Martedì 2 luglio l’arcivescovo Gian Franco, nella chiesa di San Gavino Martire a Bancali, a Sassari, ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in occasione della festa di San Basilide, patrono della Polizia Penitenziaria. Alla cerimonia hanno partecipato le rappresentanze della Casa Circondariale di Bancali e le Autorità civili e militari della città e della provincia.

Di seguito si riporta l’omelia tenuta dall’Arcivescovo:


«San Basilide è una figura che voi certamente conoscete bene; tuttavia, richiamiamo qualche tratto essenziale della sua vita tramandato dal Martirologio. Basilide, originario di Alessandria d’Egitto, svolgeva la professione di milite a servizio della compagine dell’esercito romano nella città di Alessandria. Durante le persecuzioni di Settimio Severo gli fu affidata la custodia carceraria di una donna condannata al martirio perché cristiana. Egli svolse il suo servizio ma custodì quella donna dagli insulti della folla. Questo mi pare un elemento che si possa sottolineare: Basilide non era ancora cristiano, si era affacciato alla tradizione cristiana, alla comprensione della fede cristiana nella scuola di Alessandria. Tuttavia, non aveva ancora ricevuto il battesimo e non era neppure un catecumeno. In questo itinerario egli custodì la persona che gli era stata consegnata per essere condotta verso il patibolo, verso l’esecuzione.

Da cosa custodì quella donna? Dalla violenza del popolo, perché certamente il condannato a morte in un sistema come quello che era proprio del tempo diveniva oggetto di insulto, di violenza, a maggior ragione una donna nella visione culturale del tempo. Quindi Basilide svolge un servizio di custodia in contatto alla carità. Mi pare che questo sia l’elemento centrale da sottolineare: in ogni servizio sociale che viene svolto, a prescindere dalla persona che viene affiancata e dalla situazione concreta nella quale ci si trovi, vi è un esercizio di carità, che può essere comunque compiuto senza leggere alcuna legge sociale in corso, alcun ordinamento statuale. Questo ci richiama al principio evangelico secondo il quale al di sopra di tutto vi sia la carità.
Quando a Gesù posero la domanda “Maestro, qual è il più grande comandamento?” (Mt 22,36), Gesù rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,37-39).
Credo che in questa logica di orientamento verso Dio e di orientamento verso il prossimo in un rapporto di similarità si ponga un principio ermeneutico, un principio interpretativo di ogni relazione umana. L’altro è comunque un mio simile, sia che questo lo riconosca creatura di un Dio creatore, sia che lo riconosca perché è un essere umano, perché è una persona umana. E mi pare che questo, anche a livello giurisprudenziale, possa essere un principio ermeneutico per la promozione dei diritti umani delle persone, qualunque sia la situazione nella quale un individuo viene a trovarsi. Oggi sappiamo quanto il problema dei diritti umani sia una questione importante. Vediamo le guerre che abbiamo davanti, sia per conflitti di natura religiosa sia per conflittualità di altra natura.
Come recuperare la persona umana? Come porsi davanti alla persona umana? Come custodire la persona umana? Certamente non sono domande retoriche, ma domande oggi molto impegnative e molto significative. Anche per voi, che come Polizia Penitenziaria operate in servizi molto complessi, molto difficili, in un sistema carcerario che necessita certamente – come da più fronti si afferma – di un’importante riforma, credo non manchino le occasioni dell’esercizio della carità. Tutti noi siamo chiamati a questo esercizio.

