Mercoledì 29 gennaio l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione dell’Eucaristia nella chiesa di Santa Maria in Betlem in occasione della memoria del Beato Francesco Zirano. La Santa Messa, concelebrata insieme all’Arcivescovo da numerosi parroci e presbiteri della diocesi, è stata animata dal coro “Laudate et Benedicite”, diretto da Jana Bitti. La lampada votiva all’altare del Beato è stata accesa da don Giovannino Conti, parroco della Parrocchia Cuore Immacolato di Sassari.
Di seguito si riporta l’omelia dell’arcivescovo Gian Franco.
«Nella giornata in cui ricordiamo la memoria del Beato Padre Zirano, la parola dell’Evangelista Marco ci presenta la parabola del seminatore che uscì a seminare. Come tutti noi sappiamo, del Beato Zirano non possediamo delle reliquie ma abbiamo qui nell’edicola, nello spazio a lui dedicato, la presenza di un po’ della terra di Algeri, ove versò il suo sangue. Una terra nella quale gettò il seme della confessione di fede. E vorrei soffermarmi proprio sull’immagine del seme, della terra e del seminatore, per farci guidare dall’esempio di questa grande e luminosa figura, figlio della Chiesa Turritana e membro della famiglia francescana conventuale.

L’immagine di Gesù, che si presenta come seminatore, è il segno di Dio che esce per venire incontro all’umanità. All’umanità, come ci spiega l’Evangelista Marco, che si presenta in condizioni molteplici riguardo alla capacità di accoglienza del seme della parola. Cristo esce per gettare il seme della Parola. Questo seme, in alcuni terreni trova accoglienza, in altri invece minore accoglienza, in qualche altro nessun tipo di accoglienza. Uno di questi terreni viene spiegato come il terreno tipico di chi è provato dalla tribolazione, di chi non è in grado di avere la capacità di sopportare la prova, la persecuzione a causa della parola. Questo terreno è paragonato al terreno sassoso. Il terreno sassoso ha degli spazi che accolgono la Parola, ma i sassi non consentono al seme di andare in profondità e perciò esso è simile a chi inizialmente lo accoglie con gioia ma poi non è capace di farlo fecondare in profondità. È tipico delle persone incostanti, che al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. E i sassi soffocano, non consentono al seme di diventare generativo. L’incostanza toglie la gioia.

Padre Zirano, che noi oggi ricordiamo, è il segno di un confessore della fede, che prima ha deciso di vivere la sua vita come francescano nell’ordine dei frati conventuali e poi di dedicare il suo ministero per la redenzione degli schiavi nel Nord Africa. Questo avvenne in un periodo in cui forti attriti tra cristiani e popolazioni musulmane, per motivi politici di vario genere e motivi di potere, giocavano anche sulla libertà religiosa, sulla possibilità di vivere e professare la propria fede.
Egli, da buon francescano, sceglie la via della perfetta carità, cioè quella di offrire la propria vita per causa di Cristo, per la causa di Cristo e la causa dei fratelli. In modo particolare, egli si recò per liberare dalla schiavitù un suo parente, un suo cugino. In quel periodo era diffuso il mercato degli esseri umani per motivi molteplici, ma questa grande piaga è ancora viva. Egli recandosi in queste terre,non poté fare granché poiché le situazioni politiche, le alleanze tra la Spagna e il governo locale non gli favorirono le possibili contrattazioni per liberare degli schiavi, per liberare quel suo parente, nonostante egli avesse chiesto e raccolto le somme necessarie per ridare la libertà a questi individui.

E quindi Padre Zirano è chiamato a rispondere alla chiamata del Signore in una situazione per niente facile, per niente consolante, anzi, in una situazione di tribolazione e di persecuzione. Egli però rimase fedele alla missione di testimoniare il Cristo. Egli desiderava confessare la fede nel Cristo e confessare la libertà di ogni essere umano, confessare la dignità, oggi diremmo con il nostro linguaggio, della persona umana, per liberarla dalla schiavitù.
Queste due vocazioni nel Beato Zirano vivono insieme: la fede nel Cristo, la carità verso il prossimo così profonda da restituirgli la piena libertà. In questa situazione di opposizione, di contrapposizione, egli sceglie la via del martirio. Riconosce che la sua gioia, la vera gioia, non è in una gioia momentanea, in una gioia passeggera, quanto piuttosto in una gioia eterna, la vera gioia. Egli sceglie la via della felicità.

