Nella mattina di oggi, mercoledì 14 maggio, sul sagrato della Basilica di San Pietro di Sorres, a Borutta, l’Arcivescovo Gian Franco, in occasione della festa di San Mattia Apostolo, ha presieduto la Celebrazione Eucaristica per l’ordinazione presbiterale del diacono Dom Mattia Dang Han Tran, monaco benedettino, e l’ordinazione diaconale dell’accolito Giovanni Masia, della Parrocchia Sacra Famiglia in Sassari.
Si riporta di seguito l’omelia pronunciata dall’Arcivescovo:
«Con grande gioia e profonda commozione, questa mattina ci ritroviamo come Chiesa Turritana presso l’Abbazia di San Pietro di Sorres, per celebrare l’ordinazione diaconale dell’accolitoGiovanni Masia, destinato al servizio della nostra Chiesa, e l’ordinazione presbiterale di dom Mattia, che vive la sua vocazione di monaco all’interno della comunità monastica dell’Abbazia stessa.
Viviamo questa celebrazione, come ha già sottolineato il Padre Abate nei suoi saluti, con sentimenti molteplici. Da un lato, il profondo e sincero affetto per la nostra amata Chiesa Turritana; dall’altro, per me, lo sguardo e il passo si fanno più spediti verso l’imminente inizio del mandato come Ordinario Militare per l’Italia, che prenderà simbolicamente avvio questa sera con l’affidamento alla Beata Vergine Immacolata di Lourdes, durante il pellegrinaggio degli Ordinariati Militari d’Europa.
Siamo sotto lo sguardo di Maria, e la festa di San Mattia ci riporta al Cenacolo, là dove Maria e gli Apostoli erano riuniti in preghiera, invocando il dono dello Spirito Santo. Nei primi passi della Chiesa nascente si presentò subito una necessità: ricostituire il numero dei Dodici. Dopo la passione, la morte e la risurrezione del Signore, era necessario – come ricorda l’autore degli Atti degli Apostoli – scegliere, tra coloro che erano stati presenti fin dall’inizio, dal battesimo di Giovanni fino all’ascensione di Gesù, uno che potesse divenire, insieme agli altri, testimone della risurrezione (At 1,21-22). Non si trattava semplicemente di assegnare un compito, ma di accogliere una missione: la missione della testimonianza, della martyrìa, dell’annuncio di Cristo risorto, il Signore della vita.
Perché questa testimonianza sia autentica e possibile, esiste una sorta di criterio condiviso tra gli Apostoli: “sia stato con noi per tutto il tempo” (At 1,22). Questo è il vero significato del seminario, l’anima di ogni cammino vocazionale e formativo. È questa la via fondamentale per accedere al ministero ordinato: essere stati con Gesù, aver creato una relazione viva con Lui e aver condiviso il cammino con i suoi discepoli. Tutti gli altri elementi formativi e criteri di discernimento si innestano su questa esperienza fondamentale. Senza questa relazione, non è possibile scegliere un testimone della risurrezione.
Per te, caro dom Mattia, il monastero è stato una vera scuola di vita, una comunità nella quale, attraverso la regola benedettina dell’ora et labora, hai potuto vivere in profondità la relazione con Cristo e con la Chiesa.
Per te, caro Giovanni, questa relazione si è sviluppata nella comunità parrocchiale, nei luoghi di formazione e nelle esperienze pastorali in cui sei stato inviato e che hai vissuto intensamente per anni.
Oggi, questo cammino culmina nell’invocazione dello Spirito Santo, che vi consacrerà al ministero diaconale e presbiterale.
Il ministero, oggi più che mai, ha bisogno di testimoni del Risorto. Come ha ricordato Papa Leone XIV nei suoi primi interventi, è necessario annunciare che Cristo è risorto, e portare la pace del Risorto al mondo. L’araldo della risurrezione è colui che esercita il ministero.
Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, ci ha richiamati alla gioia di un incontro rinnovato con il Signore risorto, e alla testimonianza della sua risurrezione. Mattia fu scelto e associato agli Undici. Anche voi, attraverso l’ordinazione, venite associati a un ministero che è sempre comunione: mai solitario, mai privato, mai individualistico.
Dom Mattia, tu vieni configurato alla realtà della comunità monastica, restando sempre in relazione con la Chiesa particolare. Giovanni, l’ordinazione diaconale ti inserisce nella Chiesa Turritana, incardinato nella vita del presbiterio, non come titolare di un ufficio personale, ma come parte viva di un corpo ecclesiale.
Come ci ricorda l’evangelista Giovanni, il Signore ci sceglie per servire nell’amore: “Non vi chiamo più servi… vi ho chiamati amici” (Gv 15,15)”. Questa relazione con Cristo rende il nostro ministero un prolungamento del suo amore, non una forma di sudditanza.
