Visita pastorale nelle comunità parrocchiali del Sacro Cuore, Cuore Immacolato di Maria e Gesù Buon Pastore, a Sassari

16 Marzo 2025 | News, primo piano, vescovo, Visita pastorale

Sabato 15 marzo è iniziata la Visita pastorale nelle comunità parrocchiali del Sacro Cuore, Cuore Immacolato di Maria e Gesù Buon Pastore, a Sassari.

L’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica di apertura nella chiesa parrocchiale Gesù Buon Pastore, alla quale hanno partecipato i sacerdoti e i fedeli delle parrocchie coinvolte nella Visita pastorale.

 

Si riporta di seguito l’omelia dell’Arcivescovo:

«Iniziamo il nostro cammino di Visita pastorale in questa porzione del popolo di Dio, nelle parrocchie del Buon Pastore, del Cuore Immacolato di Maria e del Sacro Cuore, lasciandoci guidare dalla parola che l’Apostolo Paolo rivolge ai Filippesi (Fil 3,17-4,1), una parola che illumina anche il senso e il significato della Visita pastorale.

L’Apostolo Paolo, rivolgendosi ai cristiani, li chiama fratelli: “Fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!”. È una parola bellissima dell’Apostolo, un’espressione che testimonia il suo amore: essi non sono semplicemente “cari”, nel senso comune che diamo oggi a questo termine, ma sono gli amati dell’Apostolo, coloro per i quali egli dona la vita come evangelizzatore. Perciò essi sono al centro della sua attenzione, della sua premura, inseriti nel progetto dell’amore di Dio: sono la sua gioia e la sua corona.

Credo che in queste poche parole sia espresso il vincolo che lega un vescovo e un presbitero alla loro comunità: un vincolo anzitutto di amore. La Visita pastorale, che da oggi condividiamo,desidera esprimere proprio questo amore reciproco. Uno degli obiettivi principali di una Visita pastorale è quello di edificare la comunità cristiana nell’amore, non in un amore generico, manell’amore di Cristo, nei legami dell’amore di Cristo. Questo è il desiderio pastorale che ci spinge a vivere questo momento con l’obiettivo di annunciare il Vangelo e trasmettere la fede in Cristo in modo sempre nuovo e rinnovato.

L’Apostolo ha il desiderio che questi suoi fratelli e sorelle rimangano saldi nel Signore, cioè ben radicati in Cristo, come un edificio fondato sulla roccia. Ecco perché dicevo che l’amore dell’Apostolo non è un amore generico o un semplice sentimento: vi è certamente anche quello, ma esso si fonda sulla trasmissione dell’amore di Gesù, che lo ha mandato affinché la comunità si radichi nell’amore di Cristo, si radichi in Cristo. Questo è il senso del Cammino sinodale nel quale Papa Francesco ci ha guidati con gioia e con determinazione. Lo ha fatto quando le forze erano integre e continua a farlo anche oggi, dal letto dell’ospedale, indicando ancora per il prossimo triennio un tempo per consolidare il cammino della Chiesa nella via della sinodalità. E che cos’è questa via della sinodalità, se non la via dell’amore? È il camminare insieme con Cristo, non sparpagliati, dispersi ognuno per conto proprio, non lasciandoci guidare da desideri egoistici, divisioni, lacerazioni, contese, ipocrisie, falsità e menzogne – come dice l’Apostolo Paolo in altri passaggi – ma radicati in Cristo, ben fondati in Lui. La Visita pastorale è a servizio di questo Cammino Sinodale: essa ci aiuta compaginare il nostro itinerario in una logica di sinodalità.

 L’Apostolo ci esorta a comportarci come amici della croce di Cristo e non come nemici della croce (cf. Fil 3,18). Perché dice questo? Perché vi erano alcuni che, all’interno della comunità cristiana, ritenevano che l’umanità di Cristo, cioè del Verbo di Dio, fosse solo un’apparenza. Avevano paura di pensare che Dio si fosse realmente fatto carne, che il Verbo si fosse incarnato al punto da sperimentare il mistero della passione, del dolore, della morte ignominiosa della croce. Chi nega questo non è un amico di Dio, ma ne diventa nemico, perché nega l’amore di Dio per l’umanità. L’Apostolo Paolo vuole preservare l’annuncio dell’amore pieno, totale, di Dio per l’umanità.

A volte anche noi corriamo il rischio di immaginare un Gesù astratto, un Gesù un po’ fantasma, un’idea lontana. Il Papa parla di un Gesù “gnostico”, un concetto intellettuale privo di carne. Invece, nel Verbo di Dio fatto carne vediamo l’amore di Dio per noi: l’invisibile si è reso visibile, superando i nostri limiti concettuali e razionali.

