Cheremule: Celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Gian Franco all’ingresso di don Piero Paulesu nella Parrocchia San Gabriele Arcangelo

25 Novembre 2024 | News, primo piano

Un momento di grande gioia e partecipazione della comunità di Cheremule ha caratterizzato ieri pomeriggio, 24 novembre, l’ingresso di don Piero Paulesu come nuovo parroco della Parrocchia San Gabriele Arcangelo. La Celebrazione eucaristica è stata presieduta dall’arcivescovo Gian Franco, il quale ha presentato ufficialmente il nuovo parroco alla comunità.

 Di seguito si riporta l’omelia tenuta dall’Arcivescovo:

«Oggi la liturgia ci propone la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, con la quale concludiamo l’anno liturgico. Domenica prossima, prima di Avvento inizierà il nuovo anno liturgico. La celebrazione dell’anno liturgico è il cammino attraverso il quale il Signore, il Re dell’Universo, ci viene incontro. La celebrazione mostra in sintesi uno degli atti principali che il presbitero, qui a Cheremule don Piero, il nuovo parroco, compie nella comunità: presiedere l’Eucaristia. Il parroco presiede la comunione, la sinassi, la convocazione eucaristica nella quale Cristo ancora attraverso i segni santi della liturgia viene incontro a noi.

Carissimo don Piero, questo ministero è proprio del presbitero e di nessun altro. È il presbitero che presiede l’Eucaristia in comunione con il Romano Pontefice e con il Vescovo diocesano, con tutto l’Ordine episcopale. È una proprietà unica del presbitero presiedere l’Eucaristia. Oggi vogliamo sottolineare proprio questo grande dono che viene dato a questa bella comunità di Cheremule. Un dono, come tutti i doni, che diventa ancora più bello quando è condiviso. 

Come avete potuto ascoltare nella lettura del decreto di nomina, benché don Piero sia il parroco proprio di questa comunità, continuerà a svolgere tanti servizi in unione e collaborazione, soprattutto in questa 

forania. Vi sono infatti servizi di cura che il Signore affida alla chiamata di singole persone, a quanti con generosità si mettono al servizio per l’annuncio del Vangelo, per l’edificazione della Chiesa.

 Caro don Piero, oggi la comunità ti accoglie, ringraziando il Signore e dicendo, come abbiamo ascoltato e pregato nel canto al Vangelo: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. “Nel nome del Signore” significa che il mandato ricevuto non è semplicemente un mandato giuridico – che pure ha la sua valenza e la sua importanza –, ma è un mandato pastorale, per partecipare alla missione di Cristo, che pasce il suo gregge. E come tu stesso hai sempre dimostrato, svolgerai il tuo mandato in profonda comunione con il Vescovo Diocesano, chiamato anch’egli ad essere Ministro di Cristo, Pastore dei Pastori. E questo ministero è, come ci ricorda il profeta Daniele (Dn 7,14) nella Prima Lettura, un ministero che riguarda tutti, tutta l’umanità, tutti i popoli, tutte le nazioni. Il Regno di Dio, infatti, non obbedisce a logiche mondane, cioè a circoscrizioni territoriali; il Regno di Dio è opera e azione dello Spirito Santo, che pian piano lo fa progredire al di là di ogni barriera.

Questo è il nostro impegno: metterci a servizio delle edificazioni del Regno di Dio. Non vi sono barriere di popoli, di nazioni, di lingue. Vi sono certamente differenze, diversità nelle quali vi è però una convivialità che nell’Eucaristia è manifestata. Perciò, come dicevo prima, il presbitero convoca la comunità cristiana attorno alla mensa eucaristica per ascoltare la Parola e spezzare il Pane eucaristico, per intercedere e pregare per l’umanità intera, per vivere la sorgente di ogni carità e di ogni prossimità. Questo è il vero potere che ci è stato dato: un potere non materiale, un potere spirituale che nasce dallo Spirito Santo. Forse oggi, in una società nella quale si è abbagliati da altre forme di potere e da altre forme di successo, non si vede il dono che è superiore ad ogni realtà umana, cioè il sacerdozio di Cristo, la grazia di rendere presente l’azione sacrifica di Gesù nella presidenza dell’Eucaristia.

