Giovedì Santo: Messa In Coena Domini

28 Marzo 2024 | primo piano, Senza categoria

Nel pomeriggio di giovedì 28 marzo l’arcivescovo Gian Franco Saba ha presieduto la Santa Messa in Coena Domini nella Cattedrale di San Nicola alla presenza dei rappresentanti delle realtà socio-caritative della diocesi.

 Il messaggio dell’arcivescovo

L’Apostolo Paolo, nella sua Prima Lettera ai Corinzi, ci aiuta questa sera a comprendere il mistero che celebriamo con la Cena del Signore. Anzitutto egli, rivolgendosi ai cristiani della comunità di Corinto, sottolinea di trasmettere il dono che egli stesso ha ricevuto dal Signore, dal Risorto, da Cristo stesso. Egli è la nostra Pasqua.

Cristo ha lasciato alla sua Chiesa il suo memoriale di amore. Questo testamento di amore, questa sera lo contempliamo espresso e portato a compimento nel mistero della Santissima Eucaristia. Il banchetto eucaristico, mensa attorno alla quale Egli convoca i discepoli di allora e quelli di ogni tempo, e quindi anche noi suoi discepoli. Sacramento dell’amore di Dio che, nel gesto della lavanda dei piedi, si curva verso di noi per purificare le nostre esistenze. Tocca così la nostra vita, facendoci sentire la dolcezza della sua misericordia, le sue mani di misericordia. Quelle mani che toccheranno la carne umana, sono le sue mani che Egli ha offerto e donato, crocifisse e inchiodate sul legno della Croce. La liturgia di questa sera celebra anche l’altro grande mistero delle mani consacrate, segno visibile nel sacerdozio ministeriale. Con il sacramento dell’Ordine, alcuni tra i battezzati scelti e chiamati senza alcun merito per continuare la missione di Cristo. Noi siamo chiamati a riscoprire, oggi forse più che mai, che nella Chiesa celebriamo il dono di Grazia che ci è stato trasmesso. In una società povera di memoria, povera di ricordo, povera di connessioni, siamo chiamati a riscoprire nella successione apostolica e nella dimensione apostolica della Chiesa come una comunione nel tempo tra coloro che furono i testimoni oculari di Gesù, del Risorto, che videro, toccarono, udirono e poi trasmisero. La memoria viva dello Spirito che ci conduce nel tempo.

Ecco perché Paolo, nella Lettera indirizzata alla comunità di Corinto, pone in evidenza che egli non inventa qualcosa di suo e neanche qualcosa che ha origine nelle sue tradizioni, nelle sue leggi native, sapendo bene che il mistero pasquale faceva parte della tradizione ebraica. Egli pone al centro dell’annuncio la consapevolezza che la comunità deve avere:nell’Eucaristia noi celebriamo ciò che è stato ricevuto e trasmesso. E anche noi, come Chiesa, trasmettiamo questo grande mistero. Penso ai sacramenti dell’iniziazione cristiana, in modo particolare il sacramento dell’Eucarestia. Quante volte siamo tentati di viverlo come qualcosa che si deve fare a una certa età, da ragazzini. Forse abbiamo perso la consapevolezza che la Chiesa ha ricevuto questo tesoro dal Risorto, dagli apostoli, dai loro successori, nella continuità apostolica.

In questa continuità anche noi lo trasmettiamo, chiamati da Cristo a condividerlo con tanti fratelli e sorelle.Infondere e acquisire questo senso di fede ci porta oltre l’idea del rito di passaggio; ci aiuta a superare la visione che alcuni appuntamenti che appartengono a una fase quasi dell’immaturità, dell’infanzia, in cui non si è ancora pienamente uomini e donne. Celebrando il Mistero pasquale scopriamo che il Signore ci dona, ci trasmette ciò che di più prezioso, di più grande Egli poteva donarci: Sé stesso. Diviene per noi Corpo donato e Sangue versato per renderci partecipi della Sua Pasqua. E perciò non sono semplicemente dei passaggi rituali dell’età, tipici delle età della vita. L’Eucaristia è l’invito a partecipare al mistero di una relazione personale con Cristo. E questo ci mostra anche il volto della Chiesa, della Chiesa apostolica, perché fondata sugli apostoli, non perché fa di qualche apostolo una sua bandiera, ma perché gli apostoli ci hanno trasmesso la fede nel Cristo risorto e i doni del Risorto.

