Olbia: Celebrazione eucaristica in occasione della conclusione dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio da Padova

17 Giugno 2024 | primo piano

Nel pomeriggio di domenica 16 giugno l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto ad Olbia, la Celebrazione eucaristica in occasione della conclusione dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio da Padova, organizzati dalla Parrocchia di San Michele Arcangelo.

Riportiamo di seguito l’omelia tenuta dall’arcivescovo.
«San Paolo, questa sera, ci aiuta a scoprire il senso della vita cristiana, della vita umana. È un pellegrinaggio che noi compiamo nella fiducia, un cammino che noi compiamo confortati dalla fiducia nel Signore, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio, lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo. Siamo pieni di fiducia con il desiderio di abitare presso il Signore.

È un’immagine che viene accolta dalla comunità cristiana delle origini, ma anche da ogni persona, perché esprime la situazione, la condizione della persona umana. Noi siamo tutti persone in cammino. E il senso dell’esilio, l’immagine dell’esilio, non è un disprezzo delle realtà terrene, non è un disprezzo della vita terrena, quanto piuttosto l’immagine, la condizione che esprime la situazione di chi è orientato verso la Patria definitiva.

Il senso dell’esilio dice che noi siamo in cammino e siamo in cammino verso una nuova cittadinanza: la cittadinanza di Dio, cioè la Patria celeste. Attraverso questa immagine viene spiegato il senso della vita. La nostra vita ha compimento in Dio. Il cammino che noi conduciamo è un cammino che già avviene su questa terra. Il Signore è già presente nel nostro cammino e la sua presenza ci colma di fiducia.

Questo è il senso anche della preghiera, della devozione per i santi. Sant’Antonio da Padova è uno di quei santi popolari attraverso i quali si esprime in modo forte la dinamica e la dimensione della fiducia, del camminare.

Quanti pellegrinaggi si compiono alla tomba di Sant’Antonio a Padova! Quanti pellegrinaggi piccoli si compiono e sono stati compiuti verso questa piccola edicola di Sant’Antonio alle porte della città – della nostra città di Olbia – e poi nella chiesetta dedicata a Sant’Antonio, segno vivo di un popolo in cammino che attraverso l’intercessione dei Santi ripone la propria fiducia in Dio.

Probabilmente, in una società nella quale non sempre è così naturale riporre la fiducia in Dio, siamo chiamati a riscoprire il senso, il valore e l’importanza della fiducia in Dio.

Noi viviamo una cultura nella quale la prestazione della persona umana è posta spesso in primo piano. E questo sarebbe una cosa buona, ma diventa meno buona quando in questo progetto Dio non sembra avere alcuno spazio. Sembrerebbe che noi possiamo conseguire tutte le nostre mete, tutti i nostri fini, tutti i nostri programmi, con le sole nostre forze.

Ecco che qui avviene, nella vita della persona umana, un cortocircuito, perché si vive come se Dio non esistesse.
Molte volte, soprattutto nelle situazioni di fragilità, di malattia, di crisi, di sofferenza, di debolezza, il Signore ci aiuta a capire che ci ha donato tanti talenti, ci ha donato tante forze.

La creatura umana è dotata di tante energie fisiche e intellettuali, ma è pur sempre una creatura limitata. Il limite non è di condizionamento, ma è semplicemente il limite di differenziazione tra l’essere creatura e l’essere creatore.

Sant’Antonio da Padova è un Santo al quale si ricorre per riportare a lui tanti bisogni, tante domande, tanti interrogativi. È un Santo della fiducia, un Santo che accompagna il cammino. Ed egli stesso è colui che ha camminato nella sua vita, poiché è vero che noi lo ricordiamo come Sant’Antonio da Padova, ma egli arrivava dal Portogallo, da Lisbona, e quindi camminò un lungo cammino dal Portogallo passando per il Nordafrica, per arrivare in Italia.

Cosa lo portò a camminare? La testimonianza di altri cristiani. Quando venne a conoscenza del martirio dei primi martiri francescani, dei seguaci di San Francesco, egli fu profondamente toccato dalla loro testimonianza e desiderò così incontrare il Santo, seguire le sue orme, spendere la sua vita per testimoniare Gesù. Ecco che la testimonianza della fede può trasformare il cammino delle persone.