Ecco, allora, che il luogo più brutto, quale era la croce – patibolo di una persona derisa, malfamata, calunniata – diventa il segno supremo dell’amore di Dio per l’umanità. Per questo l’Apostolo mette in guardia dai nemici della croce di Cristo (cf. Fil 3,18).

 Qual è il compito della comunità parrocchiale? È quello di vivere il mistero dell’amore di Dio attorno all’Eucaristia, nell’ascolto della Parola, nello spezzare il Pane e nel vivere la carità gli uni verso gli altri. La Chiesa celebra la presenza viva del Signore risorto e da questo mistero vogliamo lasciarci educare. Se questo è un mistero di amore, è anche un mistero di vicinanza. La croce di Cristo ci dice che Dio è prossimità. E proprio questo significa intraprendere la via dell’uscita, della missione, come ci esorta Papa Francesco: essere una Chiesa in uscita, una Chiesa che non si chiude in se stessa, che si adagia su principi disincarnati, ma che sa avvicinarsi alle ferite dell’umanità, che sa mettere il dito nella carne sofferente delle persone.

 La comunità parrocchiale è la comunità che celebra l’amore di Dio, e lo celebra anzitutto come sacramento di unità. Ogni qualvolta lediamo l’unità nella Chiesa, compiamo un atto che la ferisce profondamente, quasi crocifiggendo di nuovo Cristo in forme diverse. Perciò è bello testimoniare la comunione tra le parrocchie, che non devono essere in contrapposizione tra loro, ma camminare insieme nella stessa direzione. Ci sono storie diverse, parrocchie più antiche e altre più giovani, ciascuna con le proprie peculiarità, ma ciò che ci tiene insieme è l’appartenenza alla stessa famiglia, alla stessa Chiesa universale, alla stessa Chiesa diocesana turritana. Siamo fratelli e sorelle della stessa famiglia.

 La paura della croce di Cristo – ci dice l’Evangelista Luca – la sperimentarono anche i discepoli. Pietro, Giacomo e Giovanni furono portati da Gesù sul monte per pregare. Lì, a un certo punto, vedono la bellezza di Dio. Intravedono uno splendore, un qualcosa che è veramente importante per i loro occhi. Sono rapiti dal candore, dalla luminosità, da un aspetto che si trasforma, che mostra altro, che mostra qualcos’altro.

 L’Evangelista riferisce che si apre un dialogo, una conversazione, tra Gesù e altre due persone. E ci dice chi erano queste due persone: Mosè ed Elia. E Pietro, vedendo questa scena straordinaria, esclama che sarebbe bello rimanere lì: “Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne”. Ma l’evangelista sottolinea che egli non sapeva ciò che diceva. Pietro voleva rimanere in una dimensione del cammino di Gesù che gli era familiare. Probabilmente, aveva paura di proseguire lungo quell’altro tratto di strada che ancora non conosceva. È ciò che Luca chiama “l’esodo verso Gerusalemme”, quel cammino che spaventa tutti, perché è la strada della donazione completa, della consegna totale, del portare a compimento il progetto di amore di Dio fino alla sua piena realizzazione. Gesù, come sempre, comprende i suoi interlocutori. Ed ecco che il Padre, dalla nube, dà un’indicazione precisa: “Questo è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo”.

 Talvolta vi è fatica nell’accogliere il progetto di Dio nella nostra vita, nelle nostre esistenze. Ma il Padre ci indica una via sicura: quella dell’ascolto. Questa è l’altra via che desidero sottolineare. Di cosa si nutre una parrocchia? Come si nutre di Dio, di Cristo? Come può conoscere Cristo? Dall’ascolto della Sua Parola. “Ascoltatelo!”. Ognuno è chiamato a compiere il proprio cammino. Pietro, Giacomo e Giovanni, dopo l’esperienza della Trasfigurazione, lo annunceranno e lo testimonieranno. Ma prima hanno bisogno di mettersi in una disposizione di ascolto, di entrare nel mistero di Cristo. Senza l’ascolto, come dice l’Apostolo Paolo, non siamo in grado di comprendere il mistero della croce e rischiamo di diventare nemici della croce di Cristo. Pietro, Giacomo e Giovanni avevano sicuramente paura: “Dove ci porterà?”