In una Chiesa chiamata alla missione – come ha ribadito Papa Leone XIV in continuità con Francesco – la testimonianza si fa presente nei diversi ambiti della vita sociale, culturale e antropologica. Ma senza la grazia della relazione con Cristo, tutto si fa complesso e perde consistenza. È solo grazie a questo legame che si può dire con verità: “Eccomi”.
“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga” (Gv15,16). Queste parole ci riportano all’origine divina della vocazione: è Cristo la sorgente della chiamata. E questa consapevolezza non rattrista, ma apre alla fecondità. Il Signore ci chiama a portare frutto secondo la sua logica.
La preghiera è la via per attingere alla grazia di Dio. Per domMattia, essa trova il suo luogo naturale nella vita monastica. Per te, don Giovanni, si esprimerà nella vita pastorale della Chiesa diocesana. La preghiera è sorgente per ottenere ciò che è veramente necessario nel momento opportuno.
In quest’Anno Santo della Speranza, il ministero si rivela come sorgente di fiducia. Dom Mattia ha percorso, con fiducia e speranza, il cammino dalla terra natale del Vietnam fino al monastero di San Pietro di Sorres, insieme a un bel gruppo di confratelli: segno dell’universalità della vocazione. Anche tu, Giovanni, hai seguito il Signore sostenuto da questa stessa speranza.
La vita, com’è naturale, conosce momenti di tristezza e di sofferenza. Ma le parole di Gesù sono l’àncora alla quale aggrapparsi costantemente nell’esercizio del ministero. Con l’imposizione delle mani – segno esplicito del dono dello Spirito –comprendiamo, o almeno intuiamo, che la nostra vita è guidata dal gemito dello Spirito, contrapposto, secondo sant’Agostino, al gracchiare del corvo.
Il gemito della colomba – immagine dello Spirito – è dolce e colmo d’amore, mentre il gracchiare del corvo è rumoroso, disordinato e privo di carità. La vita monastica è testimonianza della dimensione escatologica della Chiesa, ma anche la vita ministeriale, con la presidenza eucaristica, la annuncia concretamente nella comunità cristiana.
Oggi compiremo un gesto significativo: l’abbraccio e il bacio di pace. È il cosiddetto Osculum pacis, il bacio fraterno che ricorda Agostino. Questo gesto liturgico, insieme al bacio dell’altare all’inizio della celebrazione e allo scambio della pace prima della comunione, è profondamente legato all’identità del ministero e della Chiesa. Il bacio della colomba è segno dell’unità generata dallo Spirito; quello del corvo, invece, è immagine della divisione.
Questo mistero si realizza per dom Mattia nella comunità monastica e per don Giovanni nel presbiterio e nella comunità ecclesiale. Vogliamo chiedere che lo Spirito discenda come colomba, avvolgendo voi e tutto il popolo di Dio, rendendovi partecipi del ministero episcopale per la crescita spirituale del popolo santo.
Diventiamo così ministri della misericordia di una Chiesa aperta al mondo. Come ha ricordato l’Abate, il nostro monastero ha saputo profeticamente aprirsi, diventando una fucina di comunione e convivenza in una società interconnessa. E questo è anche il compito della Chiesa particolare, in un tempo in cui il globale si fa glocale.
La missione della Chiesa ci chiede oggi di vivere un ministero non limitato da logiche localistiche o etniche, ma segnato da un respiro universale, in vista della patria celeste in cui ogni divisione sarà superata.
Cari dom Mattia e don Giovanni, allo Spirito Santo, oggi donato a voi come a noi, chiediamo – con le parole di sant’Isacco il Siro –che “generi in noi un cuore che arde per l’intera creazione, per gli uomini, per gli animali, per ogni creatura. Quando un uomo provvisto di un simile cuore si rammenta delle creature o le osserva, se riempito di Spirito Santo, i suoi occhi si riempiono di lacrime”.
Questa è anche la dimensione del ministero: l’esercizio concreto della misericordia, specialmente nel sacramento della riconciliazione, che non è la dogana della Chiesa, ma lo spazio dell’accoglienza e della mediazione dell’amore di Dio.
Concludendo, facciamo nostra la preghiera di san Simeone e invochiamo lo Spirito perché penetri come olio profumato nel profondo del cuore, ravvivando in noi quel profumo ricevuto nel battesimo, nella cresima e nelle ordinazioni:
“Vieni luce vera, vieni vita eterna, vieni mistero nascosto, vieni tesoro senza nome e realtà ineffabile, vieni persona inesprimibile, vieni felicità senza fine. Vieni luce senza tramonto, vieni il risveglio di chi dorme, vieni risurrezione dei morti, vieni tu, diventato mio desiderio, mio soffio e mia vita, vieni mia gioia, mia gloria, mia delizia senza fine, perché il tuo dolce profumo possa ricoprire la bellezza di tutto il creato”».




