Questa mattina, nel Monastero di San Pietro di Sorres, a Borutta, si è aperta la Settimana Biblica della Sardegna per l’anno 2024, promossa ed organizzata dall’ABI, l’Associazione Biblica Italiana, in collaborazione con la Fondazione Accademia Casa di Popoli, Culture e Religioni.

Al termine dei lavori della mattina, l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica.

Di seguito riportiamo l’omelia tenuta dall’Arcivescovo:

«Il corso che ogni anno viene organizzato è una vera iniziazione a riscoprire ciò che edifica una comunità cristiana. La liturgia eucaristica, la Chiesa radunata dalla Trinità per ascoltare la Parola e spezzare il Pane è la sorgente dalla quale zampilla la vita nuova, dalla quale sgorgano due dimensioni importanti della sequela di Cristo. La prima, quella dell’alleanza, ce la rivela e indica il profeta Osea nella Prima Lettura.

Noi, infatti, quando celebriamo l’Eucaristia lo facciamo non semplicemente come un gruppo che si ritrova per vivere un’esperienza di workshop, un laboratorio, una convocazione assembleare di tipo sociale. Nella Celebrazione eucaristica vi è una dimensione di mistero che segna la nostra convocazione, la chiamata di amore, con il vivo desiderio di Dio di parlare al nostro cuore. L’amore di Dio è così grande che il profeta lo descrive con il lessico della relazione sponsale e, potremmo anche dire dell’eros che attrae le creature umane.

Ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”.

L’alleanza è relazione. È una relazione che Dio suscita, una relazione che il popolo accoglie, ma anche una relazione che il popolo usura; una relazione che talvolta si consuma e perciò Dio,ancora una volta, raggiunge il suo popolo e lo raggiunge con una forza particolare: la forza dell’amore.

Ciò che il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a scoprire, nel rinnovato contatto con la Parola di Dio, è proprio il mistero di essere stati chiamati ad entrare in alleanza con Dio, ad entrare in un dialogo, a dialogare mediante la Parola. La Parola diventa la via che Dio ha scelto per introdurre ciascuno di noi in un colloquio di amore.

Il deserto, quel tempo peculiare, quello spazio, quella situazione, a seconda di come vogliamo decodificare questa immagine e questa esperienza, è un’occasione perché ciascuno di noi riscopra il valore del colloquio con il Signore. E mentre noi colloquiamo è Egli stesso che ci introduce in questo dialogo. Egli ci dà le parole con cui possiamo rivolgerci a lui e portare la nostra vita nel colloquio davanti a lui. Dio stesso ci dice qualcosa che diventa rigenerativo nella vita: Egli vuole rincominciare come nei giorni della giovinezza, come quando lo fece uscire dal paese d’Egitto. Il Signore desidera condurci da una relazione di schiavitù, di padronanza, di idolatria a una relazione sponsale.

Non mi chiamerai più: ‘Baal, mio padrone’. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore”.

L’obiettivo è entrare in una relazione di conoscenza. Ecco perché la nostra conoscenza non è soltanto un fatto intellettuale, un fatto teoretico. È proprio dentro questa relazione e questo colloquio che Israele rigenera la sua esistenza. È una parola che introduce in un cammino, che lo sostiene e lo porta a compimento. È proprio questo dialogo, questo colloquio che ci aiuta a riscoprire l’esperienza dell’Eucaristia, non come un qualcosa nella quale siamo estranei, una celebrazione dove soltanto qualcuno entra in relazione con Dio, ad esempio, chi presiede l’Eucaristia o qualcuno che può avere qualche grazia speciale. Tutti, tutta l’assemblea entra in dialogo con Dio, entra in colloquio con Dio. Ognuno di noi partecipa a questo dialogo. E questo dialogo, ci ricorda l’evangelista Matteo, è un dialogo che genera la vita.

Il Signore Gesù entra in contatto con noi per donarci una vita nuova. Egli si manifesta come il Signore dell’esistenza. Credo che questo per noi sia significativo come lo fu per uno di quei capi che si prostrò dinanzi a Gesù per chiedere che la propria figlia, che era morta in quell’istante, potesse riavere la vita e lo invitò ad andare ad imporre la sua mano su di lei perché potesse vivere. Questo colloquio è un colloquio di contatto, è una parola che tocca la situazione della persona, la tocca profondamente. È significativo quello che sottolinea l’evangelista Matteo: questo capo della Sinagoga gli dice: ‘Vieni, imponi la tua mano su di lei ed ella vivrà’. Gesù si alzò e lo seguì con i suoi discepoli.

Che grande mistero di amore! Colui che è venuto per invitarci alla sua sequela, ad un certo punto sembra trasformare la posizione della sequela, sembra quasi invertirla. Egli segue colui che lo invita ad andare a casa sua. È proprio con questa dinamica di Dio che il Signore si curva su di noi. Ci sono momenti nei quali noi seguiamo il Signore ascoltando il suo invito, ma ci sono momenti nei quali, in questo colloquio, noi presentiamo al Signore le nostre debolezze, le nostre fragilità. Il Signore ci segue e scende sino in fondo, a quel mistero di fragilità per riportarci fuori e far sparire tutti i flautisti di morte che cantano la morte».