Mercoledì 11 settembre l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione eucaristica per l’ammissione del seminarista Stefano Chessa tra i candidati al Diaconato e al Presbiterato nella parrocchia San Pietro in Vincoli a Ittiri.
Di seguito riportiamo l’omelia tenuta dell’Arcivescovo.
«All’inizio della celebrazione abbiamo utilizzato l’espressione: “Il nostro sguardo è rivolto a Maria”. Maria è come un faro luminoso. Questa sera vogliamo concentrare la nostra riflessione non solo sulla sua maternità – Maria Madre di Dio, Madre della Chiesa –ma vogliamo vedere in lei la perfetta discepola del Signore.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci ricorda che l’Angelo Gabriele fu mandato da Dio ad una vergine, sposa di un uomo della casa di Davide. L’Angelo le rivolse un invito, una chiamata nel nome di Dio. E perciò vediamo nel mistero di Maria, chiamata per nome, l’inizio del suo cammino di un nuovo discepolato. Seppur giovane, Maria comunque probabilmente seguiva e ascoltava la Parola, insieme ai suoi parenti professava la fede di Israele. Ma, ecco, arriva un invito particolare, un invito speciale: “Ti saluto, o pienadi grazia, il Signore è con te. […] Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù” (Lc 1,28.30-31).
Questo è l’annuncio di fronte al quale Maria prova il suo turbamento, le sue domande. Sente che il mistero di Dio entra nella sua vita in modo personale. Questo è il primo aspetto che vorrei sottolineare. Caro Stefano, questa sera, celebrando la memoria, per Ittiri la solennità del Santissimo Nome di Maria, Dio ci raggiunge e chiama per nome, ci invita ad entrare nel suo cammino che diventa anche il nostro. Maria è perciò il modello per ogni credente e per ciascuno di noi. Maria è Madre della fede ma anche discepola, perfetta discepola di Cristo, perché ha aderito alla chiamata di Dio, ha accolto il dono della chiamata.
Questa sera, la comunità ittirese e la comunità del popolo di Dio della Chiesa diocesana gioiscono per questo primo passo di Stefano, che la Chiesa ufficializza. Ma cos’è questo avvenimento? La Chiesa riconosce che il cammino discepolare di Stefano si configura come un itinerario verso il ministero diaconale e sacerdotale. Ciascuno di noi è discepolo del Signore e lo è in un modo diverso. Anche tu, Stefano, sei figlio di discepoli del Signore, cioè di papà e mamma. Così tutta la comunità si esprime nella pluralità di espressioni: papà e mamme nel mondo del lavoro, i presbiteri che guidano e accompagnano la comunità. Questa sera, per Stefano inizia una tappa importante, coltivata precedentemente con cura, dedizione, solerzia. Inizia una tappa discepolare speciale, che ha un orizzonte, una prospettiva: quella del sacerdozio, dell’ordinazione presbiterale.
Credo che questo aspetto porti tutti noi a scoprire la vita cristiana non in modo uniforme, ma in modo singolare. Come è stata singolare e peculiare la chiamata di Maria, così lo è la chiamata di ciascuno di noi. Ciascuno di noi è chiamato a vivere la fede cristiana non in modo massivo, informe, ma prendendo una forma speciale, specifica. Ma la prima dimensione della chiamata non è tanto il fare qualcosa, l’essere chiamato a fare qualcosa, quanto entrare in una relazione con il Signore.
“Il Signore è con te” (Lc 1,28) sarà il pilastro centrale della vita di Maria, nei momenti di gioia e nei momenti di dolore, e Maria accompagnerà il figlio in tutte le tappe della sua vita sino alla Risurrezione, ma anche nella passione, nella sofferenza, nelle tappe della crescita, nelle tappe del ministero, laddove ci si domandava quale fosse il progetto di Dio per Gesù il Nazareno.
“Il Signore è con te” (Lc 1,28). Questa è la prima grazia che Maria riceve; questa è la grazia che ciascuno di noi riceve: la relazione con Dio. Ogni volta che dimentichiamo questo elemento centrale, trasformiamo la nostra vita non in una missione, non in una vocazione, ma in un ruolo, in un mestiere generico, astratto, in un mestiere che non ha un sapore, che non ha gusto, che non si esprime nella logica dell’amore di Dio verso di noi e nostro verso di Dio. Questo pilastro, carissimo Stefano, credo sia importante per tutti noi perché talvolta prevale il ruolo del ministero: Cosa farò? Che cosa sono chiamando a fare? Che cosa mi verrà chiesto? E diventa quasi un’ansia. Un’ansia che non dona pace all’interiore.La domanda invece deve essere: Chi sono chiamato ad essere?Questo è il punto che dà fondamento alla nostra vita e la rende capace poi di entrare nella logica di Maria. Alla fine, Maria dirà:“Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Ma prima ha avuto bisogno di entrare in una logica di incontro, in una logica di relazione.
Qual è il senso profondo di tanti anni di formazione filosofica, teologica e pastorale, se non questo punto fondamentale?
Questo è essenziale anche perché la vita del presbitero, come del vescovo, come del diacono, non prenda prospettive che non sono opportune. Perché, come ci ricorda Sant’Agostino, noi siamo chiamati a pascere il gregge del Signore, “non come nostre pecore, ma come pecore del Signore. Non come mie, ma come tue”. Ma perché vi sia questo “come tue” è necessaria questa logica relazionale. Ogni volta che nella vita ministeriale si inserisce la logica dell’Io, separato dalla relazione con Dio, anche l’azione pastorale perde il suo sapore, perde il suo significato.