La Sacra Scrittura si apre proprio con un servizio di custodia alla propria fratellanza. Quando ci fu alle origini quel disordine nel giardino dell’Eden, di cui leggiamo nel libro della Genesi, e poi vi fu l’omicidio di Abele per mano del fratello Caino, Dio chiese conto al fratello omicida del proprio fratello, Caino rispose così: “Sono forse il guardiano di mio fratello?” (Gen 4,9). Questa risposta mostra che si era dimenticata una dimensione importante: la custodia del creato e della persona umana. La Sacra Struttura si apre con questa logica e questa logica si sviluppa e va avanti. Infatti, nella Prima Lettura, abbiamo ascoltato che il profeta Amos si rivolge al Popolo di Israele, che dimenticava, come anche noi dimentichiamo, i benefici e la misericordia di Dio. Ecco che Dio, attraverso il profeta, dice: “Preparati, o Israele, a incontrare il tuo Dio” (Am 4,12). Questo è l’orizzonte ultraterreno.
In un luogo molto significativo, nella Valle dei Templi, ad Agrigento San Giovanni Paolo II pronunciò questa frase, come un grido: “Una volta verrà il giudizio di Dio!”. Penso che anche noi dobbiamo sempre tenere vive queste parole, non come una minaccia ma come una comprensione della vita.

“Preparati, o Israele, a incontrare il tuo Dio” (Am 4,12). C’è stato un tempo in cui Israele ha pensato di non dover rendere conto a nessuno. Ha pensato di vivere una vita allegra, potremmo dire, senza regole, senza leggi, senza logiche. Nel linguaggio biblico questo modo di vivere viene espresso con l’idolatria. Israele cadde nella idolatria. Spesso l’uomo, la creatura umana, sbaglia proprio perché cade nell’idolatria. Diventano un’idolatria il denaro, la non corretta gestione dei beni, la relazione con l’altro senza riconoscerne l’alterità. La persona idolatra perde il senso della vita e perciò ha bisogno, come dice il profeta Amos, di essere rieducata, di essere ripresa in mano.


Sono molto grato al servizio che anche la Chiesa diocesana svolge nella Casa Circondariale di Bancali attraverso la presenza di un cappellano, delle religiose, di tanti volontari. Credo che sempre più noi dobbiamo qualificare e promuovere questo tipo di servizio in tanti modi, in tante forme.
Viviamo una complessità, una crisi dell’umanità. Quando si parla di transumanesimo credo che una delle dimensioni sia proprio questa: Chi è l’uomo? Chi è la creatura umana? Spesso questa domanda viene un po’ banalizzata, scivolando in forme di valutazione molto superficiali. Bisogna invece ritornare alla radice più profonda e chiedersi: Chi è l’individuo? Chi è la creatura? Ecco, oggi, pregando chiediamo al Signore di dare la forza a voi che spesso svolgete il servizio anche in situazioni che non sono sempre le più facili, dove situazioni di contrasti e di degrado si toccano con mano, dove la persona perde la luce della speranza e l’unica via che sembra vedersi è quella della morte.
Il vostro servizio è quello della promozione di una cultura della legalità nel territorio che diventa certamente sempre più importante e sempre più rilevante. Ecco, tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, ciascuno per il suo ambito, per le proprie sfere di competenze e di azione.
Con il salmista ripetiamo: “Tu non sei un Dio che si compiace del male; presso di te il malvagio non trova dimora […]. Tu detesti chi fa il male, fai perire i bugiardi. Il Signore detesta sanguinari e ingannatori” (cf. Sal 5,5-7).
Le parole del salmista mi fanno ritornare in mente il concetto di grazia, che non è una banale forma di carità, non è buonismo ma è bontà: è un’altra cosa, è benevolenza. L’amore cristiano non è sentimentalismo, è un amore che è, che ha anche il sentimento, ma che racchiude insieme tutto. E quindi il mistero di Dio che dice: “io per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa” (Sal 5,8). Dio si compiace del bene.

A tutti noi, che siamo peccatori, siamo fragili, siamo creature umane, voglia il Signore ispirare quotidianamente piccoli gesti di bene e di buono. Sono i piccoli gesti che creano una cultura del bene. Viviamo in una società dove anche il senso dell’obbedienza civica, non solo l’obbedienza religiosa, è venuta meno, lasciando prevalere il senso che tutto sia possibile. Serve un profondo intervento culturale, un’azione culturale. Dopo sette anni di ministero episcopale, mi permetto di dire che questo territorio ha bisogno di una profonda azione culturale che vada a contrastare i modi di pensare e di agire, i meccanismi che non sono evangelici e neppure apportatori di un’autentica democrazia sociale».

(Foto di Stefano Serra)