Mentre medito e prego sui temi del saluto augurale da rivolgere alla Chiesa diocesana, immagino nella fantasia le diversità dei climi atmosferici e culturali nei quali l’umanità vive la festa del Natale del Signore Gesù Cristo. Il clima meteorologico non è lo stesso dappertutto, poiché il sole ed il clima estivo sono la cornice naturale di alcuni Paesi, il freddo e la neve fanno da sfondo in altri ambienti geografici, gli esiti delle mutazioni atmosferiche presentano situazioni di continua alternanza in altri Paesi.
Le tradizioni e le consuetudini: la vivacità culturale delle tradizioni offre una ricca e significativa varietà dello spirito umano dotato di libertà creativa, espressiva, comunicativa. Una ricchezza che i colori, le musiche, lo stile delle feste familiari e pubbliche mostrano nei tanti rituali pubblicizzati dai social network e dalle agenzie di viaggio. Tutto mi porta a pensare alla dimensione plurale dell’umanità, della sua storia e delle sue configurazioni esterne ed interiori.
Sviluppare uno sguardo allargato verso orizzonti più vasti ci invita ad assumere l’atteggiamento di Giuseppe, il quale dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo, “destatosi dal sonno” inizia il faticoso cammino di leggere, interpretare ed assumere la realtà con occhi nuovi. Un modello anche per il cammino ecclesiale che dall’annuncio del 27 giugno e più concretamente dal 1° ottobre abbiamo iniziato insieme: Vescovo e Popolo, Popolo e Vescovo membri di una comune famiglia. Il Santo del silenzio e dell’ascolto attivo ci conduce in una strada che propone di scuotere le abitudini, di accogliere una geografia della pluralità, per accompagnare i processi di comprensione e d’interpretazione.
Che cosa rimane in comune dentro la pluralità? La presenza dell’Emmanuele, il Dio con Noi, Gesù di Nazareth. Un Centro che ci interpella, ci coinvolge, attende una risposta. Sant’Agostino, cantore innamorato del Dio fatto Uomo, rivolge una domanda ai suoi interlocutori: “Dio si è fatto uomo. Cosa diverrà l’uomo se per lui Dio si è fatto uomo?” Una domanda attuale. Una domanda che va oltre le differenti forme esteriori elaborate per festeggiare il Natale.
Che cosa diverrà la nostra Chiesa come comunità e come singoli? Quali le sfide che ci attendono? Quali i progetti, i programmi? Quali le strade per affrontare le crisi che anche a Natale suscitano dolore e sofferenza, e anzi, forse le fanno sentire ancor più forti? Tutte domande legittime. Quali le risposte, certamente attese ed oggetto di attenzione. Consentitemi di dire una parola previa: quale la priorità per affrontare insieme con spirito queste domande, udire le voci di dolore con autentica attenzione? La via maestra è indicata nei testi della liturgia che ascoltiamo ripetutamente in questo periodo di Avvento e che Papa Francesco ha posto al centro del nostro impegno pastorale: riscoprire la gioia del Vangelo. Ecco il mio augurio. Prego affinché ciascuno di noi accolga nel suo cuore, nei suoi progetti una riforma di vita fondata sull’annuncio rivolto dagli angeli ai pastori: “Non temete! Vi annunzio una grande gioia per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato un Salvatore, che è il Messia Signore”.
La pratica della pluralità mi porta a pensare ai tanti amici che nella nostra diocesi celebrano il Natale soltanto come festa sociale; ai tanti volti, ancora non incontrati, che tuttavia già sono presenti nel mio cuore di pastore. L’incontro tra le umanità fa parte della missione della Chiesa, della missione del Vescovo: uno spazio di amicizia, di fraternità, di condivisione delle gioie e dei dolori dell’uomo del nostro tempo.
+ Gian Franco Saba, Arcivescovo