Come possiamo apprendere dal Vangelo proclamato, anche noi stasera celebriamo il mistero di Cristo Gesù che si siede a tavola, ci convoca, ci coinvolge attorno a sé stesso e tra noi, divenendo pane donato, spezzato e sangue versato. L’Eucaristia è il sacramento della partecipazione alla vita di Dio, alla vita di Cristo. Mistero che esprimiamo anche con la parola nutrimento, che forse ci aiuta a comprenderlo ancora di più.

Partecipiamo alla mensa di Cristo e con Cristo. Questa parola, ovvero “partecipazione”, in questo tempo l’abbiamo sentita tante volte nel linguaggio di papa Francesco e nel linguaggio trasmesso anche in sintonia con il Magistero del Santo Padre nella nostra Chiesa diocesana, invitando tutti noi a coinvolgerci. Questo lessico, questo termine, non è un termine sociologico, non è un termine semplicemente di invito ad una adunanza, ad una adunata. È l’invito a partecipare, a scoprire e riscoprire il dono di Cristo che ci convoca. Il Signore ci convoca attorno a Sé e ci rende sua famiglia, suoi discepoli e anche suoi missionari, perché anche noi, nella scia dell’apostolo Paolo, continuiamo ad essere coloro che trasmettono questi doni quando. Dopo la consacrazione, il presbitero dice: «Mistero della fede» e l’assemblea acclama: «Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunziamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta». Con questa acclamazione diciamo che siamo suoi messaggeri, siamo suoi missionari.

Il Signore ci coinvolge nella sua mensa. Per fare cosa? Renderci partecipi della sua vita, del suo amore, ma anche per darci un compito, il compito di essere missionari. Mentre celebriamo l’Eucaristia noi siamo missionari. Tutti: papà, mamme, bambini, ragazzi. Non vi sono diversità di stati di vita, di condizioni, di scelte. Questa partecipazione ci rende appunto discepoli missionari. La partecipazione alla vita di Cristo provoca in noi l’invito ad essere suoi messaggeri. Siamo suoi missionari già partecipando all’Eucaristia.

L’assemblea eucaristica annunci il Cristo. A volte questo può apparire poco perché abbiamo bisogno di comprendere che cosa fare per annunciare Cristo oggi. Il fare è una dimensione nobile della persona umana, ma nell’Eucaristia è congiunta con la relazione, perciò il Signore ci ha affidato un compito essere suoi missionari. Questa missione è alla portata di tutti, di ciascuno, ed è una missione contagiosa. Da persona a persona, perché partecipando all’Eucaristia noi teniamo viva la presenza di Cristo in mezzo a noi e lo annunciamo ai nostri fratelli e sorelle; anche a quanti non lo conoscono, a quanti affermano di non avere il dono della fede in questo mistero.

Nella liturgia del Giovedì Santo vi è poi un altro segno. Abbiamo detto quello dell’essere coinvolti e resi partecipi, e poi ancora un altro: Gesù si alza da tavola e si curva. E questo è proprio di Dio. Colui che sta molto in alto si curva, discende. Per fare cosa? Per incontrarci. Dio desidera incontrare, coinvolgere, invitare. Ci rende partecipi e ci incontra; ci incontra per trasmetterci con le sue mani la sua tenerezza, la sua bontà, per divenire discepoli missionari del suo Amore.

