Nel pomeriggio di mercoledì 1° maggio, nel santuario Beata Vergine delle Grazie a Sassari, l’arcivescovo Gian Franco Saba ha presieduto la solenne Concelebrazione eucaristica di inizio del mese mariano. Al termine della celebrazione, alla quale tra i concelebranti ha partecipato il rettore del santuario, padre Massimo Chieruzzi, ofm, si è svolta la processione con il simulacro della Beata Vergine delle Grazie, giunta davanti agli ospedali cittadini dove è stata recitata la preghiera di affidamento degli ammalati e del personale sanitario.
Di seguito viene riportata l’omelia pronunciata dall’arcivescovo:
<<Oggi, nel giorno in cui inizia il mese dedicato a Maria, è significativo ritrovarci in questo santuario. “Guardate a lui e sarete raggianti” – abbiamo ascoltato nel Salmo responsoriale. Questa espressione ci ricorda le parole di Maria quando, nelle nozze di Cana, intervenne rivolgendosi a Gesù per la mancanza di vino. Maria indirizzò questo invito ai presenti invitandoli a fidarsi di Gesù. Oggi Maria invita noi a fissare lo sguardo verso Colui che può renderci luminosi, raggianti, verso Colui che può rendere i nostri volti segno visibile della bellezza che Dio ci ha donato con la creazione, donandoci la vita, donandoci la vita cristiana.
Maria è Colei che ci invita a fissare lo sguardo su Cristo. Qui troverei la sintesi del programma spirituale del mese mariano che questa sera insieme apriamo insieme e che vogliamo considerare come un pellegrinaggio, un cammino che orienti sempre la nostra vita verso Cristo.
“Guardate a lui e sarete raggianti”: queste parole, che sono proprie del mistero di Maria, del suo ruolo nella Chiesa, nella storia della salvezza, servono a orientare la vita di ciascuno verso il Verbo di Dio fatto carne, verso la missione apostolica affidata alla Chiesa, cioè affidata a ciascuno di noi.
Maria è la donna piena di Spirito Santo, è Colei che ha generato il Verbo di Dio per opera dello Spirito Santo, è Colei che ha orientato la propria vita guidata dallo Spirito.
Pietro, leggiamo negli Atti degli Apostoli, prende la parola dopo l’effusione dello Spirito, dopo che lo Spirito Santo aveva dato ai dodici la forza di esprimersi, la forza di parlare, dopo che lo Spirito stesso aveva orientato in modo nuovo la loro esistenza. Pietro si leva in piedi e parla a voce alta. È un araldo della risurrezione, della vita nuova. È Colui che annuncia che Gesù è veramente risorto. Anch’egli risorge, si leva in piedi, balza in piedi. Era morto, era nel sepolcro della confusione, era nel sepolcro del disorientamento, era nel sepolcro della delusione. Era in un sepolcro di confusione. Si domandava il perché, il senso della sua vita, della sua esistenza che l’aveva portato a seguire il Messia e poi si trovò a dover fare i conti con la sconfitta del Messia.
Ed ecco che la forza dello Spirito Santo non solo opera in Gesù crocifisso, ma opera anche nei dodici e li fa risorgere. L’autore degli Atti degli Apostoli presenta Pietro come un giovinetto che balza in piedi nonostante la sua età avanzata.
Questo vogliamo chiedere a Maria per noi personalmente, per la nostra Chiesa turritana, per la Chiesa universale: che siamo una Chiesa capace di uscire dai nostri sepolcri, dal sepolcro di una fede fragile, di una fede confusa, di una fede debole, di una fede incapace di parlare, di annunciare, di poter dire che Gesù è veramente risorto.
Questo è l’annuncio che l’umanità attende in modo sempre rinnovato, l’annuncio affidato alla Chiesa, affidato a ciascuno di noi. Vogliamo chiedere, in questo tempo nel quale papa Francesco ci invita a un rinnovato incontro con Cristo e a una rinnovata conversione pastorale, la gioia di un sussulto interiore, di un sussulto nell’annuncio.
Questa è anche la missione di un santuario, di questo venerato santuario delle Grazie, un tempio speciale, dove si viene per chiedere a Maria certamente tante grazie. Grazie di richiesta di guarigioni, di conforto, di consolazione, di orientamento. Ma la prima grazia che tutti siamo chiamati ad implorare da Maria è di essere sempre confermati e riconfermati nella fede. La riscoperta del Cristo risorto che è nella nostra vita.
