Celebrazione Eucaristica in occasione del XV Capitolo Generale delle Suore del Getsemani

21 Marzo 2025 | News, primo piano, vescovo

Nella mattinata di ieri, 20 marzo , si è aperto il XV Capitolo Generale Ordinario della Congregazione delle Suore del Getsemani dal tema: «“Rimanete in me” (Gv 15,4). Fedeltà creativa per vivere un carisma di carità». L’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella chiesa del Santissimo Sacramento a Sassari.

 Nell’omelia, l’Arcivescovo ha detto:

 «La settimana della Trasfigurazione del Signore ci riporta a ciò che è essenziale nella nostra relazione con Dio e con i fratelli: la dimensione dell’ascolto.

L’evangelista Luca apre fin da subito la sua narrazione, mostrando come la storia della salvezza sia una storia di ascolto della voce di Dio. Così anche Maria e Giuseppe saranno raggiunti da questo invito all’ascolto. Gesù stesso si mette in ascolto, in dialogo, e invita gli altri – i discepoli – a mettersi in ascolto della sua Parola.

Il Padre, parlando del Figlio, dà un’indicazione precisa a coloro che lo seguono: ascoltatelo. “Ascoltate, Egli è l’Amato”.

E così, progressivamente – come abbiamo ascoltato domenica scorsa sul monte della Trasfigurazione – siamo chiamati ancora una volta a entrare nella logica dell’ascolto. Pietro avrebbe voluto entrare nella logica della visione, della bellezza, ma vi è un tratto di strada che richiede l’ascolto, l’ascolto della voce del Figlio. È il mistero della nostra esistenza.

 Anche oggi Gesù narra una vicenda nella quale l’ascolto può cambiare il modo di vedere, di pensare, di valutare. Vi è un personaggio, un uomo ricco, che è immerso in una fiamma -possiamo usare questa immagine. E vi è poi un povero, Lazzaro, immerso in un’altra fiamma. Le due dimensioni sono contrapposte.

Nella prima fase, quest’uomo ricco non è immerso solamente nella fiamma del benessere, ma anche in quella dell’egoismo, di una vita chiusa in sé stessa, incapace di aprirsi all’altro, che non crede e non riesce ad ascoltare – o meglio, pur vedendo, non ascolta – il gemito dei poveri. Poi, a un certo punto, questa logica si inverte. In colui che era immerso nella fiamma del proprio egoismo, quell’egoismo si manifesta come tormento. In fondo, ciò su cui aveva fondato la propria felicità non è la sua vera felicità: è il suo tormento, che lo accompagna sempre. È la condizione di chi è chiuso in sé stesso e non riesce ad aprirsi all’altro.

In questa prospettiva, alla fine, si apre un dialogo: l’uomo ricco chiede di mandare qualcuno, perché almeno la sua discendenza non cada nella stessa trappola. Ma Abramo risponde: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi”.

Ecco: è la Parola che viene ascoltata, è la Parola pronunciata che suscita la fede. Potrebbero esserci visioni, potrebbero esserci manifestazioni straordinarie, ma senza la fede – ci ricorda l’evangelista Luca – non saranno persuasi. Luca sa bene che, anche per giungere alla fede nella risurrezione del Cristo, è necessaria la via dell’ascolto. Egli annuncia il Cristo risorto, il Signore della storia.

Anche noi vogliamo chiedere, in questo Capitolo della vostra Congregazione, in questa stagione della Chiesa – ed è bello pensare che il Capitolo si svolga in una stagione particolare della Chiesa Universale e della Chiesa Diocesana – di avere uno sguardo ampio, uno sguardo di apertura, suscitato dalla Parola di Dio, che dilata profondamente il nostro modo di sentire, di leggere la storia, le vicende, gli avvenimenti.

Ci invita ad avere uno sguardo che va oltre il momento presente, per puntare su un bene che non è immediato.

Talvolta può esserci, per tutti noi, la tentazione di chiudersi in un bene del momento, in ciò che viviamo subito. A volte c’è un bene che non vediamo, che non riusciamo a riconoscere. Si ha bisogno, dunque, della dilatazione della fede, che ci orienti verso uno sguardo più lungo. E questa dilatazione nasce dall’amore. La dimensione della relazione sponsale caratterizza la consacrazione nella vita religiosa. La vita religiosa non è solitudine, pur avendo una dimensione di clausura, di raccoglimento: è sponsalità con Cristo.

 Questa sponsalità con Cristo ci immerge in quella fiamma d’amore che ha animato Cristo stesso. Quell’amore che nel Getsemani – come il carisma a voi consegnato tramite i fondatori -vi è stato donato, perché nella Chiesa risuoni attraverso la preghiera, che è il modo più alto di amare il prossimo.

