L’ultima beatitudine
ANNO C – II DOMENICA DI PASQUA
At 5,12-16 | Sal 117 | Ap 1,9-11.12-13.17.19 | Gv 20,19-31
Ufficio Comunicazioni Sociali – don Michele MURGIA
Nel Discorso della montagna le Beatitudini sono nove (cf Mt 5, 1-12) e nel luogo pianeggiante diventano quattro (cf Lc 6,20-23). Nei vangeli di Matteo e Luca, Gesù pronuncia la parola “beati” poche altre volte nei suoi insegnamenti. Solo Giovanni però ce la consegna come parola pronunciata dal Risorto: “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29). Ai poveri, i miti, i puri di cuore, gli operatori di pace e i misericordiosi, a chi piange o è affamato, insultato o perseguitato Gesù parla sempre forte, ma quest’ultima beatitudine è diversa: non dipende dalla ricerca delle virtù o dal male causato dagli altri uomini. Nasce direttamente da Dio, come dono “teologale” a coloro che hanno messo il proprio cuore dentro quello del Risorto, non il mero dito nelle sue ferite, ma la propria esistenza dentro la Sua. Sentiamo o diciamo: “tu non lo puoi sapere, perché non c’eri”; invece oggi: “Non c’ero e tuttavia so tutto”. Un privilegio che solo mettendo la nostra stessa vita dentro la vita di un’altro si può conoscere, aldilà dell’esperienza diretta: la stima, l’affetto, l’amicizia, la compassione e l’amore lo insegnano “umanamente”. Si indovina così il cuore degli altri. E Dio ci consegna il suo gratuitamente, senza misura, perché la stessa esperienza si realizzi “divinamente”. Fede: sì, beati noi!
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