Monastero San Pietro di Sorres: Ordinazione diaconale di Dom Mattia Dang Han Tran

8 Ottobre 2024 | primo piano

Nel pomeriggio di lunedì 7 ottobre, nella basilica di San Pietro di Sorres, a Borutta, l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione eucaristica per l’Ordinazione diaconale del monaco Dom Mattia Dang Han Tran.

Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata dall’Arcivescovo.

«Caro Dom Mattia, il Padre Abate ha chiesto che ti venga conferita l’Ordinazione diaconale. Con gioia accogliamo questa richiesta perché possa essere il segno della diaconia di Cristo nella Chiesa di oggi e, in modo particolare, in questa cara comunità monastica di San Pietro di Sorres. La Parola che abbiamo ascoltato ci porta ad imitare Dio servendo il Vangelo di Cristo, divenendone i suoi servitori e servitori dei nostri fratelli, due dimensioni che ogni vocazione tiene in sé profondamente e vive, come quella monastica nella quale tu vivi con gioia.

Nella Prima lettura, l’Apostolo Paolo, vede propagarsi il male per opera di chi turba la comunità che egli aveva edificato attraverso l’annuncio del Vangelo. Con la tenerezza che è propria di una madre, afferma di soffrire ancora le doglie del parto. Egli si sente madre, generatore di una comunità, perché l’annuncio del Vangelo era stata la via, la forza attraverso la quale lo Spirito aveva rivelato Cristo. Ora soffre perché qualcuno è venuto a turbare l’annuncio del Vangelo, insinuando nella mente di coloro che avevano intrapreso da non molto tempo il cammino di vita cristiana, che fosse necessario ancora qualcosa in più rispetto alla sola adesione a Cristo. L’Apostolo ricorda che aderire a Cristo e alla sua grazia è sufficiente. Questo basta. Questa è la pienezza. E questa è anche la bella testimonianza che la vita monastica annuncia continuamente, divenendo segno visibile che solo Cristo è la pienezza del nostro tempo, delle nostre forze, delle nostre parole e delle nostre energie.

Il Vangelo è la Buona Novella donata per grazia. Ma alla grazia, a quella pace, a quella gioia che l’Apostolo aveva comunicato, alcuni arrecano il turbamento, lo sconvolgimento. Solo l’amore salvifico di Dio, gratuito, è l’amore che salva. La gratuità dell’amore, la gratuità della grazia, è il fondamento della vita cristiana, di ogni discepolato, di ogni vita monastica, di ogni cristiano, di ogni credente. Paolo, perciò, afferma di essere servo del Vangelo e servitore di Cristo. Egli è nel contempo apostolo e servitore. Ne è servitore sia perché lo trasmette e lo annuncia, ma anche perché la sua vita costantemente si sforza di essere modellata, forgiata dalla Parola del Vangelo. 

Oggi Maria, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, si presenta serva del Signore. Questo testo fa riecheggiare quel protovangelo che l’Angelo Gabriele fa risuonare nelle orecchie di Maria, ma che poi è destinato a tutte le genti, a tutte le stirpi, a tutta l’umanità. In modo peculiare riecheggia nella vocazione del monaco che, come Maria, notte e giorno, medita nel suo cuore le parole dell’annuncio dello Spirito.

“Ecco l’ancella del Signore, si faccia in me secondo la Tua parola.”

Maria è serva del Signore non semplicemente perché vive un atto di sottomissione, ma perché entra in un mistero di alleanza, in una relazione sponsale con Cristo. È invitata a partecipare a questo servizio sponsale, che lo schema letterario del testo di Luca ben traduce con il linguaggio dell’alleanza, per divenire serva dell’amore di Dio. Il Signore chiama per divenire servi dell’amore di Dio. È tanto importante che nella Chiesa e in ogni comunità, anche sacramentalmente con l’Ordine sacro, rimanga vivo questo mistero di grazia, questo segno visibile di chi serve l’amore di Dio a tempo pieno, e non solo in qualche circostanza e in qualche occasione.

