La gioia di una Chiesa-famiglia. L’Arcivescovo incontra i neobattezzati
Domenica 4 settembre l’Arcivescovo Gian Franco ha presieduto la celebrazione eucaristica in occasione della dedicazione della cattedrale di San Nicola. “Quest’anno – come ha spiegato – ho deciso insieme ai presbiteri miei collaboratori di iniziare a qualificare questa celebrazione della dedicazione della chiesa cattedrale come occasione di incontro con i neobattezzati e con le loro famiglie, con i papà, le mamme, i fratelli e le sorelle, i nonni”.
“Oggi – ha detto nell’omelia – la Chiesa ha vissuto un appuntamento molto bello di cui tutti abbiamo avuto notizia dai media, dai telegiornali dalla diretta tv: la beatificazione di papa Giovanni Paolo I. Desidero ricordarlo perché quando Albino Luciani è stato vescovo di Vittorio Veneto e poi Patriarca di Venezia, ebbe tanto a cuore la vita delle famiglie. Tanto a cuore da porsi, e da porre, l’attenzione sui problemi fondamentali, più basilari che una vita familiare deve affrontare. All’epoca lo fece anche andando controcorrente, contro i princìpi astratti, pur nella fedeltà al magistero della Chiesa, in modo particolare al magistero del Papa del tempo, San Paolo VI. Per questo poniamo sotto la protezione del Beato Giovanni Paolo I questi bimbi che iniziano i loro percorsi di vita nelle vostre famiglie. Poniamo la vita di questi bimbi sotto la protezione di questo grande vescovo e grande papa che si preso a cuore la vita feriale, la vita quotidiana delle persone, a partire dalla famiglia”.
“Desidero sottolineare che oggi ci troviamo qui – ha aggiunto – per ricordare l’anniversario della Dedicazione di questa bellissima Cattedrale di San Nicola. Perché questa chiesa si chiama Cattedrale? Il nome deriva dalla “cattedra” del vescovo, riferendosi al magistero del vescovo, che è magistero di paternità e maternità. Il magistero episcopale tiene insieme entrambe le dimensioni perché il vescovo è chiamato ad accompagnare la crescita e il cammino del popolo santo di Dio, aiutato dai presbiteri, dai diaconi e dai collaboratori. Per questo la Cattedrale è una Chiesa-Casa che si prende cura. Questo luogo è il segno più ampio della nostra diocesi che sintetizza ogni vostra casa, ogni vostra famiglia, dove ciascuno e ciascuna di voi si prende cura degli altri: lo sposo della sposa, la sposa dello sposo, ed entrambi dei figli. Questa è la Chiesa come Gesù, il Cristo, si è preso cura di noi e continua a prendersene cura”.
“Vi è un segno che indica il prendersi cura: voi oggi avete i bambini in braccio perché non sanno ancora camminare e hanno bisogno di essere accompagnati. Questo è anche il compito della Chiesa, della comunità cristiana: accompagnare, prendere in braccio le persone, dalle più piccole alle più adulte che necessitano di aiuto, perché possano camminare, perché possano crescere. Credo che sentire una comunità dove palpita il desiderio del prendersi cura, in una cultura dove c’è l’individualismo, dove c’è la tentazione del “penso a me stesso”, del “devo stare bene io”, vuol dire fare ciò che Gesù ci dice nel Vangelo di oggi: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 26). Cosa vuol dire questo? Significa che se il proprio cuore, la propria mente non si liberano dell’egoismo e dal desiderio di pensare a sé stessi senza aprirsi agli altri, non si può essere discepoli di Gesù. Gesù è il modello concreto di colui che si è preso cura di tutta l’umanità donando la propria vita”.
“Oggi come Chiesa – ha detto ancora – vogliamo ringraziarvi perché siete segno vivo, che si può toccare con mano e si può sentire e vedere, che ha dato la vita. Dio si è servito di voi: vi ha chiamati per donare la vita. Oggi Dio vi interpella per accompagnarla, per farla crescere. In questo cammino non siete soli. Siamo Chiesa-Casa, Chiesa-Famiglia, chiamati a camminare insieme, a condividere le gioie e anche le fatiche. Nella Chiesa a volte, soprattutto tra le persone consacrate, tra i preti, i religiosi e le religiose, c’è la paura della tenerezza, del linguaggio affettivo. Questo è un blocco nella pastorale perché è simile a una corazza che vuole togliere la dimensione umana. Talvolta, quando un consacrato è capace di esprimere affetto e sentimenti si banalizza, si fa mormorazione, si usa il tarlo della calunnia. Questo uccide il clima di una Chiesa-Casa: è frutto spesso di gelosie, invidie, mormorazioni, strutture lobbistiche alla conquista del potere. Così si uccide il prossimo. È il contrario di quanto ci dice Gesù nel Vangelo di oggi: «Se uno viene a me e non mi ama…». Desidero che proseguiamo l’Eucaristia con questo messaggio: siamo Chiesa-Casa che sa prendere in braccio, che sa accompagnare, che sa rinunciare al proprio tornaconto, al proprio egoismo, per donare e custodire la vita”.
L’Arcivescovo ha concluso l’omelia con un invito alla numerose famiglie presenti: trovare ogni giorno un piccolo momento per la preghiera. “Quando la mattina i vostri figli si svegliano – ha detto – insegnate loro a pregare. Le scienze psicologiche insegnano che una persona sin dai primi mesi e primi anni di vita recepisce ciò che risulta importante per il proprio futuro. In questo periodo di vita si recepisce anche la fede che viene trasmessa. Così anche la sera, prima che si addormentino, fate insieme una preghiera, un segno di croce. Voi papà e voi mamme, ricordate che nei vostri abbracci, nelle vostre coccole i bimbi sentono se avete fede in Dio, se nel vostro cuore c’è amore per Dio. Insegnate loro a pregare, parlate ai vostri bimbi di Gesù. Questa è la vostra evangelizzazione e la trasmissione della fede. Questo aiuterà non solo i bambini manche voi genitori. Camminiamo insieme in questa strada della Chiesa-Casa dalle porte aperte: io, come vescovo, insieme ai vostri Parroci, che ringrazio per la presenza insieme al Vicario episcopale per la Pastorale, sarò al vostro fianco per accompagnare, insieme a voi, questi bimbi nelle tappe della vita. Chiediamo insieme a San Nicola di saperci rendere padri e madri nel contempo”.