 Accanto alla preghiera di intercessione, e a quella di adorazione e di contemplazione, vi è un’altra dimensione: il prolungamento, la trasmissione, la comunicazione nella vita quotidiana di questa fiamma d’amore, che raggiunge le agonie del tempo presente.

Forse mai come oggi siamo chiamati a discernere e ad ascoltare queste voci agonizzanti. Questo ci dona la forza di non ripiegarci su noi stessi, pensando di essere solo una voce di fragilità e debolezza. Ma è proprio nella debolezza che il Signore suscita la forza per ascoltare quelle agonie, che ancora oggi sono presenti e sono di vario genere e natura.

 Voi le sperimentate nell’azione apostolica e missionaria che svolgete. In quest’ottica, mi pare che possa aiutarci quanto Papa Francesco dice nell’Evangelii Gaudium, che stiamo leggendo e cercando di comprendere, per darne volto nella Chiesa locale. Il Santo Padre ci dà alcuni suggerimenti che desidero condividere con voi questa mattina.

 Il primo è la fede nella risurrezione, come abbiamo ascoltato: “Se pensiamo che le cose non cambieranno, ricordiamo che Gesù Cristo ha trionfato sul peccato e sulla morte ed è ricolmo di potenza”.

Questo è il primo pilastro. Viviamo un tempo in cui, nella Chiesa, può esserci la tentazione di pensare che nulla possa cambiare. Oppure, al contrario, la tentazione di considerare il cambiamento in atto come un male. O ancora, la tentazione di un cambiamento che spazzi via tutto, senza discernimento. Sono tre tentazioni.

“Cristo risorto e glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza”, ci ricorda il Santo Padre. Ed ecco il Giubileo della Speranza. Credo che il vostro lavoro faccia bene alla Chiesa, universale e diocesana, perché pone gesti di speranza. È bello pensare che la vostra missione, dal Getsemani dell’agonia, esca per dare segni di speranza e per chiedere la grazia della speranza, nell’adorazione costante e nell’intercessione costante.

Forse oggi le forze non sono più tantissime, ma un segno di speranza è come un seme gettato che, poi, il Signore fa fruttificare. Dunque, il tormento non deve essere legato alla quantità, ma l’attenzione va posta sul seme generativo di un albero fruttifero.

Il Papa ce lo ricorda, sottolineando un mistero fondamentale della nostra fede: la risurrezione di Cristo non è una cosa del passato, ma contiene una forza di vita.

Molte volte sembra che Dio non esista, ma è altrettanto certo che, nel mezzo dell’oscurità, qualcosa di nuovo comincia sempre a sbocciare, e presto o tardi porta frutto.

 Il Signore ci apre allora a una nuova stagione dell’evangelizzazione della Chiesa. E il Papa la descrive come superamento di una tentazione: quella della stanchezza.

Vi sono due tipi di stanchezza, secondo la riflessione di Papa Francesco: la stanchezza momentanea, che dona ristoro, una sosta salutare e necessaria per chi ha bisogno di riposo, e la stanchezza cronica, che abbassa definitivamente le braccia. Quest’ultima inaridisce l’anima. Non è cosa buona e non dà vita all’anima.

La stanchezza – dice il Papa – può emergere perché il Vangelo, pur essendo bello, amabile, in certi momenti, il cuore può stancarsi. Ma la fede dona forza, perché mostra che Dio non ci abbandona. Significa credere che Egli avanza vittorioso nella storia, insieme a coloro che stanno con Lui.

Ecco, vogliamo fare nostre le parole del Salmista con cui abbiamo pregato:

“Beato l’uomo che confida nel Signore,

non siede in compagnia degli stolti,

ma nella legge del Signore trova la sua gioia

e la medita giorno e notte”.

 Da questo consiglio saggio, dalla Parola del Signore, nasce un albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo, e le sue foglie non appassiscono, e tutto ciò che fa riesce bene.

Il Signore veglia sul cammino dei giusti: è la presenza del Signore che stiamo invocando nell’Eucaristia, e che certamente non ci farà mancare in questo momento importante, in cui chiediamo la grazia di una luce peculiare per questa tappa della vita della Chiesa, mediante la missione delle Spose del Getsemani».

 Al termine della celebrazione si è svolta la visita alle tombe dei Fondatori, Padre Manzella e Madre Angela.

L’arcivescovo Gian Franco invita tutta la Comunità diocesana ad accompagnare i lavori dell’Assemblea Capitolare con la preghiera affinché questi giorni siano vissuti nel discernimento delle nuove vie indicate dallo Spirito Santo: apertura alla dimensione ecclesiale, coinvolgimento attivo al cammino sinodale delle chiese locali, anche in terra di missione, e in comunione con tutta la Chiesa universale in particolare in questo Anno Santo Giubilare caratterizzato dalla “Speranza che non delude”.

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