Nel pomeriggio di venerdì 11 ottobre, a Cheremule, nella parrocchia di San Gabriele Arcangelo, l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione eucaristica in occasione della conclusione del mandato pastorale del parroco don Salvatore Delogu.
Nell’omelia l’arcivescovo ha detto:
«Questo pomeriggio la comunità di Cheremule è riunita numerosa per esprimere una manifestazione di affetto e gratitudine a don Salvatore, per il suo servizio pastorale come parroco. Vedo le diverse rappresentanze, gli amministratori, i vari gruppiparrocchiali, persone avanti con gli anni ma anche tanti giovani. Credo sia una bella manifestazione d’affetto per il lavoro svolto da don Salvatore in questa comunità in tutti questi anni. È bello che questo avvenga nel contesto della Visita pastorale.
Oggi noi celebriamo una memoria particolare che desidero sottolineare proprio per porre in evidenza il grazie a don Salvatore, per il suo operato da presbitero, ma anche per riflettere sul senso della nostra vocazione di pastori: la memoria di San Giovanni XXIII, comunemente da tutti conosciuto con l’appellativo del ‘Papa Buono’. Questo, spesso, è infatti l’appellativo con il quale il popolo di Dio lo ricorda. Papa Giovanni ha vissuto una vita all’insegna di valori come prossimità e vicinanza, ma vi è anche un altro aspetto che ha caratterizzato la sua esistenza, quello del nascondimento, che è durato per quasi tutta la sua vita. Fu inviato, come nunzio delegato del Papa, in Bulgaria, Turchia e Grecia. Ad un certo punto, nei suoi diari, si legge un’espressione: “penso che si siano dimenticati di me”.
A volte capita di pensare che qualcuno si dimentichi di noi, e magari anche don Salvatore stesso avrà pensato, nell’ultimo periodo, che il Vescovo possa essersi dimenticato di lui. Non l’ho fatto, e tengo a sottolineare che in particolar modo, quest’anno, segnato anche da fatiche fisiche, don Salvatore ha svolto un grande servizio di dedizione quotidiana, feriale, costante e amorevole per la sua comunità.
Che cosa desidero sottolineare? Oggi, la memoria di Papa Giovanni ci mette davanti come possa accadere che tanti anni di un ministero possano andare avanti nel nascondimento, nel silenzio, nel non essere oggetto di grande successo e di grandi esiti. Una parte della vita del Papa Giovanni è proprio segnata dal grande nascondimento.
Come Papa Giovanni ha vissuto questo nascondimento? L’ha vissuto nella preghiera, nel suo essere orientato a Dio, nel suo essere orientato al popolo di Dio. Questi erano i suoi due orientamenti: essere orientato a Dio e verso il popolo di Dio. Questo lo trasmetterà in modo carismatico, come Vescovo di Roma, con l’apertura del Concilio Vaticano II. Il nascondimento losperimentò direttamente nelle sue relazioni con popolazionicomplesse e articolate in Bulgaria, in Turchia, in Grecia, cercando di fare breccia, attraverso la via dell’amore, nel cuore di situazioni umane dove regnavano talvolta le barriere della diffidenza verso l’altro e la diversità. I cattolici erano pochissimi; vi erano presenze di ortodossi e molti musulmani. Quindi svolgere un servizio ministeriale in un contesto del genere è stata certamente un’ascesi importante. Nel contatto diretto con la realtà, con quel contesto, egli sapeva tradurre delle azioni pastorali che erano improntate a trasmettere un elemento importante: la logica dell’amore, la logica sovrana del cristianesimo. Il cristianesimo ha questa logica. E questa è stata la grande diplomazia, la grande azione diplomatica che San Giovanni ha esercitato, mettendo insieme una comunità con tante diversità e con tante peculiarità.
Durante la Visita pastorale, incontrando genitori, bambini, ragazzi, ammalati, amministratori, le situazioni del mondo del lavoro, viene fuori che nelle comunità vi è proprio un’azione di tessitura della comunità che parte del basso. Questo credo che sia il grande ministero del Parroco, il cui ruolo incide fortemente nella costruzione della comunità, anche se questo avviene nel silenzio. Oggi questo ministero è oggetto di riflessione su come viverlo nel nuovo contesto sociale cristiano moderno. Le figure ministeriali sacerdotali, dei vescovi e dei parroci, assumono una connotazione: la missionarietà.
Papa Giovanni visse questa dimensione andando altrove. Oggi l’altrove è venuto qui da noi. Noi siamo chiamati a leggere il nostro territorio con questa composizione e il servizio che siamo chiamati a svolgere assume una dimensione sempre più cattolica, sempre più universale, sempre più larga, sempre più alta. Questo non vuol dire che viene meno la figura del Parroco. Vi sono modi di esercitarlo che sicuramente dovranno rispondere sempre più alle esigenze di oggi. La prima è dovuta alla carenza vocazionale, e si può definire di tipo organizzativo. Ogni battezzato nellacomunità è chiamato ad essere discepolo missionario, come ci ricorda Papa Francesco. Oggi occorre farsi discepoli missionari in una dimensione più comunitaria, occorre mettersi a servizio della comunità.
Tutte le ministerialità che oggi sono presenti non sostituiscono la figura del Parroco, ma la rendono più efficace, più pervasiva, e consentono di entrare maggiormente in quell’azione di evangelizzazione e di guida al servizio della comunità. Il sostare in una comunità è una caratteristica propria del Parroco, rappresenta una presenza costante. Oggi questa presenza costante siamo chiamati a pensarla all’interno del cammino che la Chiesa sta compiendo, il cammino del sinodo, il sinodo dei Vescovi, il processo sinodale delle nostre Chiese.
Noi vogliamo pregare, nel contesto della Visita pastorale, perché si ricucisca sempre più il tessuto delle nostre comunità. Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo che genera vita, scacciando via tensioni e lacerazioni. Ce lo suggerisce Gesù, che ci indica la via per entrare in comunione con Dio. La parrocchia si basa certamente sul servizio di Presbiteri e di Vescovi, ma si fonda su Cristo. Gesù rappresenta la pietra, il fondamento.
Vi incoraggio e vi ringrazio. Proseguiamo il cammino della Visita pastorale nelle comunità di Torralba e Thiesi. Ancora una volta ci tengo a sottolineare che oggi il nostro grazie va a don Salvatore, per il suo servizio di generosità nelle comunità ove egli si ètrovato a servire, sempre con obbedienza, disponibilità, spirito di sacrificio. Per questo ringraziamo il Signore per il sacerdozio, dono di Dio».
Al termine della celebrazione, nel salone parrocchiale, si è tenuto un incontro di convivialità, organizzato dall’Amministrazione comunale e dalla comunità parrocchiale di Cheremule.