Nel pomeriggio di Domenica 2 giugno, l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto, nella cattedrale di San Nicola, il solenne Pontificale in occasione della Solennità del Corpo e Sangue del Signore.
Nell’omelia il vescovo ha detto:
«I discepoli posero al loro Maestro una domanda: “dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?” Da questa domanda possiamo attingere da quel lungo torrente, da quel lungo torrente, da quel fiume di salvezza nel quale siamo condotti a scoprire che è in Cristo nostra Pasqua, la vera Pasqua. La domanda dei discepoli è importante perché ci introduce nel mistero. Potremmo dire oggi che, se volessimo tradurla in termini propri vicini a noi, potremmo chiederci: Che cos’è la Pasqua? Che cos’è l’Eucaristia? Che cos’è la celebrazione della Messa? Maestro, Signore, come vuoi che ti prepariamo la Pasqua, quella Pasqua che celebriamo tutte le settimane nel giorno del Signore in modo particolare e spesso ogni giorno?
La liturgia ci riporta anzitutto a considerare il cammino storico della Pasqua, e cioè la salita a Gerusalemme del popolo di Israele. Nelle grandi feste annualmente salivano a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, la Pentecoste e la festa delle Capanne. Vi era una carovana del popolo eletto che si metteva in cammino. Questa è la prima dimensione della Pasqua che desidero questa sera sottolineare: camminare, mettersi in cammino, ascendere, mostrare il volto di un popolo peregrinante, di un popolo che è figlio dell’esodo e che è chiamato costantemente a vivere in un esodo.
Da chi era formata inizialmente questa carovana? Da persone di ogni genere: da schiavi liberati, da persone più facoltose, da altre meno facoltose, da persone che andavano a celebrare il dono della liberazione dalla schiavitù in Egitto, della liberazione da ogni forma di schiavitù. Il dono della Pasqua è veramente un dono di libertà. Celebrare la Pasqua significa entrare nella libertà di Dio. Quando il Signore dona sé stesso, offre sé stesso con il sangue dell’espiazione, che così viene chiamato. Il Signore offre sé stesso per riscattare gli schiavi da ogni forma di schiavitù. È il sacramento della libertà.
Nella libertà Dio dice anche la verità, perché restituisce l’uomo a sé stesso e restituisce l’uomo a Dio, la creatura al suo Signore. Ecco qual è la verità dell’uomo, della creatura umana: essere un figlio della Pasqua, chiamato a vita nuova, a libertà. Questa storia è stata anticipata, come ci ricordano i padri della Chiesa. Come in una prefigurazione, una realtà cioè che di per sé ha una verità e una ragione di essere nel mistero del popolo dell’esodo, chiamato a celebrare la Pasqua e poi annualmente a fare memoria della Pasqua e dell’esodo.
Dio è colui che ci dona sé stesso come nutrimento, come forza, come energia per camminare negli itinerari di ogni tempo e di ogni epoca. Cristo stesso si è fatto pellegrino sulla terra in cammino verso la pienezza del Regno di Dio. Cristo stesso ha scelto di immergersi nel mistero della Pasqua del santo popolo eletto, per partecipare a questo mistero che prefigura il mistero di tutta l’umanità chiamata libertà.
Noi sappiamo dalla storia del popolo di Israele questo cammino non è sempre stato facile. Talvolta lamentò l’assenza di Dio, la fatica del cammino. E allora il Signore lo nutrì con la manna, lo nutrì con il pane degli angeli, che elargito loro, un pane disceso dal cielo. Il popolo in cammino sperimentò il bisogno di essere nutrito da Dio, di essere sostenuto da Dio. Anche noi, nei cammini della vita, sentiamo il bisogno della presenza di Dio, sentiamo il bisogno di essere nutriti, di essere sostenuti, di essere alimentati. Ma quale cibo chiediamo? La liturgia ci ricorda – e gli evangelisti più volte lo ricordano – che i nostri padri nel deserto mangiavano la manna, ma poi successivamente Gesù stesso disse, “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, io sono il vostro nutrimento, la vostra bevanda, per gli affamati e per gli assetati”, e viene così dal Cielo per soddisfare ogni fame e ogni sete.
L’uomo, la creatura umana, è un viandante affamato e assetato. Il Signore costantemente ci conduce, ci accompagna, non abbandona il suo popolo. È questo aspetto che desidererei sottolineare nell’Eucaristia. Non è il sacramento dei perfetti, di chi non ha peccati, diremmo noi nel nostro linguaggio, ma è il sacramento di ogni viandante. E perciò anche noi siamo chiamati a non avere paura di accostarci a questo grande dono, a questo grande nutrimento, perché il Signore prende in considerazione non il fatto che noi siamo già arrivati alla meta, ma che siamo proiettati all’eternità, alla meta.