Molte volte oggi noi ci domandiamo come sia possibile trasformare una vita, come sia possibile trasformare un’esistenza, come sia possibile trasformare la vita di una società che vive dimensioni molto belle della vita umana, del mondo in questo momento, ma anche le tragedie delle guerre, delle contrapposizioni, delle lacerazioni.

Il compito trasformativo del cristiano passa attraverso la via della testimonianza. La testimonianza è una forma di predicazione che Papa Francesco chiamerebbe “evangelizzazione per contagio”. Talvolta nella testimonianza non si proferisce parola, non si pronunciano discorsi, non si scrivono libri, non si dice niente. È un modo di essere, è un modo di vivere. Questa è la santità, questa è la sequela del Vangelo. È ciò che Papa Francesco chiama “santità della porta accanto”, la santità della vita quotidiana, nelle famiglie, delle mamme, dei papà, dei nonni, delle nonne, nei luoghi di lavoro, nella vita ordinaria, nei luoghi di lavoro. La testimonianza è trasformativa. E fu così trasformativa che Sant’Antonio decise di lasciare tutto, lasciando la comunità dei canonici regolari di Sant’Agostino, per scegliere una via ancora di donazione più profonda e radicale, attraverso la via francescana.

Ecco che Sant’Antonio è così un Santo molto attuale, molto importante. È vero che egli è ricordato come il Santo delle grandi predicazioni, il Santo dei miracoli, ma il grande miracolo che egli annuncia, che egli sperimentò nella sua vita, fu il miracolo della testimonianza. Ed egli lo visse, lo trasmise ai suoi contemporanei. È quel miracolo che non fa rumore. La testimonianza non è mediatica; la testimonianza è silenziosa. La testimonianza non è blasonata. La testimonianza sceglie la via del silenzio, dell’umiltà.

La testimonianza è simile a quel granello di senape di cui si parla oggi nel Vangelo. È il più piccolo di tutti i semi, ma una volta che esso è gettato sul terreno, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto. È proprio vero, molte volte le parole non sono efficaci nella costruzione del Regno di Dio, la testimonianza invece è efficace.

E fu la via di San Francesco e la via di Sant’Antonio. Talvolta si contrappone la cultura con l’assenza di cultura. In questi due Santi invece sono messe insieme, nel senso che Sant’Antonio ricevette da San Francesco la facoltà di dedicarsi alla predicazione, allo studio, ma ben consapevole che avrebbe messo insieme le due cose, la testimonianza della vita con le parole.

Sant’Antonio sotto questo profilo diventa anche per noi un modello. Per costruire ogni giorno il Regno di Dio nel silenzio, per costruire ogni giorno il Regno di Dio in un silenzio attivo. Il seme gettato per terra marcisce e dà vita, non è inoperoso. Il silenzio e l’umiltà non sono inoperosità, non sono acidia egoistica, come dice Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium, ma anzi è una presenza viva, umile, una presenza generativa e rigenerativa.

E in un tempo nel quale la vita umana sente profondamente il bisogno – e anche le nostre comunità sentono il bisogno di rigenerarsi – questa via, questo stile, è tanto importante perché è una via che matura dal di dentro, matura dall’interiorità. Cresce e diventa la più grande di tutte le piante, ma non solo la più grande, diventa anche un luogo di accoglienza. Il Regno di Dio e la vita cristiana sono simbolo di accoglienza. Il Regno di Dio non esclude nessuno, accoglie tutti. Papa Francesco ritorna spesso su questo tema: tutti hanno la porta aperta nella Chiesa. Il suo sogno di una Chiesa dalle porte aperte è stata la profezia francescana in epoca medievale e questa profezia è la profezia evangelica che continua sempre, in ogni tempo e in ogni momento. Infatti, gli uccelli del cielo possono fare nido alla sua ombra, tutti, non alcuni sì ed altri no.
E allora ecco perché tanti ricorrono anche ai santuari, si ricorre al santuario di Sant’Antonio, ad esempio, perché si sente, si percepisce che è un luogo dove ogni situazione umana può essere accolta, può trovare spazio, può trovare accoglienza. Questo santuario deve essere la vita, segno del Regno di Dio, come sarà la Patria Eterna, terminato questo pellegrinaggio terreno, quando popoli di ogni lingua, cultura, nazione e religione troveranno posto nella casa di Dio».

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