogliamo invocare lo Spirito sulla nostra Chiesa, affinché possiamo promuovere profondamente, partire e ripartire sempre dall’ascolto dello Spirito che parla all’interno delle nostre comunità. Nelle nostre programmazioni pastorali si parte da inchieste anche sociologiche, da analisi, dalla lista delle difficoltà, potremmo dire, dai bisogni, dalle domande. Tuttavia, ci ricorda un profeta del nostro tempo, il cardinale Carlo Maria Martini, che è assai più importante, partire dalle esperienze dello Spirito, perché l’esperienza dello Spirito, come ci insegna la tradizione dei Gesuiti, ci fa vivere due dimensioni. La prima è il primato della consolazione sulla desolazione: prima c’è lo Spirito Santo che consola, rianima, illumina, muove. Ma di fronte ai problemi e ai bisogni può nascere anche la desolazione. E quindi subentra lo Spirito che accompagna nella fase della desolazione. È il principio per regolarsi nelle cose che non si capiscono, nelle confusioni, nei cammini che non ci sono chiari. Lo Spirito Santo sia il faro di luce».