“Pietro parlò a voce alta”. È diventato un araldo. Da una situazione di stanchezza, di paura, di fuga dalla realtà che lo aveva visto esposto davanti a coloro che avevano crocifisso Gesù, egli parla a voce alta. È una voce alta, non del Pietro arrogante, ma del Pietro pieno di Spirito Santo. Desidererei sottolineare questo aspetto. Noi annunciamo il Vangelo a voce alta, non con l’arroganza dei perfetti, ma con l’umiltà e lo slancio di chi riceve la forza dello Spirito. La Chiesa parla a voce alta non perché sa di essere senza macchia e senza ruga, ma perché sa di essere piena della forza dello Spirito.
Questo sussulto della voce alta, cioè di un Vangelo che viene annunciato con coraggio, con franchezza, è la missione che attende ciascuno di noi.
Pietro conferma la casa di Israele dicendo che Gesù è il Signore e il Cristo, è il Messia, l’unto d’Israele. È la grazia consolante di una fede fondata in Cristo. L’annuncio del Vangelo tocca il cuore, tocca la vita. La trasmissione della fede non è qualcosa di vago, di superficiale, non è una sorta di abito esteriore, ma penetra nelle profondità dell’esistenza, tocca il cuore dei suoi ascoltatori, una parola capace di raggiungere il cuore.
Questo è ciò che vogliamo chiedere a Maria: che in questo mese sappiamo annunciare parole evangeliche che vadano al cuore di chi ascolta la nostra predicazione, la nostra testimonianza.
Quando la fede tocca la vita, la vita si orienta in un certo modo. Quando la fede è un fatto estetico superficiale, la fede non tocca la vita. Questo è l’altro aspetto che desidero sottolineare: la fede riguarda tutta la persona umana, tutta l’esperienza umana. Vogliamo chiedere il dono risanante delle parole della fede che penetrino in tutte le corde del cuore di ogni persona che viene peregrinante a questo santuario.
Noi, come Chiesa diocesana, in questo tempo di Sinodo, in questo tempo di Visita pastorale, di Conversione pastorale, davanti alla parola dell’annuncio del Cristo risorto, vogliamo chiederci che cosa dobbiamo fare. Abbiamo da poco concluso la Visita ad Limina Apostolorum, il pellegrinaggio che i Vescovi di ogni Chiesa particolare compiono alle tombe degli Apostoli e al Successore di Pietro per essere confermati nella fede in Cristo. In questo pellegrinaggio la Chiesa vive profondamente l’esigenza di ritornare a questa domanda fondamentale: “che cosa dobbiamo fare?”
Ogni cammino di vita cristiana, ogni cammino di Chiesa nasce da questa domanda. Pietro, cosa fa? Non orienta a sé stesso, ma orienta a Cristo. Invita al pentimento, alla conversione, al battesimo nel nome di Gesù Cristo. È un’esperienza dalla quale riceveranno il dono dello Spirito Santo, perché essi sono eredi della promessa di Dio. È un itinerario, un cammino di conversione, di riorientamento, di riallineamento, potremmo dire, della nostra vita con Cristo.
Da qui nasce la comunità cristiana. Anche il pellegrinaggio a un santuario, a cosa tende? Non a vivere isolatamente la propria fede, ma a viverla come Chiesa. Vivere l’esperienza della Chiesa nella comunità.
Questo è il frutto della predicazione dell’Apostolo e della domanda “Che cosa dobbiamo fare?” Rigenerare la comunità cristiana. La rigenerazione della comunità cristiana è frutto della grazia della Pasqua ed essa conduce a un’esperienza non estemporanea, ma a un’esperienza assidua. Vi è un ascolto che fonda, un ascolto costante, continuo, rinnovato.
E così penso anche a noi, ai tanti che costantemente tutti gli anni rinnoviamo questo gesto di riascoltare la Parola del Signore proprio in questo Santuario. Qual è la finalità? Qual è l’obiettivo? Questa assiduità non è un atto magico, non è neppure il rispetto di una tradizione sociale, ma è la manifestazione del bisogno profondo di ravvivare la nostra vita di fede e perciò questa assiduità sia per noi l’occasione per rinascere dallo Spirito, così come avvenne a Nicodemo, passando dalla notte al giorno luminoso dell’incontro con il Signore che con la sua Parola accompagna i nostri passi>>.