Infatti, ogni volta che noi celebriamo l’Eucaristia, guardiamo anche alla meta: “Annunciamo la Tua morte, Signore. Proclamiamo la Tua risurrezione nell’attesa della Tua venuta”.
Il Signore viene incontro a noi nell’Eucaristia, ma Egli verrà incontro a noi nella fine dei tempi. Quindi l’Eucaristia è un sacramento di speranza, un sacramento di fiducia, un dono di grazia che ci sostiene e ci accompagna. Ma allo stesso tempo è anche un sacramento di popolo, di un popolo in cammino, una comunità che celebra il mistero della Pasqua. E l’Eucaristia, infatti, è l’apice della vita della Chiesa nel suo cammino attraverso i secoli, l’Israele di Dio. La Chiesa mai attua sé stessa così pienamente se non come quando celebra l’Eucaristia, in modo particolare quando a celebrare il mistero è il Vescovo con il suo presbiterio e il popolo di Dio, Epifania della Chiesa, come ci ricorda il Concilio Vaticano II.
L’Eucaristia è il sacramento nel quale noi celebriamo il memoriale perpetuo della Pasqua di Cristo e l’attesa del suo ritorno. In questa celebrazione noi conduciamo non soltanto desideri individuali, ma conduciamo e portiamo davanti al Signore i desideri e gli effetti dell’umanità intera. Quando la Chiesa si raduna, non si raduna solo per sé stessa, ma si raduna per celebrare un mistero di amore che avvolge il mondo intero. È una comunità che si sente pellegrina, ma che si sente anche apostolica, cioè inviata per presentare al Signore il cammino disagiato dell’umanità, le miserie e le debolezze della creatura umana, per presentare al Signore le gioie e le stanchezze, i risultati e le sconfitte.
L’Eucaristia è la presenza nel mistero del Signore che illumina nella luce della speranza il camino dell’umanità. Non è un sacramento di devozioni esteriori, ma il sacramento dell’incontro della persona umana. Mentre in altri rituali possono avere una certa valenza tutte le manifestazioni esteriori rituali, nell’Eucaristia è proprio la partecipazione vitale della persona con Cristo, che Dio ha voluto per noi.
Oggi noi assistiamo, talvolta anche oscurando un po’ la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, a delle manifestazioni esteriori tendenti ad esaltare la dimensione e le forze del mistero di questa celebrazione. Ma esse non sono necessarie, non sono richieste, non sono opportune. Il Signore della Pasqua attende la persona umana, attende la sua creatura. La vera Pasqua è l’incontro dell’individuo di quel popolo eletto con il suo Signore. Egli che dice: “Sono con te tutti i giorni”. La Sua presenza è il grande dono che il Signore ci ha donato. E quindi, qual è il luogo che va preparato? È il cuore.
“Dove vuoi, Signore, che ti prepariamo?”
Qual è la stanza superiore che il Signore ci chiede di preparare? È quella della vita, è quella dell’esistenza. Non sono strutture liturgiche esteriori, non sono manifestazioni inadeguate, ma la preparazione dell’individuo a incontrare il Signore. E perciò desidero sottolineare quanto sia importante riscoprire la Messa Domenicale come Pasqua della settimana. Purtroppo, mi trovo a constatare anche nella Visita pastorale che non sempre la Messa Domenicale costituisce una delle priorità nelle nostre comunità e non lo è neppure nell’educazione dei figli. Forse in nome di una libertà, non lo so. Ma mi domando: un genitore lascia senza cibo e senza gli altri elementi materiali il figlio giovane che non ha ancora raggiunto l’età della propria autonomia? E allora, perché non trasmettere anche i doni spirituali? Perché non trasmettere tutti quei doni che rendono completa una persona nella sua pienezza? Poi, ciascuno nell’età matura compirà le proprie scelte. La trasmissione della fede, la trasmissione della Pasqua è un compito della Chiesa, è un compito di popolo, è un compito della comunità credente, è un compito della Chiesa pellegrinante.
Esorto davvero sotto questo profilo, nel tempo di cammino sinodale, a riscoprire l’importanza, l’urgenza di portare al primo posto, rispetto a qualunque altra cosa, il giorno del Signore e la celebrazione dell’Eucarestia. Voglia il Signore far suscitare profondamente in ciascuno di noi, in tutto il popolo di Dio, in un cambiamento di tempo, in un cambiamento di ritmi sociali, di vita, di nuovi bisogni, la forza di preparare la Pasqua del Signore, quella Pasqua della settimana, il giorno dell’inizio».