Chiamati a spandere il profumo di una vita santa
“Desidero invitare tutti noi a soffermarci sulla missione che abbiamo ricevuto: chiamati a spandere il profumo di una vita santa”. Così l’Arcivescovo Gian Franco nell’omelia per la messa crismale del giovedì santo nella Cattedrale di San Nicola durante la quale sono stati benedetti il Santo Crisma e gli altri oli. “Questo mistero che nel battesimo ci rende tutti partecipi di una comune grazia, ci invita a mettere in moto le dinamiche di missione di un popolo messianico”. Attorno all’altare l’intero presbiterio turritano, l’Arcivescovo emerito, padre Paolo Atzei e l’Abate di San Pietro di Sorres, padre Luigi Tiana.
L’Arcivescovo ha indicato cinque vie sinodali, per un impegno condiviso. “La presenza dello Spirito, come ci ricorda l’Evangelii Gaudium, concede ai cristiani una certa connaturalità con la realtà divina – ha detto -. Da qui, e dalla liturgia che celebriamo tutti i giorni, comprendiamo che tutti siamo chiamati a evangelizzare. Questo interpella i nostri stili e metodi pastorali. Tutta la Chiesa è chiamata a riscoprire in questo momento la sua altissima vocazione. Un secondo impegno: quando una comunità accoglie l’annuncio della salvezza, ci ricorda ancora l’Evangelii Gaudium, lo Spirito Santo ne feconda la cultura con la forza trasformante del Vangelo. Il dono della lieta novella è universale, geograficamente e antropologicamente. Anche noi siamo chiamati a promuovere un nuovo sguardo al territorio per uscire dalla noia della abitudini che non parlano a nessuno. Una terza via, è sempre l’Evangelii Gaudium che ce la suggerisce, è lo Spirito Santo inviato dal Padre e dal Figlio che trasforma i nostri cuori. Accogliere la lieta novella implica un processo di conversione che, con la grazia dello Spirito Santo, permette di superare le contrapposizione e creare armonia. Lo Spirito ci invita a superare le polarizzazione e le chiusure. Perciò vogliamo chiedere allo Spirito Santo ferialmente di rinnovare le relazioni e rigenerare il tessuto concreto della comunità. Questa non è l’opera di un presbitero isolato, ma di tutta la comunità. Una quarta via, ci ricorda ancora l’Evangelii Gaudium, in virtù del battesimo ogni membro del popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato è un soggetto attivo di evangelizzazione: lo è una persona colta, lo è una mamma o un papà che non hanno studiato teologia. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù. Per noi presbiteri e vescovi, partecipi del ministero ordinato, la fonte di essere i primi discepoli missionari è proprio la riscoperta dell’incontro con l’amore di Dio in Cristo Gesù. Se non siamo convinti, guardiamo i primi discepoli, ci dice Papa Francesco. Una quinta via: tutti siamo chiamati a offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza. Il messaggio di Gesù oggi non ci dice che è venuto per i perfetti ma che è venuto a prendere su di sé tutte le imperfezioni della nostra umanità. Siamo chiamati a comunicare ciò che dà speranza. Questo – ha rimarcato l’Arcivescovo – vuol dire essere artigiani di comunità, discepoli missionari”.
Nel pomeriggio, durante la celebrazione “In coena Domini” l’Arcivescovo ha compiuto il rito della lavanda dei piedi. Hanno preso parte al rito dell’ambito persone dell’ambito carcere accolte nella comunità don Muntoni, persone in accoglienza Caritas diocesana, studenti delle scuole superiori, una studentessa universitaria e una persona con disabilità dell’associazione La Sorgente. “Nella Messa in coena Domini – ha detto durante l’omelia – celebriamo lo stesso mistero che abbiamo espresso questa mattina nella Messa crismale con un segno: il vaso prezioso ricco di un’essenza profumata che si rompe ed espande in tutta la casa il suo profumo. Questa sera Gesù ci dice come ha rotto questo vaso prezioso che è lui stesso. Abbiamo ascoltato il racconto di quell’avvenimento che chiamiamo “la lavanda dei piedi”. Gesù si alza da tavola, depone le vesti e si curva sui suoi commensali per lavare loro i piedi. Dopo, Gesù riprende le sue vesti e si siede di nuovo. Gesù, nel tempo intermedio sta curvato: questo è il mistero che celebriamo in questa Messa. È il mistero di Dio che si curva su ciascuno di noi. Lui, che siede nella gloria del Padre, ha deposto le sue vesti, per assumere la carne mortale e condividere visibilmente tutta la condizione di fragilità. Poi riassume nuovamente le sue vesti, le vesti della gloria, e siede di nuovo, assiso alla destra del Padre. Noi siamo accompagnati da Cristo in questo tempo intermedio che la Chiesa è chiamata a vivere. È il tempo nel quale ciascuno è chiamato a sentirsi toccato da Gesù. L’evangelista Giovanni ci ripropone il grande mistero dell’Eucaristia, di Gesù, corpo donato e sangue versato. Una presenza costante. L’assemblea eucaristica è chiamata ad indossare l’abito della festa e l’abito del servizio. L’abito del servizio serve per ricondurre alla festa chi non sperimenta la festa, chi nella vita sperimenta la prostrazione, l’angoscia, tutte le forme che tolgono al cuore e all’esistenza la gioia. Questo è il desiderio di Dio in questo gesto: toccarci. Non c’è espressione più bella per esprimere che Dio ci vuole bene, cioè attraverso il tatto. Nell’Eucaristia Dio si dona a noi nel segno del pane e del vino. Nutrendoci di Lui entriamo in un contatto forte, profondo, intimo, vitale. Com’è il cibo nel corpo. Questa è la via che Gesù ha voluto scegliere per dire che desidera che il suo spirito circoli nelle nostre vene, nel nostro sistema linfatico, nella nostra vita, e animi la nostra esistenza. L’Eucaristia non si conclude nella celebrazione della Messa, ma si prolunga nella vita di ciascuna persona. Questa sera, i nostri cari fratelli e amici della Comunità Don Muntoni sono il segno visibile della pluralità umana e anche di confessioni diverse, perché Dio desidera toccare ciascuno, nella diversità, nella specificità, nella singolarità di ogni storia. Ecco la Chiesa in uscita che papa Francesco invita a promuovere: è la Chiesa
che “tocca” come Gesù la carne dell’umanità. Tutti noi siamo chiamati a vestire quest’abito del servizio.
Oggi commemoriamo anche l’istituzione del ministero ordinato del sacerdozio, di Cristo che si prolunga nel ministero sacerdotale dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi. Il nostro ruolo, quanto più va in alto, tanto più è un ruolo di curvatura”.
“L’Eucaristia – ha concluso – è il nutrimento che ci dà forza che ci rende come Cristo, cioè capaci di curvarci, di camminare insieme nella prospettiva della sinodalità. Facciamo riecheggiare quella domanda di Gesù: “Capite quello che ho fatto per voi?” Ci ha donato l’Eucaristia, il suo corpo e il suo sangue. E ci ha donato anche l’esempio di questo tempo intermedio, di un modo di vivere la propria storia singolare. Non una divisa esteriore, ma una prospettiva interiore. Per fare anche noi come ha fatto Lui”.