Forse è anche questa una delle ragioni per le quali non vi è una grande risposta vocazionale, una grande risposta alla chiamata,alla vocazione. È possibile che ci si domandi: diventando prete, dove sta il mio successo? Dove sta la mia gloria? Se lo si dovesse misurare in termini umani, uno direbbe che non vi è un successo, neanche se uno venisse chiamato alle più alte gerarchie, perché comunque queste sono per i servizi, ed è comunque impari quello che può essere il desiderio della carne rispetto al desiderio dello Spirito, come direbbe l’Apostolo Paolo.

 Il Signore, chiamandoci al Ministero ordinato, non ci ha chiamati a una gloria mondana, a un successo mondano, ma ci ha chiamati a svolgere un servizio. Gesù mostra molto bene questo. Oggi, nel Vangelo, attraverso la versione di Giovanni, abbiamo ascoltato che alla domanda di Pilato se egli fosse il re dei Giudei, Gesù risponde che il suo regno non è di questo mondo. Perché se il suo regno fosse stato di questo mondo, di fronte alle avversità, ai no che il suo annuncio ha incontrato, egli avrebbe chiamato servitori, messaggeri celesti, eserciti celesti che lo avrebbero certamente reso vittorioso. Egli è un re nudo, come lo vediamo nella croce. Ma il re nudo è il re glorioso, è il re della gloria. Egli si è così donato profondamente a Dio e profondamente agli uomini.

In questa immagine si colloca anche la nostra missione sacerdotale, donati interamente a Dio, donati interamente all’umanità. Non sempre il nostro ministero è segnato dal successo, non sempre il nostro ministero può essere segnato dal raggiungimento di tutti gli obiettivi che ci prefiggiamo, ma ciò che è importante è la dedizione piena al Signore. E questo deve essere fonte di consolazione, di conforto. La vocazione è una chiamata di Dio, è un dono di Dio. Le azioni pastorali, la catechesi, l’annuncio del Vangelo, la cura degli ammalati, la cura delle famiglie, e tante altre dimensioni che potremmo indicare, a volte non palesano alcun successo calcolabile con strumenti sociologici, ma il Signore solo che possiede la conoscenza vera dell’interiorità. Oggi Gesù, in questa solennità che la Chiesa universale celebra, ci consegna una misura di ragionamento per cui la valutazione dell’efficacia di un mandato pastorale non dipende dalla sua misurabilità, ma dalla nostra piena dedizione al Signore, dal nostro pieno affidamento alla grazia di Dio.

 Caro don Piero, come ti sarà capitato di sperimentare altre volte, in questi primi anni di sacerdozio, capiterà ancora che le richieste rappresentate non sempre hanno una risposta. L’Apostolo Paolo dice: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10);è nelle sconfitte che egli fa l’esperienza della grandezza di Cristo. Ma questo è anche per voi, cari fedeli, quando vedete noi, vescovi, presbiteri, persone non all’altezza del nostro mandato, considerare che al di là della nostra umanità vi è una missione che va ben oltre: è la grazia di Dio che opera profondamente.

 Perché ho desiderato porre l’attenzione in quest’omelia su questi aspetti della grazia? Affinché non siano ragionamenti umani a dettare i criteri di rinnovamento pastorale sui quali stiamo lavorando, non vi siano irrigidimenti umani su epoche storiche, che un tempo richiedevano determinati stili e oggi ne richiedono altri, ma possa esserci il profondo affidamento alla grazia di Dio.Il nostro sentirci servi e non padroni ci rende capaci di metterci a disposizione di Dio mediante la chiamata della Chiesa».

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