San Paolo, in tutta la sua predicazione, ricorderà costantemente che il Verbo di Dio si è fatto uomo per assumere la condizione di servo. Ha assunto la forma e la condizione di servo, colui che fin dall’eternità aveva la forma di Dio, era della condizione di Dio. Vi può essere in tutti noi la tentazione di voler avere la forma di Dio senza passare attraverso la via del servizio. E il servizio di Dio si manifesta sia attraverso il servizio della lode a Dio, ma anche attraverso il servizio dell’amore ai fratelli. Il Concilio Vaticano II, nel testo della Lumen Gentium, ci ricorda che ai diaconi sono imposte le mani non per il sacerdozio ma per il servizio. Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nella diaconia della liturgia, della predicazione dell’amore e della carità, servono il popolo di Dio in comunione con i fratelli. È ufficio del diacono amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l’Eucaristia, assistere e benedire il matrimonio in nome della Chiesa, proclamare la sacra scrittura ai fedeli, istruire con la Parola ed esortare il popolo, presiedere ad alcune espressioni del culto e alla preghiera dei fedeli, presiedere il rito funebre alla sepoltura. Ma in modo particolare i diaconi sono dedicati agli uffici di carità e di assistenza, dice ancora il Concilio, ricordando le parole di San Policarpo: “chiamati ad essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti”.

Vi è un momento particolare nell’orazione consacratoria del Vescovo, che mette in evidenza il particolare legame tra il Vescovo e il Diacono, tra la diaconia episcopale e la diaconia nella Chiesa, il modo particolare con quella del diacono. Durante la preghiera di ordinazione, due diaconi sostengono i Santi Vangeli aperti sulla testa dell’ordinando vescovo. Finita la consacrazione e dopo l’unzione del capo con il Santo Crisma, il consacrante principale, prende il Vangelo e lo consegna al Vescovo dicendo: “Ricevi il Vangelo e annuncia la Parola di Dio con grandezza d’animo e dottrina”.

Nel rito di ordinazione del Diacono, come vedremo a breve, invocheremo la grazia dello Spirito Santo affinché fortifichi con i sette doni il candidato al ministero, perché possa poi, con l’esempio della sua vita, essere un richiamo costante al Vangelo e susciti imitatori nel popolo santo.

Il servizio del diacono non è di forma, di estetica, di ornamento liturgico, ma veramente di partecipazione alla missione di evangelizzazione. Tra un po’ ascolteremo le parole del rito con il quale diremo: “Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni.”. Questo indica una parola non semplicemente di consegna esteriore, ma ci riporta attraverso il testo latino alla notte della Santa Pasqua, durante la quale proprio il diacono annuncia il Preconio pasquale, diventa araldo della grazia di Cristo, araldo della Risurrezione. E perciò con l’Ordinazione diaconale non si riceve semplicemente un impegno generico di annunciare il Vangelo: la liturgia usa un linguaggio all’imperativo, perché nella persona del Diacono il soffio dello Spirito Santo si unisce a tutto il suo respiro, alla sua azione di annuncio.

Thomas Merton, in un suo bellissimo testo, ci ricorda che il monaco cerca innanzitutto di vivere la propria fede secondo il Vangelo di Gesù Cristo, rinunciando a sé stesso e seguendo proprio Cristo. Il monaco si sforza di penetrare il significato profondo di tutte le parole di Cristo, di conservarle nel cuore notte e giorno, meditandole, come Maria, la quale, guidata dalle parole dell’Angelo, si mette in cammino per scorgere i segni della presenza di Dio.

Anche tu, caro Dom Mattia, insieme ai tuoi compagni, ti sei messo in cammino dalla bella terra del Vietnam per venire qui in Sardegna. E con gioia, con gratitudine, con affetto e con amicizia, ti diciamo e vi diciamo grazie per il dono della vostra presenza, perché insieme desideriamo scoprire oggi, nel nostro tempo, i segni della grazia di Dio, i segni dello Spirito. Vogliamo essere non padroni di questi segni, ma servi di questi segni, ricercatori di questi segni. E questo costituisce il grande servizio che la Comunità di Sorres costantemente compie verso quanti qui sostiamo, verso quanto sostano per decodificare, scrutare, discernere i segni di Dio nella propria vita e nella storia. Veramente possiamo paragonare il Monastero in qualche modo alla casa della cugina Elisabetta, dove Maria si reca perché la voce dello Spirito prevalga sulle altre voci. E questa è la diaconia del Vangelo.