E veramente potrebbe sembrare paradossale e contradditorio, ma la fede in Cristo lo apre a un orizzonte di eternità. Egli sa che la sua vita donata sarà fruttuosa. Il Beato Zirano non versa semplicemente la somma del denaro raccolto, ma versa tutto ciò che possiede: sé stesso. La sua donazione nella vita religiosa con i voti di castità, povertà, obbedienza, la sua donazione come presbitero, come sacerdote, trovano un pieno compimento nella donazione per l’amore pieno e totale. Egli non trattiene nulla per sé: la sua è una vita che è donata, è “gettata”, è perciò un seme che è gettato per terra perché porti frutto. Ma quale frutto? Apparentemente egli è sconfitto, perché non riuscì a conseguire il traguardo. Portò invece il frutto della fede, della testimonianza della fede. Talvolta la fede può apparire infruttuosa; talvolta la fede a uno sguardo terreno, a uno sguardo umano, può apparire perdente, può apparire senza esito. E invece egli persegue la vera vittoria. La vittoria della fede è una vittoria che non obbedisce alle logiche terrene, ma è la logica dell’amore.
Ecco perché la fede e l’amore sono strettamente congiunte tra di loro. E come Cristo ha donato se stesso pienamenteper l’umanità, come ci ha ricordato l’autore della Lettera agli ebrei, così Padre Zirano, a immagine di Cristo, in conformazione piena a Cristo, ha donato pienamente se stesso.
Talvolta nella vita quotidiana può apparire che vivere cristianamente sia un insuccesso, nell’ambiente familiare, nell’ambiente del lavoro, nella Chiesa stessa, anche tra noi cristiani, oppure in una società indifferente alla fede dei cristiani. Potrebbe emergere questa dimensione di perdita senza portare frutto, ma invece vi è un frutto che è quello della testimonianza. Come ricordavano gli antichi Padri della Chiesa, il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani.Ecco, la seminagione di chi testimonia per Cristo diventerà fecondità di nuova vita cristiana.
La via della testimonianza che ci viene indicata oggi è una via inerme, è una via che non ha armi, è una via della debolezza, una via della fragilità. Talvolta potrebbe esserci la tentazione di essere cristiani compiendo delle crociate, pensando che attivando una sorta di meccanismo religioso che si contrappone agli altri possa generare veramente la vita cristiana. Invece la via per generare nella fede è la via della perdita, è la via dell’oblazione piena, della donazione piena. Vi sono tante forme di martirio oggi. Tante persone, tanti esseri umani sono ancora oggetto della tratta degli schiavi, ridotti in piena schiavitù. Vi sono nazioni non disponibili ad accogliere chi è profugo, chi è esule, chi non sa dove poter trovare una integrazione. Accoglienza e integrazione sono due dimensioni che la fede cristiana oggi ripone al centro della nostra attenzione. Vi sono schiavitù di vario genere, schiavitù culturali, schiavitù educative, schiavitù di ogni sorta che la persona oggi vive e sperimenta. Sicuramente siamo chiamati a lasciarci illuminare dal Beato Zirano per capire, per vedere quali sono quelle schiavitù di tanti fratelli del nostro tempo che attendono una donazione di carità, che attendono un servizio di attenzione.
La presenza del Beato Zirano nella nostra città, nella nostra Chiesa, nella famiglia francescana, possa veramente essere un segno di fiducia, di speranza, per una Chiesa che diventa discepola, che esce lungo la strada a seminare la logica di Cristo, la logica dell’andare a cercare ogni persona oggetto di schiavitù».