Omelia dell’arcivescovo Gian Franco Saba nell’azione liturgica del Venerdì Santo
Anzitutto desidero sottolineare l’invito dell’autore della Lettera agli Ebrei a fissare lo sguardo su Gesù, il Figlio di Dio. Questa è la nostra professione di fede.
Con gli occhi verso il Crocifisso, chi guardiamo? Dove si volge il nostro sguardo? A Gesù, il Figlio di Dio. Non è mai dato per scontata questa professione di fede battesimale, che è la nostra fede. Ma è una fede che costantemente siamo chiamati a rinnovare. Gesù, Figlio di Dio. Lo contempliamo in una veste particolare, ci ricorda l’autore della Lettera agli Ebrei: come sommo sacerdote. Un sommo sacerdote grande. Ma non soltanto un sommo sacerdote terreno, ma il sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, e ha congiunto due realtà che solo Dio avrebbe potuto congiungere: la realtà di Dio celeste con la realtà terrestre. Quindi nello sguardo a Cristo crocifisso contempliamo colui che ci mette in comunicazione, in relazione.
Il Signore è divenuto sommo sacerdote, secondo un’immagine tratta dal linguaggio delle tradizioni ebraiche, perché assumesse le nostre debolezze, perché prendesse parte alle nostre debolezze. La creaturalità umana è stata pienamente assunta da Gesù.
Quindi, guardando il Crocifisso, il Cristo crocifisso, vediamo in Lui la potenza di Dio, la grandezza di Dio, ma anche tutta l’umiltà della creatura umana. Mal’umiltà della creatura umana è stata unita alla grandezza di Dio. Questo è il nostro grande mistero. Tutta la umana debolezza, tutta l’umana fragilità, è resa partecipe della grandezza di Dio, della potenza di Dio. Egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. E perciò quella croce è diventata un trono.
Accostiamoci con fiducia al trono della Grazia. E un’antitesi: sembrerebbe una contrapposizione pensare che la croce sia un trono. Il trono è un luogo di comando, è un luogo di potere, è un luogo di governo, è un luogo di forza. E lì Gesù, in quel trono, è divenuto inerme, è divenuto senza forza, senza strumenti di difesa, per divenire motivo di grazia all’umanità. È la potenza dell’amore di Dio che in quel trono trionfa. È la potenza dell’amore di Dio, la forza, l’arma attraverso la quale Egli sconfigge il male. È il mistero del cammino dell’esodo nel deserto, come lo descrive bene San Giovanni: il serpente, simbolo del male, che attraverso il suo morso, ammazza col veleno. Il nuovo serpente di grazia, mordendo con l’amore innesta non un virus di morte, ma un siero di vita. È con il contrario del male,con la logica dell’opposto che Egli salva l’umanità. Al mistero del male, oppone il mistero della morte, al veleno della morte, contrappone la linfa della vita.
La croce diventa un trono di Grazia, un albero di vita, un luogo di fiducia. Quindi, quando ci si accosta al Cristo crocifisso, si guarda il Cristo crocifisso. La prima grazia,il primo sentimento, la prima disposizione del cuore è quello di uno sguardo di fiducia: avere fiducia in Dio. Il legno della croce, che sembra essere simbolo di sconfitta, diventa il luogo del trono della Grazia, il luogo della forza e della potenza di Dio.