San Pietro in Silki: celebrazione eucaristica con gli ammalati

18 Maggio 2024 | primo piano

Nel pomeriggio di venerdì 17 maggio l’arcivescovo Gian Franco Saba ha presieduto la Celebrazione eucaristica con gli ammalati nel santuario di San Pietro in Silki a Sassari.

Nell’omelia, l’arcivescovo ha detto: «Quest’oggi Maria è stata in modo particolare in compagnia di quanti si trovano degenti nelle nostre strutture ospedaliere e lo è stata come inviata dal Signore. Pensando a questo appuntamento annuale, la prima riflessione, la prima meditazione che desidererei condividere nasce proprio da questa attenzione di Maria verso di noi.
Questo pellegrinaggio odierno di Maria nelle corsie ospedaliere, nelle stanze di degenza e nei luoghi di cura, ci riporta non ad un fatto estetico, esteriore di un simulacro, ma ci riconduce proprio alla vocazione di Maria, alla sua missione. Maria camminò in mezzo al suo popolo, alla sequela di Gesù. Ed è facile immaginare come nei tanti incontri di Gesù con le folle e i sofferenti, in alcuni di questi incontri vi fosse anche Maria, vicina a lui e vicina a queste folle. E perciò Maria è una donna in cammino, è una donna della presenza, è una madre che è presente. Ecco, lei che il Signore risorto ci ha lasciato come segno della maternità di Dio, un segno visibile, un segno tangibile. La sua maternità continua nel tempo, continua nella storia e si estende verso ciascuno. E allora vogliamo dire il nostro grazie a Maria per la sua prossimità, per il suo servizio di prossimità, perché continua a camminare in mezzo a noi. Cammina in mezzo a noi per farci sentire l’amore di Dio. Ma possiamo anche immaginare che Maria cammina in mezzo a noi per presentare a suo figlio quanto noi affidiamo a lei, quanto confidiamo a lei. Quei desideri, quelle domande, quelle preghiere, quelle suppliche, che consegniamo al suo sguardo di madre, al suo cuore di madre.

Ecco, la madre della prossimità, della vicinanza, della cura. E così veramente riscopriamo la vocazione umana e divina di Maria. Perché Maria mai ha cessato di essere mamma e continua ad esserlo. Per questo le siamo grati e quindi in questa Eucaristia con lei, in preghiera con lei, assidui nella preghiera con lei, vogliamo consegnare al figlio suo Gesù tutti quei desideri, quegli aneliti, quei desideri di gioia, quelle sofferenze, quelle lacrime, quelle aspirazioni di bene, di benessere e di miglioramento della qualità della vita che a lei sono state presentate da tanti cuori, da tanti volti, da tante menti, da tanti corpi segnati dalla prova e questa sera qui rappresentati da questa assemblea eucaristica. Maria è con noi, è una presenza del suo amore che ci ricorda come la missione del figlio suo sia stata una missione di amore.

Nel Vangelo che abbiamo ascoltato vi è una parola che mostra questa missione di Gesù e da Gesù trasmessa ai suoi discepoli, ai suoi apostoli, alla Chiesa, a tutti, con la parola “pascere”.
“Pasci i miei agnelli, pascola le mie pecore. Pasci le mie pecore, il mio gregge”.

Ecco, questa è la parola di Gesù: “pascere”. La parola pascere possiamo tradurla con il “prenditi cura delle mie pecore”. Vi è un affidamento temporaneo che il Signore dà a tutti noi verso qualcuno. Il Signore agisce direttamente, certamente perché le sue vie sono infinite e insondabili, ma vi è un affidamento temporaneo nel pellegrinaggio della storia, lungo la vita, dove il Signore ci affida a qualcuno.

