Sabato 7 settembre l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione eucaristica in occasione della riapertura della chiesa parrocchiale dei Santi Gavino, Proto e Gianuario a Muros. Al suo arrivo a Muros l’Arcivescovo è stato accolto dal parroco, dal sindaco e dalle altre autorità del territorio.
Prima della celebrazione, nel salutare i presenti, l’arcivescovo Gian Franco ha detto: «Questo appuntamento vede gioire la comunità ecclesiale parrocchiale, e con essa la Chiesa diocesana, perché uno spazio liturgico viene restituito alla sua dignità. Il vero tempio, comunque, davanti a Dio è la creatura umana».
Nell’omelia l’arcivescovo Gian Franco ha detto:
«La riapertura di una chiesa è sempre un momento di grande gioia. Questo pomeriggio con l’Eucaristia non celebriamo una memoria morta, ma un memoriale, cioè un mistero che appartiene ad una tradizione, ad una memoria, ma che è sempre vivo perché lo Spirito Santo, che opera nella Chiesa, rende viva la presenza dei credenti, anima la fede nel cuore dei credenti. Lo Spirito Santo rende presente il Signore risorto che ci convoca attorno a Lui. Credo sia anche significativo che la Liturgia della Parola in questa circostanza ci presenti quella vicenda che viene presentata nel Vangelo di Marco come la guarigione di un sordomuto (Mc 7,31-37).
Noi sappiamo che il Vangelo di Marco è un cammino di iniziazione cristiana. E così desidererei porre l’attenzione anche per noi, affinché le comunità parrocchiali siano un luogo di iniziazione alla vita cristiana, un luogo di accompagnamento alla vita cristiana. Nel brano del Vangelo c’è un sordomuto che viene portato davanti a Gesù perché possa imporgli la mano. Gesù non si sottrae, ma emette il suo spirito pronunciando una parola:“Effatà”, cioè: “Apriti!”.
Questa parola ci riporta alla liturgia del Battesimo. In occasione del Battesimo il presbitero tracciando con il pollice il segno della croce sugli occhi, sulla bocca e sulle orecchie dice “Apriti”, chiedendo che presto il battezzato possa ascoltare e proclamare la Parola di Dio, e i suoi occhi possano aprirsi alla luce della fede. Questo è il ruolo e la vocazione della Parrocchia; questo è il compito della comunità cristiana: tenere viva la grazia battesimale, far sì che possiamo crescere come cristiani che hanno uno sguardo di fede, che tengono l’orecchio desto all’ascolto della Parola di Dio e che annunciano il Vangelo di Gesù.
Questo è il compito di tutto il popolo di Dio. È la missione del popolo di Dio, di ogni battezzato: è la missione della Chiesa. Il compito della Chiesa è annunciare la fede in Cristo. Papa Francesco in questi anni ci sollecita costantemente affinché possiamo riscoprire la gioia del Vangelo e la gioia di evangelizzare. Ecco, in occasione del restauro di una chiesa, approfittiamo per riflettere su cosa sia il restauro della vera Chiesa. Sant’Agostino, parlando ai suoi ascoltatori, diceva che le pareti della Chiesa non sono le pietre che definiscono il perimetro, quanto piuttosto le persone radunate. Il nostro programma pastorale diocesano, in comunione con la Chiesa universale, è proprio quello di far sì che ogni pietra viva sia quella pietra che partecipa a creare l’edificio vivente, il Tempio Santo di Dio di ogni persona e perciò il luogo dove ogni battezzato può crescere camminare.
Nella Seconda lettura (Gc 2,1-5), Giacomo apostolo, rivolgendosi alla comunità, ricorda che nelle riunioni, cioè nelle sinassi, negli incontri dei cristiani, non vi sono differenze. Tutti sono chiamati ad essere resi partecipi della comunità cristiana, della comunità credente. E la disposizione che abbiamo nell’architettura della comunità che sta attorno all’altare, mensa dell’Eucaristia, che sta attorno all’ambone, mensa della Parola, ci ricorda che nella Chiesa ogni persona ha il suo spazio, ha il suo posto. Giacomo richiama così quella che era una consuetudine non affine con la logica del Vangelo, ma tipica della comunità sociale del suo tempo e forse non così lontana anche da logiche mondane del nostro tempo. “Supponiamo che […] entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: ‘Tu siediti qui, comodamente’, e al povero dite: ‘Tu mettiti là, in piedi’” (Gc 2,2-3), questo non è secondo la logica di Dio, non è secondo la logica di Cristo.
