Ordinazione diaconale dell’accolito Andrea Usai 

30 Novembre 2024 | News, primo piano, vescovo

Questa mattina, 30 novembre, nella Basilica del Sacro Cuore a Sassari, per l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria dell’arcivescovo Gian Franco l’accolito Andrea Usai è stato ordinato Diacono. 

Di seguito riportiamo l’omelia tenuta dall’Arcivescovo:

«La festa di Sant’Andrea è un’occasione propizia per celebrare il dono del Ministero Diaconale: è una ricorrenza nella quale il nostro sguardo è riportato alle origini della sequela di coloro che sono stati nella Chiesa colonne e fondamento. E così, carissimo Andrea, oggi è arrivato il giorno per il quale hai camminato, ti sei preparato con gioia, in qualche tratto di strada anche con un po’ di sofferenza nel momento in cui la malattia ha bussato alla porta,ma la grazia della fede e la presenza materna di Maria, oltre che dei tuoi cari e di tante persone amiche, hanno fatto sì che quella parentesi possiamo veramente ritenerla chiusa. È una tappa attraverso la quale hai potuto approfondire e maturare gli ideali di vita che ti accompagnano nell’aver chiesto il dono del Diaconato e nel metterti a servizio della Chiesa e dell’umanità intera. E così anche la festa di Sant’Andrea ci riconduce ad una comprensione più profonda del ministero, un ministero che a volte è segnato dalla gioia e in qualche momento è segnato anche dalle fatiche,così come i tempi della sequela.

Come sappiamo, le spoglie mortali di Andrea rimasero a Patrasso fino all’anno 357; successivamente l’imperatore Costanzo le volle a Costantinopoli, dove per secoli furono custodite e venerate nella Basilica costantiniana dei Santi Apostoli con un desiderio misto tra interferenze dell’autorità imperiale, costituzione e crescita della comunità cristiana. Il desiderio era quello di avere nella nuova Roma gli araldi del Vangelo che costituiscono per noi un punto di riferimento. Questo aspetto, che la tradizione ci ha tramandato,credo sia significativo perché in una società nella quale è liquida la figura dei Padri, come giorni fa anche il Santo Padre ci ha ricordato sottolineando il valore dello studio della storia, essi sono i nostri veri punti di riferimento di fronte a forme di paternità ecclesiale che non sempre sono le più consone all’autentica tradizione della Chiesa.

Perciò noi guardiamo gli Apostoli, guardiamo questi nostri Padri nella fede, i quali hanno speso e consumato tutta la loro vita, come in questo caso, fino alla croce che ha segnato la morte. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, dell’incontro di Andrea con il Signore abbiamo una narrazione leggermente diversa rispetto a quella che l’evangelista Giovanni ci propone circa la figura di Pietro. Nei sinottici Pietro appare il corifeo degli Apostoli, la roccia della fede e quindi Andrea sembrerebbe rimanere un po’ più in seconda fila, un po’ più nascosto. Si tratta della trasmissione di un messaggio, di un annuncio che l’evangelista Giovanni invece ci presenta sottolineando un altro aspetto e cioè che Andrea è stato il protrocletos, il primo chiamato, colui che avendo ascoltato l’annuncio di Giovanni il Battista che indicava in Gesù l’Agnello di Dio, si recò a coinvolgere anche il fratello. Queste due relazioni certamente non sono tra loro in contrapposizione, ma sono due sottolineature differenti. Oggi la liturgia ce ne propone una ed è quella di Gesù che è in cammino e si fa prossimo lungo il mare della Galilea, chiama Pietro e Andrea in un contesto di lavoro, mentre essi gettavano le reti, e li invita a seguirlo, ad andare dietro di sé.

Si tratta di un’azione importante: quello che questi discepoli compiono è il compito di gettare le reti, un impegno dal quale essi non saranno mai dispensati. Tant’è vero che Gesù li lascerà pescatori ma da pescatori di pesci li trasformerà in pescatori di uomini e affiderà loro queste reti. Quali reti? Le retti della Parola, le reti dell’annuncio per attraversare città, culture, ambienti diversi per annunciare la Parola mediante la quale cammina il Regno di Dio. Il Signore si fa prossimo di persone concrete, le avvicina così come esse sono, in un luogo geografico concreto e lì pone il suo annuncio. Proiettando verso un oltre questo dato di fede, credo sia vero fondamento alla nostra scelta e alla grazia della chiamata che tu, Andrea, con generosità hai accolto.