“Unto di Spirito Santo sarai chiamato proprio ad annunciare la Parola”.

L’opus Dei del monaco si manifesta così, nel rendersi partecipe sia attraverso la liturgia, via regale per andare a Dio, sia attraverso le altre forme di cura dell’ascolto della Parola. Il monastero è una locanda dove tutti possiamo sostare per essere guariti dalle nostre infermità. Il monastero unisce alla diaconia della lode della liturgia anche la diaconia della cura dei mali spirituali, cura di cui tutti abbiamo bisogno e di cui il nostro tempo ha tanto bisogno. In modo particolare oggi si presentano nuove forme di malattie, nuove forme di infermità. È bello che ogni persona possa trovare, provenendo da popoli e da culture diverse, da situazioni differenti, un luogo, uno spazio per ascoltare e incontrare Cristo. Per poter uscire da quella confusione, di cui abbiamo sentito nel Vangelo di oggi, che può essere introdotta sia tra credenti che anche tra chi non ha aderito pienamente alla fede cristiana. Un luogo di pace, non di una pace conquistata in modo angelico, ma una pace conquistata a caro prezzo, attraverso la grazia e il dono del vostro sì, della vostra obbedienza, del cammino. Questa diaconia cattolica mi pare che possa ben esprimere anche la vocazione di un monastero oggi, in un’epoca nella quale tante persone, provenienti da culture differenti, da professioni ed estrazioni sociali diverse si incontrano.

Ma perché si incontrano? Non semplicemente per vedersi e per rimanere distanti, ma perché possano divenire un’unica famiglia umana. Qui, nell’annuncio della Parola, il Monastero può essere davvero un laboratorio, una fucina per coltivare la fraternità universale. Il Santo Padre Francesco ci ricorda che la diaconia non fa tanto delle semplici cose, ma attiva delle reti. È bello oggi vedere che la diaconia che celebriamo conferendo l’Ordinazione diaconale è frutto di un network, si direbbe in un lessico più feriale, quotidiano, ovvero creare fucine di incontro, come ciricorda anche il Papa nella “Fratelli Tutti”. Cerchiamo gli altri e facciamoci carico della realtà che ci aspetta, senza temere il dolore o l’impotenza, perché lì c’è tutto il bene che Dio ha seminato nel cuore dell’essere umano. Le difficoltà, che talvolta sembrano enormi, sono l’opportunità per crescere e non la scusa per la tristezza inerte che favorisce la sottomissione e la malinconia. Siamo chiamati a incontrarci in un “noi” che sia più forte della somma di piccole individualità. Per questo, rendiamo grazie al Signore, questo incontro e per contribuire a divenire un noi che apporterà tanto bene all’umanità affaticata, sofferente.

Questo incontro è anche un richiamo alla pace dei popoli, in una giornata nella quale siamo chiamati e invitati dal Santo Padre a pregare fortemente per il dono della pace. E la pace del cuore dell’uomo arriva attraverso quell’annuncio: “Rallegrati, gioisci, abbi pace, non è frutto solo di un pragmatismo, ma è frutto dell’incontro del cuore umano con il cuore di Dio”.

Possa la diaconia, che Maria oggi ci suggerisce, essere un richiamo per tutti noi, per contribuire ad entrare in quei segni che il Signore pone dentro la storia, e che talvolta fatichiamo a decodificare. La diaconia di Gesù è una diaconia che accoglie, che rialza, che reintegra. E questo, nel grande servizio dell’accoglienza che il Monastero svolge, viene svolto e lo si può svolgere in tanti modi. E per questo tutti siamo grati per questa diaconia. “Di nessun valore sarebbe stata per Maria la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l’avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne” (De sancta Virginitate, 3,3). Accogliendo Cristo, Maria ha accolto tutta l’umanità>>.

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