 Ci sarà un’altra discesa, ancora più faticosa, per loro. Ma il Signore li condurrà. Tant’è vero che, a un certo punto, Gesù rimarrà solo. Chi fuggirà da una parte, chi dall’altra. Saranno tutti, in qualche modo, dei “recuperati”. Anche noi siamo un po’ tutti dei “recuperati” da Gesù, dei “ripescati” da Lui. In tutti noi c’è un po’ di paura nel seguirlo. Forse ci chiederà troppo, forse ci domanderà un impegno più grande di quanto siamo disposti a dare.

 Oggi, come comunità parrocchiali, siamo chiamati a metterci in ascolto della sua Parola e a domandarci: “Signore, cosa ci stai chiedendo in questo momento storico, in questa situazione geografica ben precisa? Qual è la tua volontà? Dove vuoi condurci?”. Ecco la via: l’affidamento. Rimanere sotto la Parola di Gesù.

Forse, nelle nostre comunità, l’ascolto della Parola di Dio nella quotidianità deve diventare un’abitudine più radicata. Il Papa ha suggerito di portare con sé un Vangelo tascabile. Oggi, con la tecnologia, abbiamo anche il Vangelo sul cellulare: siamo “iper-accessoriati”. Ma il punto non è la disponibilità dello strumento, bensì saper trovare il tempo e il cuore per l’ascolto. È nell’obbedienza all’ascolto che Gesù porterà a compimento tutto il progetto d’amore del Padre. E anche noi siamo chiamati a entrare in questa logica dell’ascolto.

 La Chiesa è chiamata a lasciarsi inondare dalla Parola di Dio. Viviamo in una società che rende faticoso questo ascolto. Siamo frastornati, bombardati da stimoli continui. La concentrazione è difficile. Dobbiamo purificare il nostro orecchio, ripulire l’orecchio del cuore. Questo è fondamentale. Siamo sommersi da messaggi negativi, eppure la Parola di Dio è lì per riempirci di speranza. Siamo chiamati a lasciarci guidare dalla buona novella, a lasciarci riempire e accompagnare da essa. Questo apre orizzonti nuovi, prospettive che il Signore stesso suggerirà a ciascuno di noi. Perché Dio ha un progetto per ogni persona, per ogni vita.

 Noto che fate cenno di assenso. Si vede che è un tema che avete già affrontato in catechismo. Il Signore ha un progetto per tutti. E questo è un dato certo, una cosa buona e vera.

Perciò, chiediamo al Signore, in questi giorni di Visita pastorale, di mettere da parte ciò che è secondario per concentrarci sull’essenziale: l’ascolto della sua Parola, la ricerca dell’unità, il cammino nella comunione e nella sinodalità».

 Al termine della celebrazione, l’Arcivescovo rivolgendosi ai partecipanti all’assemblea parrocchiale ha detto: «In questa parrocchia ho trovato accoglienza. Questa è una cosa importante. Ho percepito un’esperienza di corresponsabilità in atto: qui non si è spettatori, ma si partecipa. E si partecipa con uno stile di famiglia, come voi stessi avete sottolineato. Vedo un bel clima, comprendo le esigenze e le intuisco. Vi incoraggio ad andare avanti, perché è bello camminare insieme, sempre in questo spirito».

Poi, proseguendo, ha aggiunto: «Qual è il sogno di parrocchia del Vescovo? È proprio questo che state vivendo: una comunità tra la soglia e il focolare. Questo quartiere sta vivendo un’esperienza nuova: la catechesi qui si sta sviluppando in modo iniziale, come leggiamo negli Atti degli Apostoli.

Ci sono corsi di formazione, percorsi diocesani per la catechesi. Tra poco, grazie all’Ufficio liturgico, partirà anche il corso per le ministerialità istituite. Non si tratta di una contrapposizione alla parrocchia, né di togliere qualcosa, ma di un principio di sussidiarietà. È un sano scambio, una sana osmosi».

Infine, l’arcivescovo Gian Franco ha concluso il suo intervento così: «Vi incoraggio ad andare avanti su questa via. Occorre lavorare insieme. Trovo un clima bello e positivo. Andiamo avanti con fiducia.

In questi giorni della Visita pastorale continueremo ad approfondire le varie questioni. Ciò che mi ha colpito è che qui si vivono anche momenti di famiglia. Questo è molto bello: qui c’è la mensa della Parola, la mensa dell’Eucaristia, e poi c’è anche la fraternità. Ho saputo che domani condividerete il pranzo: è un segno di comunione. Vi incoraggio a proseguire su questa linea.

Grazie a tutti voi. Proseguiamo con gioia, con fiducia, con lo stile di una parrocchia accogliente».

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