Ti appresti ad intraprendere una nuova fase della tua vita con il dono del sacramento dell’Ordine nel grado del diaconato. Tutto questo è motivo di fiducia e di confidenza profonda nel Signore,perché Egli va ad associare a sé persone storicamente situate, persone appartenenti ad una cultura, ad un ambiente, le invita per andare dietro a Lui e vivere una dimensione discepolare. Poi diventerà anche una dimensione apostolica, diventeranno degli inviati. Ciò che nella Prima lettura ci è stato sottolineato dall’Apostolo quando afferma come avremmo potuto credere se qualcuno non ce lo avesse annunciato. Il ministero dell’annuncio è una delle dimensioni importanti della diaconia che oggi ti viene conferita in modo sacramentale. Lo stesso Agostino all’inizio della sua conversione nel primo libro delle Confessioni dice: “Ma come avrei potuto credere se qualcuno non me lo avesse annunciato?”. Riferendosi a questo Agostino pensa alla mamma, pensa alla famiglia; poi vi sono voluti tanti decenni perché quella fede divenisse una sua scelta.

Oggi anche noi diciamo grazie ai tuoi genitori, ai tuoi cari parenti, a tuo nonno che abbiamo accompagnato poco meno di un mese fa all’estrema dimora terrena, ma che dal cielo gioisce con te e con noi.

Dove nasce la fede? Come nasce la fede? Dove maturano le vocazioni? Chi semina il Vangelo della vocazione? Chi ci annuncia il dono della fede? Sono i nostri genitori. Il Papa più volte ritorna su questo aspetto, sottolineando come nelle prime comunità cristiane le nonne, i parenti, le mamme trasmettevano la fede. Questo continua: è la Chiesa domestica concreta, reale, nella quale la fede viene trasmessa. Poi la fede si sviluppa e cresce come scelta personale e negli stati di vita come una dimensione che viene riconosciuta dalla Chiesa e non solo. Anche in questa vicenda noi vediamo che questi due fratelli vengono chiamati alla sequela: Gesù li chiama dietro a sé.

Tante volte ci domandiamo dove dobbiamo andare ad annunciare il Vangelo. Forse mai come in questo momento, caratterizzato da un processo di secolarizzazione e di distacco da quella che era la vita concreta delle parrocchie di un tempo, siamo chiamati ad annunciarlo laddove noi siamo situati in quelle relazioni già esistenti che diventano nuove relazioni. Proviamo ad immaginare il rapporto tra Andrea e Pietro: il loro rapporto da fratelli di sangue viene trasformato in un rapporto che assume dimensioni diverse. L’evangelista sottolinea questa dimensione vocazionale e credo debba ardere profondamente all’interno della Chiesa, all’interno delle nostre comunità, perché è una via tanto efficace,come dicevo all’inizio dell’Eucaristia. È alla luce di questo mistero di amore che lo sguardo di Gesù raggiunge Andrea, attraverso la voce del precursore.

Desidero soffermarmi su alcuni tratti che il Santo Padre ci ha consegnato donando alla Chiesa la Dilexit nos, invitandoci a riflettere sull’amore umano e divino di Cristo, del Verbo di Dio fatto carne. Il primo di questi è lo sguardo di Dio che ci guarda profondamente, ci guarda con amore, ci guarda non per un giudizio ma per un invito, per accoglierci. Dice il Papa: “Riesci a immaginare quell’istante, quell’incontro tra gli occhi di quest’uomo e lo sguardo di Gesù? Se ti chiama, se ti invita per una missione, prima ti guarda, scruta l’intimo del tuo essere, percepisce e conosce tutto ciò che vi è in te, pone su di te il suo sguardo”.

Caro Andrea, quanto è confortante per noi ricordare ogni giorno che Dio ha posto il suo sguardo su di noi. Uno sguardo che penetra fin alle midolla interiormente in ciascuno di noi e così ci chiama, ci invita, ci rende partecipi. Egli scruta l’intimo del nostro essere. Questo è un mistero di amore che ci eleva, ci sostiene. Mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide i due fratelli e andando oltre vide altri due fratelli: uno sguardo che mette in movimento la nostra vita come la chiamata. 

La chiamata non ci pone in una condizione di staticità, ma ci mette in cammino. Anche per noi è importante ricordare che l’essere stati chiamati non significa far girare un disco per ripetere sempre la stessa canzone e la stessa musica. Significa entrare nel dinamismo dello sguardo di Dio che ci porta verso luoghi, orizzonti, terre e contesti che all’inizio non conosciamo e non possiamo immaginare, così come è avvenuto proprio per Andrea e per questi fratelli. Vi è un fattore fondamentale alla luce di tutto questo: vedendo le folle Gesù sente compassione perché erano stanche e sfinite ed Egli quindi suscita apostoli, suscita inviati per una diaconia di prossimità, di presenza, non laddove le cose vanno bene, non laddove tutto è in ordine e in fila, ma laddove vi è stanchezza, dove le pecore del gregge sono sfinite. Questa dedizione all’amore di Cristo è ciò che sostiene costantemente nella nostra vita, la grazia della diaconia, la grazia del servizio. Egli mi ha amato e questo amore che mi ha trasmesso mi pone in una condizione di missione, di amore.

