Lunedì 3 aprile è si svolta la Pasqua dell’Università. L’appuntamento, moderato dal responsabile diocesano della Pastorale universitaria don Fabio Nieddu, ha visto la partecipazione nell’aula magna dell’Ateneo del Rettore prof. Gavino Mariotti e della prof.ssa Giusy Manca, docente di Pedagogia sociale della marginalità e della devianza presso il dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione. Tra i momenti centrali dell’incontro accademico, la lectio paschalis dell’Arcivescovo Gian Franco Saba
“Quello tra Arcidiocesi e Università – ha detto l’Arcivescovo – si conferma un rapporto sereno, basato sul confronto: la stessa dimensione di riflessione tende non a polarizzare ma a porre in relazione. La sfera della laicità è importante per garantire il confronto tra diverse espressioni culturali”. La sua relazione ha preso spunto dal dialogo socratico dell’Alcibiade I di Platone con riferimento al concetto di Therapeia tes Psiches nella paideia classica e lo sviluppo che ebbe in ambito della letteratura cristiana antica. In particolare è stato fatto riferimento ad alcuni testi di area antiochena del IV secolo. L’approccio personalistico dell’umanesimo patristico costituisce una conquista nella visione della persona umana destinataria di ogni forma di cura. La Therapeia è una forma di cura che richiede attenzione al soggetto concreto. Non è soltanto un theorein o gnosein ma implica una epimeleia, una praxis che fa emergere potenzialità e limiti del soggetto. L’Alcibiade I inoltre pone in rilievo che la relazione di cura si sviluppa in una relazione con un individuo evoluto nella Psyke producendo un processo relazionale di auto conoscenza sulla sfera dell’interiorità. “Vorrei soffermarmi – ha detto l’Arcivescovo – sull’azione della cura, in stretta relazione con la cultura, perché esse sono profondamente connesse. La cura non può essere presa in considerazione solo nell’ambito medico, come spesso siamo abituati a fare. La tradizione classica, infatti, ad esempio, ci rivela tutte le declinazioni di questa parola. Uno degli obiettivi della dimensione della cura dell’anima è quello di educare la persona ad entrare nella sfera della vita. È una dimensione volta alla prospettiva di accompagnare i giovani ad entrare a pieno nella sfera della vita. La tradizione cristiana progressivamente accoglie l’esigenza di coltivare la persona, e questo porta la persona, in seguito, a compiere delle scelte. Tra queste vi è la scelta di fede, una scelta di senso in rapporto alla vita. Non dimentichiamoci, poi, di prenderci cura di noi stessi”.
Non è mancato un riferimento alla prospettiva antropologica delle narrazioni della passione: “La Passio, che ascolteremo in questi giorni, ci mostra un’altra dimensione che è quella di essere esposti, Gesù ha condiviso la posizione dell’uomo esposto. La fede cristiana non ha paura di considerare la condizione umana come condizione di fragilità”. Ha poi concluso con queste parole: “La dimensione della cura è una chiamata alla responsabilità, per dare forma al proprio essere, alla vita, per essere chiamati ad un compito, per disegnare di senso i sentieri dell’esistenza. Cogliere il tempo che ci è donato significa apprendere e aver cura dell’esistenza, che non significa solo essere chiamati ad esistere ma anche apprendere l’arte di aver cura dell’esistenza. Tutti noi siamo chiamati nella relazione con i giovani a favorire delle situazioni nelle quali sia possibile applicarsi nell’arte di esistere. Una sola prassi non può inglobare le diversità. L’educazione non si riduce a dei metodi, o piste, non si tratta di trasmettere nozioni ma di sollecitare sapere che serve alla vita, accumulare notizie serve per rendere sempre più vigorosa la condizione interiore della persona umana. Per coltivare questa prospettiva occorre suscitare il desiderio vivo di apprendere pratiche di ricerca: il desiderio di un’altra dimensione, l’orientamento caratterizzante relativo all’esistenza. Impariamo a uscire dalla comfort zone che ci lascia meri spettatori della vita, accettiamo di non stare solo a guardare. È importante assumere la carica e il peso della propria realtà, la capacità di superare l’angoscia che può toccare l’essere umano. Gesù stesso, nel Getsemani, sudò freddo e provò angoscia. La capacità di cura significa considerare una persona sotto tutti gli aspetti affinché si possa essere in condizione di assumere la responsabilità della formazione, facilitare nell’altro capacità ad attivare processi auto-formazione”.
I partecipanti della Pasqua universitaria si sono spostati poi alle 18 nella cattedrale di San Nicola per la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo. La liturgia è stata accompagnata dai canti eseguiti dalla Corale universitaria.