Il rito della lavanda dei piedi è segno esemplificativo di un mistero che appartiene alla liturgia feriale, che appartiene ai gesti di tutti i giorni, che appartiene alle possibilità di tutti i momenti. È il grande sacramento della carità, che in ogni istante possiamo esercitare, in ogni istante possiamo amministrare. E anche questo grande sacramento dell’amore di Dio non ha bisogno di mandati speciali se non quello di accogliere l’invito di Colui che, curvandosi, trasmette il dono del suo amore. Ci chiediamo che cos’è la Chiesa? La Chiesa è una realtà che imitando il suo maestro, il suo capo, il capo di questo corpo, si siede a tavola, invita, convoca, rende partecipi. Si rende partecipe, assumendo la prospettiva del curvarsi fa sentire la tenerezza di Dio. È la vocazione di tutti i battezzati.

Talvolta anche nella Chiesa vi può essere la tentazione di irrigidirsi anche nel comprendere i sacramenti della fede, i sacramenti della grazia, ritenendo che i sacramenti siano per persone perfette, per coloro che non hanno bisogno dell’amore di Dio. Nell’Eucaristia il Signore ci ha donato la Sua presenza viva, non perché noi siamo perfetti e quindi, essendo così bravi, ci accostiamo ad una carestia, ma ci accostiamo all’Eucaristia. Piuttosto ci accostiamo Lui perché ci renda buoni, perché ci renda capaci di essere segni vivi di quella linfa di amore, di quel nutrimento di vita che trasformi le nostre esistenze.

In questa liturgia desidero sottolineare la presenza della Caritas diocesana e di altre espressioni che si occupano di servizi caritativi. Occorre altresì mettere in rilievo come la Caritas non sia anzitutto un’organizzazione, ma un segno sacramentale della Chiesa e il volto della Chiesa, dell’amore di Dio che in tutte le sue opere e in tutte le sue azioni in qualche modo trova sempre qualcuno che ha bisogno di amore.

Questo volto può essere il più povero, il più deperito, l’indigente, che ha bisogno di amore; può essere l’affamato, il profugo che ha bisogno di accoglienza; può essere il ragazzino, il bambino che per crescere ha bisogno di amore; può essere lo studente, il giovane che ha bisogno di amore per dare senso alla sua vita; può essere il papà, la mamma che hanno bisogno di amore;può essere l’ammalato che ha bisogno di conforto, il morente. In ogni volto il servizio trasmette la luce dell’evangelizzazione, mostra il volto di questa Chiesa, l’impronta di Cristo che si curva per trasmettere la tenerezza di Dio e accogliere tutti nelle sue mani.

Talvolta vi è anche la sporcizia, che certamente non fa piacere prendere in mano. Ma il Signore dona la grazia, perché con il suo Spirito come Chiesa ci purifichiamo daquesto volto abbruttito, per mostrare il volto più bello di Cristo, che ci chiama a rendere i nostri piedi belli per portare la lieta novella del Signore.

Il Mistero dell’Amore di Cristo e quindi di questi misteri si esprime in modo eccellente nel ministero sacerdotale. Un servizio, dono per la Chiesa e per l’umanità. Perciò in questa giornata preghiamo profondamente per quanti tra noi hanno ricevuto la chiamata e la vocazione al ministero ordinato: vescovi, presbiteri e diaconi;preghiamo perché nella Chiesa il Signore susciti vocazioni al ministero ordinato, che spendono la loro vita per servire la Chiesa e aiutare i propri fratelli.

Preghiamo per chi ha ricevuto il compito di educare i futuri presbiteri. È la Chiesa che riconosce la vocazione di un ragazzo, di un giovane, di un adulto al sacramento dell’ordine, ma non è una Chiesa generica, è una Chiesa che passa attraverso dei volti concreti. Ci sono delle persone, dei genitori, degli educatori, dei catechisti, dei papà, delle mamme, dei sacerdoti. Occorre risvegliare una rinnovata consapevolezza di questo servizio di accompagnamento vocazionale. Il Signore ci dia la grazia di rivivere profondamente i misteri del Cenacolo della nostra Chiesa.

Pin It on Pinterest