Nel pomeriggio di giovedì 17 aprile, nella Cattedrale di San Nicola, l’Arcivescovo Gian Franco ha presieduto la celebrazione della Messa in Coena Domini. Alla celebrazione, che ha dato avvio al Triduo pasquale – tempo centrale dell’anno liturgico – hanno partecipato i rappresentanti delle realtà socio-caritative della diocesi.
Nell’omelia, l’Arcivescovo ha detto:
«Se volessimo sintetizzare i grandi misteri che celebriamo questa sera nell’Eucaristia, comunemente ricordata come Messa in CoenaDomini, memoria della Cena del Signore, potremmo trovare un’espressione eloquente nella risposta che Gesù dà a Simon Pietro: “Se non ti laverò, non avrai parte con me” (Gv 13,8).
Il mistero che celebriamo questa sera, infatti, è un mistero di partecipazione. Cristo Gesù offre se stesso, dona se stesso, non per un fine centrato sulla sua persona, ma per un fine rivolto all’umanità, verso di noi. È un orientamento di apertura, di convocazione, di partecipazione.
Domani pomeriggio, celebrando la Passione del Signore, ascolteremo un’altra parola rivolta a un personaggio noto, abitualmente chiamato il buon ladrone. Gesù gli dirà: “Oggi stesso sarai con me in paradiso” (Lc 23,43). Il mistero di Cristo che dona se stesso: è un mistero nel quale ciascuno di noi viene unito a Lui. Egli si dona affinché anche noi possiamo partecipare al suo amore.
E questo amore trova la sua massima espressione nel corpo dato e nel sangue versato. La Pasqua ebraica era significata come passaggio di liberazione, come rinnovamento dell’alleanza, come sangue dell’alleanza che esprimeva l’appartenenza all’amore di Dio e il segno dell’amore di Dio. Ora, Cristo che dona se stesso diviene Egli stesso Pasqua. Egli stesso compie un passaggio nel quale associa l’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Nell’Eucaristia noi viviamo questo grande mistero di convocazione: “Avrai parte con me” (Gv 13,8). Ecco perché l’Eucaristia – che abitualmente chiamiamo la Messa – è la Pasqua della settimana, è il centro della vita della Chiesa, è la sorgente, è la fonte dalla quale irrora quell’acqua che rende verdeggiante e viva la nostra vita.
La celebrazione dell’Eucaristia, infatti, come ci ricorda l’Apostolo nella Seconda Lettura, è l’annuncio della passione, della morte e della risurrezione del Signore: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore”(1Cor 11,26).
In una società come la nostra, nella quale siamo ormai abituati al consociativismo sociale, espresso in forme molteplici e talvolta anche ridondanti, abbiamo forse difficoltà a riscoprire il significato mistico dell’assemblea liturgica, dell’assemblea che si raduna per celebrare l’Eucaristia. Quando ci raduniamo per celebrare l’Eucaristia, non compiamo solo un atto di partecipazione privata, ma compiamo una missione. Rinnoviamo un mistero vivo nel tempo, annunciamo la morte e la risurrezione del Signore, e proclamiamo che Egli verrà un giorno, ancora, in modo definitivo, incontro a noi.
L’Eucaristia, quindi, è il segno più grande e più importante di ogni azione missionaria, di una Chiesa missionaria. In essa trovano origine e sorgente tutte le altre espressioni dell’annuncio e le modalità dell’annuncio del Vangelo: la diaconia della carità, le varie forme di diaconia o ministerialità, cioè tutti quei servizi attraverso i quali annunciamo ai nostri fratelli e alle nostre sorelle l’amore di Dio, il mistero della partecipazione.
Papa Francesco, nell’Evangelii gaudium, utilizza frequentemente la parola “partecipare”. Non si tratta di un termine meramente sociologico. Certamente, in una società disgregata e in crisi di comunità, esso assume anche una valenza sociologica; ma, prima ancora, possiede una profondità teologica e mistica. Ci ricorda, infatti, che siamo convocati dal Signore per partecipare a un mistero di amore.
Tra poco esprimeremo questa missione di inviati a servire e a convocare l’umanità, dovunque essa si trovi, nelle sue diverse situazioni, attraverso il gesto della lavanda dei piedi. È la Chiesa, chiamata in modo personale e soggettivo, ma non solo: è la Chiesa come comunità che è chiamata a servire l’umanità, a chinarsi su tutte le situazioni umane.
L’annuncio di una rinnovata stagione missionaria nella Chiesa, dunque, non è una forma di colonizzazione, né una convocazione finalizzata a fare numero. Significa, invece, trasmettere la gioia dell’amore di Dio per tutti, permettere a ciascuno di comprendere davvero quanto amore Dio ha per ogni persona.
Sostenuti da questa forza, da questa fede, anche le nostre comunità – e nelle nostre comunità – siamo chiamati a riscoprire il significato dell’Eucaristia domenicale, l’importanza della cura dell’Eucaristia domenicale come un atto veramente missionario, una convocazione e una missione».