Il Papa ci ricorda che è proprio nel suo amore umano e non allontanandoci da esso che troviamo il suo amore divino, l’infinito nel finito. Questo aspetto è tanto importante anche in ordine a quelli che sono gli impegni che si assumono con il diaconato. Questi impegni non siamo chiamati a spiritualizzarli, a renderli astratti, ma a tradurli concretamente, con serenità e con profondo affidamento nella grazia di Dio, vivendo proprio la nostra umanità irradiata dalla grazia dello Spirito Santo, sostenuta dalla grazia dello Spirito Santo. Alcuni Padri della Chiesa, di fronte ad alcuni che negavano e relativizzavano la vera umanità di Cristo, hanno sottolineato che l’incarnazione del Signore non è qualcosa di fantasioso, ma che il Signore ha posseduto gli affetti naturali, come ci ricorda San Basilio. Vi può essere una grande tentazione, che è anche una minaccia per la perseveranza nel ministero ordinato: rimuovere l’esistenza degli affetti naturali. Tutto questo non è bene, né per te, né per ciascuno di noi, qualunque sia il grado nella gerarchia. Tutti siamo chiamati a consegnare al Signore i nostri affetti naturali perché lo Spirito Santo che sgorga dal cuore di Cristo crocifisso venga ad irradiare ancora il cuore del discepolo. Ci ricorda Sant’Agostino che il Signore Gesù prese tutta la nostra umanità, le debolezze, la debolezza umana, non per una necessità impostagli, ma per una volontà di misericordia. Se noi leggiamo la nostra vita ministeriale in questi termini, allora da questa immagine di Cristo cambia anche lo stile e il metodo della pastorale, il modo di rapportarci nel servizio ai fratelli, il modo di avvicinarci all’umanità dei fratelli, il nostro modo di essere prossimi dei fratelli. Il Papa ci ricorda che oggi noi assistiamo ad una nuova forma di neo-giansenismo. I giansenisti guardavano dall’alto in basso tutto ciò che era umano, affettivo, corporeo, e in definitiva ritenevano che tale devozione si allontanasse dalla più pura adorazione del Dio Altissimo. Già Pio XII definì tutto questo un falso misticismo. 

Oggi di fronte a tante filosofie e astrazioni assistiamo anche a nuove manifestazioni di una spiritualità senza carne, a nuovi modi per rinnegare l’incarnazione del Verbo di Dio, per non conoscerne e non assaporarne la grazia salvifica. Dal punto di vista operativo il cuore di Cristo ci libera anche da un’altra tentazione dualistica, quella di comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, su progetti e riflessioni prive della relazione con il Signore. San Francesco di Sal, citato dal Papa nella Dilexit nos, ci ricorda che di fronte a questo stile freddo, o a una morale rigoristica o a una religiosità di mera osservanza, il cuore di Cristo è la sorgente dalla quale possiamo attingere la piena fiducia nell’azione misteriosa della grazia. I Padri ci ricordano che il diacono è servitore dei Misteri di Dio, cioè della grazia di Cristo, e quindi questo dono della grazia, di cui noi diveniamo servitori, mai possiamodimenticarlo.

Nel ministero vi è poi un’altra dimensione: quella comunitaria, sociale e missionaria di ogni autentica relazione con Cristo. San Giovanni Paolo II ricordava che per costruire la civiltà dell’amore,l’umanità di oggi ha bisogno del cuore di Cristo e ne indicava alcuni tratti. Anzitutto la riparazione ed essa, egli dice, non è una riparazione intimistica, devozionale, una riparazione dove vi è quasi la tentazione di sostituirsi a Dio. La riparazione non è altro che assumere la capacità evangelica di costruire sulle macerie. Macerie che possono essere umane, spirituali, strutturali, di vario genere. Ricostruire con la grazia di Cristo, non aver timore di queste macerie e non sostituire la forza dell’azione pastorale all’attivismo privato e individualistico. La missione, intesa così, non è altro che l’impegno ad irradiare l’amore del cuore di Cristo. La diaconia, infatti, che cos’altro è se non un rendere tangibile l’amore del Signore? Quell’amore con il quale Egli ci ha amati profondamente. Siamo perciò coinvolti, oggi forse come non mai, nel diffondere il bene, nello spingere verso progetti di ricostruzione, di rinnovamento, con lo spirito umile e mite di Cristo. L’umiltà di Cristo, ci ricorda Papa Francesco, è la via e il metodo mediante il quale porsi davanti alle diverse situazioni umane con lo spirito del medico, della madre, del buon samaritano che si fa prossimo del fratello. 

Carissimo Andrea, per te e per noi tutti il magistero che il Papa ci ha voluto donare di recente diventa una lampada per accompagnarci, in questa navigazione che il tempo presente ci propone, con profonda fiducia, con speranza, e illuminati dallo spirito di Sant’Andrea a non badare a confini geografici, antropologici, spirituali».

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