Il messaggio dell'Arcivescovo in Piazza d'Italia
Il messaggio al termine della processione del “Corpus Domini”
Partendo dal testo dell’apostolo Paolo (1Cor 11,23-26), proclamato, oltre che nella Messa, anche in Piazza d’Italia, l’Arcivescovo Mons. Atzei ha accennato al contesto in cui vive la prima comunità cristiana di Corinto, città greca, un porto di mare, in tutti i sensi: geografico, sociale, culturale, commerciale, etnico ed etico. L’Apostolo rimprovera quei cristiani perché, nel loro radunarsi per l’Eucaristia, non onorano il Corpo del Signore, di cui si nutrono. Infatti, consumano la cena che segue alla “frazione del pane” (oggi diremo alla celebrazione della Messa), in modo indegno: non si condivide il cibo che ciascuno porta, qualcuno mangia prima, altri addirittura divorano ingordi il pasto altrui, tra loro permangono invidie e divisioni insanabili. L’Apostolo li definisce “rei” del Corpo e Sangue del Signore, succubi del più sfrenato istinto egoistico. Chi si comporta in questo modo non è commensale del banchetto eucaristico, ma del “diavolo”, dice Paolo. Si tratta di coerenza: chi si ciba di Cristo, entra in una relazione così profonda, intima, immedesimandosi con il Signore, da escludere ogni atteggiamento e comportamento indegno del nome cristiano.
Conclude l’odierna pericope: “Ogni volta, infatti, che voi mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché Egli venga” (v.26).
È quanto proclamiamo in ogni Eucaristia: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta”. L’Apostolo, dunque, ha trasmesso gli “spessissimi” gesti e parole di Gesù, perché, lui neofita, li ha appresi all’inizio della conversione, e che sono il cuore, l’essenza stessa del Mistero centrale della fede cristiana, fonte e culmine della vita e dell’attività dei credenti.
“Mangiare il pane”, Corpo di Cristo, e “bere il vino”, Sangue di Cristo, significa “annunciare” il memoriale della Pasqua del Signore, sacrificio di espiazione e non semplice banchetto conviviale, tanto meno un rito magico, ma piena adesione alla signoria del Risorto, sotto il segno del suo amore crocifisso, che esprime la più profonda solidarietà e condivisione, l’impegno di autentica liberazione dai drammi umani, causati da ignoranza, fame e sete, mancanza della casa e del lavoro, da inquinamento del clima, esodi e naufragi, e ogni altro genere di ingiustizia che condanna i poveri più poveri della terra, facendoli permanere nelle loro endemiche “periferie esistenziali” e in ogni genere di sofferenze, dove i così detti ‘potenti della terra’ li confinano.
La festa del Corpus Domini, nata nel XIII secolo, in un periodo di eresie su l’Eucaristia, di fatto ha avuto come finalità il risveglio di una fede consapevole, convinta e forte, sulla presenza reale di Cristo nell’Eucaristia e nelle specie che rimangono dopo la celebrazione. Ma anche una fede che sa applicare alla vita e alle sue emergenze la presenza reale di Cristo in ogni uomo.
Papa Francesco continua a provocare la nostra risposta chiara e concreta di Chiesa di fronte alle attuali emergenze, causate dai continui flussi migratori dal sud ed est e verso il nord, o dall’Africa e dell’Asia verso l’Europa. Sappiamo dei seicento migranti sbarcati a Cagliari due giorni fa e che sembra siano destinati al nord-ovest dell’Isola, al nostro territorio. Tutti in Sardegna sanno che saranno accolti bene: cibo, vestito, alloggio. Ma ci è chiesto qualcosa di più: ospitarli nel nostro cuore e, se è possibile, nelle nostre case, per sentirci ed essere realmente Corpo di Cristo, Chiesa vigile e aperta, che non ritrae lo sguardo di fronte ai drammi umanitari ma interviene, sapendo che qualsiasi cosa facciamo a “uno solo di questi fratelli più piccoli” di Gesù è come fatto a Lui stesso.
Infine, l’Arcivescovo ha voluto rendere merito e ringraziare i molti operatori di carità che assistono i malati in famiglia, che consolano, asciugano lacrime o leniscono ferite, sono attenti, sensibili, teneri, i volontari che rendono servizio negli ospedali, nelle case di cura e di riposo; anime eucaristiche che in silenzio tessono i punti di una rete invivibile di opere buone che impreziosiscono il Corpo ecclesiale e fanno lievitare in virtù la stessa società; consacrati e consacrate, i sacerdoti che hanno scelto di andare a predicare Cristo crocifisso nei Paesi e nelle Chiese più povere, veri avamposti di missione.
“Ma non voglio dimenticare la politica, anch’essa luogo e strumento di carità, per cui la mente, lo sguardo sono sempre rivolti verso le persone più bisognose per rivendicarne la dignità, la giustizia, la solidarietà, la pace e ogni risposta ai bisogni primari della persona.
Ecco l’augurio: in una Città e territorio dove i cristiani cominciano ad avere qualche problema sulla non piena accoglienza, credo che la miglior risposta sia esserlo appunto in modo così eucaristico, da offrirsi in sacrificio a Dio gradito, come prezzo che continua ad essere pagato, perché nessuno ci possa rapire il bene sommo che è l’Eucaristia, Gesù stesso morto e risorto, dai nostri cuori e dalla Chiesa-Sposa che insieme costituiamo, in attesa del ritorno dello Sposo, così sia!”.