Non è un problema di posti a sedere, come ben possiamo comprendere, di sederci nel primo banco, nel secondo o nel terzo. È una questione di postura del cuore, di postura della mente, nel senso che uno può stare anche all’ultimo posto, ma come ci racconta il pubblicano nella parabola (Lc 18,9-14), uno può non avere un cuore umile, un cuore aperto verso tutti e viceversa, può stare davanti e non vuol dire che questo significhi essere in una posizione di accoglienza.
La Chiesa è una casa dalle porte aperte per tutti, dice Papa Francesco. L’ha ripetuto ai giovani a Lisbona in occasione della giornata mondiale della gioventù. Lo ripete costantemente, lo ripete questi giorni nel suo viaggio apostolico, ricordando che ogni persona nella comunità cristiana ha la sua dignità.
Da dove nasce questa dignità? Nasce dalla grazia battesimale, perché ciascuno è una creatura di Dio. Questo apre le nostre parrocchie ad un ardore missionario, ad un’azione evangelizzatrice. Forse, in un’epoca di cristianità che oggi è terminata, ci siamo un po’ cullati nel dire “quelli sono i credenti e questi sono i non credenti”. Quella tentazione di distinguere tra credenti e non credenti, cristiani buoni e cristiani non buoni, può averci indotti talvolta nella tentazione della superbia.
Una Chiesa che si arrocca su sé stessa e non è aperta all’evangelizzazione, all’accoglienza, non è una Chiesa dalle porte aperte che sa comunicare con tutti e sa dialogare con tutti in tutte le situazioni e le circostanze della vita. Non vi sono anelli, ma vi è una dignità che non nasce da mezzi umani, da segni umani. Vi è un’impronta che il Signore ha posto in ciascuno: la dignità di ogni persona.
Ecco, credo che questa circostanza debba essere una bella occasione per risvegliare in noi il senso di fare Chiesa, il desiderio di fare Chiesa, di fare comunità, di essere una Chiesa viva, una Chiesa missionaria, una Chiesa che non si chiude ma che si apre. Ho sperimentato di recente, durante la Visita pastorale che abbiamo condiviso, e venendo qui più volte, ma di recente ancora più direttamente, l’accoglienza che avete avuto verso il parroco, verso padre Matteo, pur provenendo egli da una cultura asiatica molto diversa e molto significativa. Quella che poteva essere una reciproca difficoltà di incontro è stata accolta invece con molta serenità. Credo che questo sia un dato lodevole.
Questo stile, questa attitudine, dobbiamo cercare di portarlo in tutti i modi, in tutti gli ambiti, in tutte le situazioni. Una disponibilità all’accoglienza implica anche una disponibilità all’impegno nell’apostolato. Sarebbe poca cosa aver tolto l’umido o l’umidità dal pavimento o aver reso il tetto della chiesa sicuro se le pietre vive non si mettono in modo. Stiamo vivendo un cammino di conversione pastorale e voi siete partecipi, vedo presenti ai diversi incontri spesso tantissime persone che qui davanti ora riconosco. Desidero incoraggiare le piccole comunità a non pensare che perché piccole non abbiano un ruolo importante: ogni persona ha un ruolo importante nella missione.
Nell’evangelizzazione i grandi processi di trasmissione della fede non sono passati inizialmente attraverso eserciti di persone, spesso sono state poche persone che hanno saputo contagiare, trasmettere la fede, trasmettere il Vangelo. Questa è la consegna, riaprendo questa chiesa. Sia una Chiesa viva, una Chiesa in cammino, una Chiesa solidale, una Chiesa non ripiegata su sé stessa, partecipe non solo nella propria parrocchia ma nella Chiesa particolare che è la Chiesa diocesana. Peraltro, la dedicazione ai titolari, i Santi Gavino, Proto e Gianuario – e qui ringrazio i rappresentanti della città di Porto Torres – credo che debba essere uno stimolo ulteriore affinché le sorgenti della fede della nostra chiesa particolare costituiscano un richiamo e un invito a spendere la propria esistenza per l’evangelizzazione. E questo avviene in tanti modi: avviene nella famiglia, avviene nel mondo del lavoro, nei luoghi di svago, in tante forme e in tante situazioni. Questa circostanza sia un sussulto di vita spirituale per tutti>>.
Al termine della Celebrazione eucaristica, è stata presentata una relazione storico-archeologica sugli scavi e i ritrovamenti avvenuti in occasione dei lavori di restauro della chiesa parrocchiale.