La vocazione è chiamata alla gioia. Rallegrati, certamente all’impegno, anche alla fatica, in qualche momento anche al sacrificio, e in qualche momento forse anche al pianto e al dolore, ma nella gioia del Signore. Radunati nella gioia di Cristo, fondati nella gioia di Cristo, come Papa Francesco invita ogni comunità cristiana a riscoprire la gioia del Vangelo, la gioia di lasciarci evangelizzare e la gioia di evangelizzare. La grazia della perseveranza nel ministero, non è dettata dai mezzi umani, dalle nostre forze, dalle nostre qualità personali, ma dalla grazia di Dio che ci sostiene. Quel “tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,3), di cui parla l’Apostolo, è stato il punto di Colei che è l’Apostola: Maria ha potuto compiere tutto ciò che il Signore le ha chiesto perché ha realizzato la sua vita in Dio.
Maria ha vissuto anche il turbamento, ha vissuto la prova; si domandava il senso di quel saluto dell’Angelo Gabriele. Quel suo domandarsi non è solo un’azione speculativa, si tratta piuttosto di entrare dentro il senso della propria vocazione. Ciascuno di noi è chiamato ad aver cura della propria vocazione ogni giorno, in ogni circostanza, perché chiamati a coltivare e promuovere un popolo di chiamanti, di convocati. Non un popolo semplicemente massivo, ma un popolo dove ciascuno ha un compito importante, dove ciascuno ha una sua vocazione. E la vocazione che Dio dona alla Chiesa e che si esprime poi anche nelle diversità, in Maria è quella di concepire un figlio: “Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo” (Lc 1,31-32).
Maria ha concepito due volte Cristo: nella carne, e questo in modo peculiare, in modo unico, in modo singolare, e lo ha concepito anche nella fede. Maria, segno della Chiesa, segno visibile della Chiesa in cammino, ci ricorda che ciascuno di noi è chiamato a concepire Cristo nella fede. Non si può annunciare Cristo se non è concepito nella fede. E questo credo sia tanto importante per porre un limite a quello che il Papa chiama l’agnosticismo o il pelagianesimo del nostro tempo. È importante una teologia che viva le due dimensioni: il tavolino e il genuflessorio. Certamente tu, Stefano, sei un amante dello studio, ma per tutti noi è importante ricordarci che questo studio deve essere in ascolto della Parola di Dio ogni giorno. E questo studio non è per il conseguimento di alcuni titoli per una stagione della vita, ma è anche l’impegno in mezzo al popolo di Dio. Via è un libro che il Signore ci consegna, che sono le persone che ogni giorno noi incontriamo. Ma per leggere quel libro della vita abbiamo bisogno della grazia di Dio, e abbiamo bisogno anche di deporre la nostra superbia, il nostro egoismo, per saper vedere l’impronta di Dio nelle singole persone che nelle nostre comunità siamo chiamati ad accompagnare. E l’altro aspetto che Maria ci suggerisce e ci pone in evidenza è che lei è in cammino per conoscere e scrutare i segni di Dio. Si mette in cammino, va a trovare Elisabetta, sua parente, nella vecchiaia, che ha concepito un figlio, perché possa vedere che nulla è impossibile a Dio. Dalla vecchiaia nasce la giovinezza. Tu sei giovane e il Signore ti ha raggiunto nella giovinezza e metti a disposizione la tua vita, la tua giovinezza, con le tue belle qualità e belle virtù. E questo è un dono, ma di un segno, un richiamo per te perché tu possa conservare la giovinezza dello Spirito. Talvolta si può essere giovani vecchi e vecchi giovani. Essere giovani di spirito è frutto di un lavorio spirituale, è frutto dell’azione dello Spirito Santo. Sii giovane sempre, dentro, nel cuore, nella mente, proprio per questo contatto con l’azione dello Spirito Santo che opera nel nostro cuore.
L’altro invito è alle nostre comunità. Ringraziamo il Signore per questo dono. Ma invochiamo il Signore perché susciti anche i doni necessari, i doni per accompagnare il popolo di Dio. È bene che in ogni parrocchia si promuova la preghiera perché ciascuno conosca la propria vocazione. Bisogna unire il tempo dell’educazione dei bambini, dei ragazzi, dei giovani con l’educazione al senso vocazionale dell’esistenza. Non tutti siamo chiamati ad essere preti perché non è volontà di Dio. L’altro aspetto che desidero consegnare alla comunità è questo: la Chiesa compie un discernimento stabilendo ad un certo punto se una persona è idonea per svolgere il ministero. Tutti noi, in qualunque grado del ministero ordinato, siamo nelle mani della Chiesa. Sempre. Nessuno si dissocia mai da questa unione così importante. Desidero sottolinearlo perché talvolta ci può essere il rischio di gruppi, di sensibilità, di chi spinge da una parte e chi dall’altra nell’individuare vocazioni: questa non è la logica della Chiesa, non è la sapienza della Chiesa. Chi è chiamato a discernere la vocazione è la Chiesa, attraverso quelle figure che sono state costituite per il discernimento.
La Madonna, il cui nome è per noi segno di vicinanza, accompagni i passi di Stefano e i nostri».