A un presbitero, a un diacono, a un vescovo, a un religioso può affidare il popolo di Dio. Sono servizi del popolo di Dio, ma dentro il popolo di Dio ogni persona è chiamata a riscoprire la vocazione della cura verso l’altro, del prendersi cura di qualcuno, cioè l’essere segno di Cristo. L’immagine del buon pastore ci riporta proprio a questa dimensione del prendersi cura. Il pastore veglia, il pastore guarda, osserva, scruta, valuta i tempi del cibo, del riposo, del sole e del riparo dal sole. Svolge tutta una serie di azioni che sono quelle proprie di chi si prende cura. Ogni giorno, da quando ci alziamo, finché non terminano le nostre giornate, abbiamo tutti tante occasioni dove incontriamo il nostro prossimo, chi ci sta accanto, e che sollecita in noi varie forme del prenderci cura gli uni degli altri. Cioè di prestare attenzione a chi ci sta accanto.

Questa è la vita, la missione della Chiesa. È la missione che affida a Giovanni, a Simone, che affida agli Apostoli, ma che affida a ciascuno di noi. Talvolta quando si parla in termini ecclesiastici di pastorale, ci si chiede: che cos’è la pastorale? L’azione pastorale è un’azione di cura, è un’azione di presa in carico dell’altro. Ciascuno può fare qualcosa verso l’altro, dal più piccolo gesto di un bicchiere d’acqua, di un sorriso, di una parola, anche di un silenzio talvolta, sino a tante altre forme di attenzioni e di cura. Questa sera sono presenti tanti rappresentanti dei diversi mondi del volontariato. Il volontariato è l’espressione della gratuità di Dio, dell’azione di Dio che pasce il suo popolo.

L’azione del pascere forse noi l’abbiamo un po’ clericalizzata, rinchiudendola solo in una sfera, in una dimensione, mentre la Chiesa è chiamata ad essere segno della cura di Dio verso tutti. Oggi si parla delle nuove ministerialità, cioè dei nuovi servizi, di quei servizi di cura che i bisogni della persona umana del tempo presente implorano la nostra attenzione. Ma vi è un elemento che qualifica profondamente il volontariato che diventa missione esplicita, pubblica professione di fede: l’adesione a Gesù, lo scegliere, nella propria azione di servizio, di essere il segno di quella presenza sacramentale di Cristo. Quell’essere il segno di uno strumento vivo che diviene il travaso dell’amore di Dio verso la creatura umana. Sicuramente questo ci porta in un livello superiore, in un livello più alto, perché ci proietta verso la meta ultima e ci riporta anche alla nostra origine, la nostra origine che nasce in Dio e la nostra meta ultima che tende verso Dio. Quando nei mondi della cura viene meno questa consapevolezza, che vi è un’origine che viene da Dio e tende verso Dio, talvolta può succedere che la creatura umana sia presa da una sorta di superbia prometeica di poter svolgere la cura verso il prossimo secondo il suo sentire, tenendo come unico punto di riferimento le sue logiche razionali. E quindi talvolta anche il servizio di cura può trasformarsi in un servizio di dominio sull’altro.

Cristo ci rende liberi in ogni azione di cura, libera la nostra intelligenza, il nostro cuore, le nostre mani, i nostri affetti, libera i nostri interessi, ci rende persone gratuite. Preghiamo perché alimenti e faccia crescere questo ministero di cura e di amore verso il prossimo, soprattutto verso le membra sofferenti, segno più nobile e più alto della sua presenza. Il Signore ci liberi da ogni logica di possesso, di dominio, in quegli spazi dove la creatura umana si presenta e si manifesta nella sua, nelle forme e di disarmo più totale e del bisogno di cuori e di menti veramente liberi, veramente gratuiti, veramente ispirati a un cuore che cerca il bene dell’altro.

Maria, che ha sempre cercato nella sua vita di vivere secondo il progetto di Dio e di cooperare al bene dell’umanità, possa accompagnare i nostri passi, sollevando chi vive la sofferenza e suscitando in ciascuno di noi uno spirito di servizio e dedizione che sia davvero segno di cuore liberi, di intelligenze libere che hanno un orizzonte ampio di azione e di impegno dove la persona umana viene rispettata profondamente per come si presenta nella sua realtà concreta».

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