Nel primo pomeriggio di sabato 29 marzo, in occasione della Visita pastorale, l’arcivescovo Gian Franco ha fatto visita agli ospiti della casa di riposo “Paolo VI”, amministrata dalle Suore del Getsemani.
L’Arcivescovo, rispondendo al caloroso saluto di benvenuto da parte della comunità, ha rivolto un messaggio di vicinanza spirituale a tutti i presenti:
«Saluto la Superiora Generale, Madre Maria Carmela, le sorelle, in particolare la Superiora della casa, tutte le collaboratrici e i collaboratori laici e ciascuno di voi. Saluto don Bastianino per il servizio di assistenza spirituale e il parroco del territorio, don Giovanni Maria Morittu.
Ci troviamo nella casa “Paolo VI”. San Paolo VI è stato un grande santo, capace di guidare la Chiesa e di interpretare i tempi della modernità. Una delle sue attenzioni particolari è stata rivolta proprio ai mondi della sofferenza: ha mostrato grande sensibilità e cura, ed è per questo un protettore significativo. Egli stesso ha vissuto la sofferenza, offrendola per la Chiesa.

Inoltre, concludendo il Concilio Vaticano II, parlando della fede cristiana, ha ricordato che la religione del Concilio è la religione del buon samaritano. Dal Concilio, infatti, abbiamo compreso che la fede cattolica si esprime attraverso la logica del buon samaritano.
Chi è il buon samaritano? È colui che non si mostra distratto davanti alla sofferenza degli altri. Così dev’essere la Chiesa: non distratta di fronte alla sofferenza, alla fragilità, alla debolezza. Il buon samaritano prende sulle proprie spalle colui che trova ferito lungo la strada e lo porta in una locanda. Questa locanda, oltre a essere il cuore di Dio, la casa di Dio, la Santissima Trinità – nella quale ciascuno di noi ha un posto e in cui Dio si prende cura di noi – è, concretamente nel mondo, la Chiesa, chiamata a essere questo luogo dove ci prendiamo cura gli uni degli altri.
Ringrazio, dunque, la comunità delle Suore del Getsemani per questo carisma speciale, anzi specialissimo, della cura verso chi vive situazioni di dolore e sofferenza.
L’anzianità, come voi sapete meglio di me, e la vecchiaia in modo particolare, sono realtà belle, perché il Signore ci dona la grazia di vivere e di proseguire il cammino. Tuttavia, sono segnate anche dalla fragilità. E allora ci si domanda: cosa fare in questo tempo di fragilità?
Forse non è più il tempo del fare, ma è il tempo in cui possiamo compiere qualcosa di molto importante: la carità della preghiera per il prossimo, la carità dell’intercessione.
Se è vero – e lo è – che il carisma delle Suore di questa Congregazione è quello di essere spose del Getsemani, tant’è che vi è la pratica dell’Adorazione Eucaristica e di altre forme di sponsalità “getsemanica”, allora questa casa di accoglienza per signore avanti negli anni è un modo per prolungare quella preghiera, un’estensione del Getsemani.
Quindi, questo non è un luogo ordinario: è un luogo importante. Anche la presenza del sacerdote e l’assistenza spirituale sono realtà significative.
Questo non è il luogo dell’inefficienza. Può sembrare, a volte, quando non si sta bene, quando non si hanno più forze, di non servire più a nulla. Ma non è così. In comunione con il Signore, la preghiera – come dicevo prima – è un modo per prendersi cura del mondo. Con la preghiera possiamo intercedere per i nostri fratelli: pregare è un vero atto di carità.
E allora, vi affido questa missione: pregare per il mondo, per la Chiesa, per il Papa, per il Vescovo, per i Vescovi, per le vocazioni maschili e femminili. Certamente pregate anche per i vostri figli, i parenti, i nipoti… ma sappiate che nella preghiera siamo tutti figli, tutti fratelli, tutti sorelle. Questa è la locanda del buon samaritano!
San Paolo VI è stato un grande maestro in questo, perché ha annunciato al mondo due verità fondamentali: che la religione del Concilio, e dunque la nostra fede, è la religione del buon samaritano, e che la vita è un dono di Dio, dal concepimento fino all’ultimo respiro. Quest’ultima affermazione è stata espressa con chiarezza anche nell’enciclica Humanae Vitae, un testo che, pur avendo suscitato molte polemiche, intendeva riaffermare con forza un principio essenziale: la sacralità della vita umana. Dedicare questa casa a San Paolo VI è stata una bella intuizione.
Un’altra sua grande attenzione di Papa Paolo VI fu per i poveri del mondo: basti pensare alle sue visite a Pompei e nei quartieri più fragili durante i suoi viaggi apostolici.
Con questo spirito, vogliamo affidarci a un Pontefice ormai in Paradiso, molto caro a tutti noi e all’umanità intera, affinché continui a ispirarci gesti di promozione e di cura della vita e della persona.
A voi, infine, la missione della preghiera, che è un modo concreto per prendersi cura degli altri. San Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta dicevano una cosa molto bella: “Dove non possiamo arrivare con le nostre forze, possiamo arrivare con la forza della preghiera”.
Noi siamo limitati, è vero, e forse voi, a volte, fate anche fatica a camminare fisicamente. Eppure, con la preghiera, possiamo volare dove le nostre gambe non arrivano. Ci sono situazioni che non riusciamo a gestire umanamente: è lì che il Signore ci chiede di affidarci alla sua potenza e alla sua opera, più che alla nostra responsabilità».