Stemma episcopale

Descrizione dello stemma episcopale di 

S.E.R. Mons. Gian Franco Saba 

Arcivescovo Metropolita di Sassari

 

Secondo la tradizione araldica della Chiesa cattolica, lo stemma di un Arcivescovo Metropolita è tradizionalmente composto da:

uno scudo, che può avere varie forme (sempre riconducibile a fattezze di scudo araldico) e contiene dei simbolismi tratti da idealità personali, da particolari devozioni o da tradizioni familiari, oppure da riferimenti al proprio nome, all’ambiente di vita, o ad altre particolarità;

una croce doppia, arcivescovile (detta anche “patriarcale”) con due bracci traversi all’asta, in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo;

un cappello prelatizio (galero), con cordoni a venti fiocchi, pendenti, dieci per ciascun lato (ordinati, dall’alto in basso, in 1.2.3.4), il tutto di colore verde;

un pallio bianco con crocette nere, posto in fondo allo scudo;

un cartiglio inferiore recante il motto scritto abitualmente in nero.

 

Per questo stemma è stato adottato uno scudo di foggia gotica frequentemente usato nell’araldica ecclesiastica mentre la croce patriarcale d’oro è lanceolata, con cinque gemme rosse a simboleggiare le Cinque Piaghe di Cristo.

 

Descrizione araldica (blasonatura) dello scudo dell’ Arcivescovo Saba

 “Partito: nel 1° d’oro, alla fede di carnagione e di moro posta in banda; nel 2° d’azzurro al libro aperto d’argento attraversato da un caduceo di rosso posto in palo; al capo di Savoia”

 

Il motto:

DILECTIONE AMPLECTERE DEUM

(Sant’Agostino, “De Trinitate” Liber VIII,12)

 

 

Per il proprio motto episcopale l’Arcivescovo Saba ha scelto queste parole tratte dal “De trinitate” di sant’Agostino: “Abbraccia il Dio Amore e abbraccia Dio con l’amore” (amplectere dilectionem Deum, et dilectione amplectere Deum”)

 

Interpretazione

 

Gli ornamenti esterni caratterizzanti lo stemma di un Arcivescovo Metropolita, oltre ai venti fiocchi verdi pendenti ai due lati dello scudo, sono la croce astile arcivescovile e il pallio.

Tale croce, detta anche “patriarcale”, a due bracci traversi, identifica appunto la dignità arcivescovile: infatti, nel XV secolo, essa fu adottata dai Patriarchi e, poco dopo, dagli Arcivescovi.

Alcuni studiosi ritengono che il primo braccio traverso, quello più corto, volesse richiamare il cartello con l’iscrizione “INRI”, posto sulla croce al momento della Crocifissione di Gesù.

Il pallio viene posto nello stemma degli Arcivescovi con giurisdizione metropolitana, come in questo caso; cioè di Arcivescovi che presiedono una provincia ecclesiastica costituita da più diocesi chiamate suffraganee.

Nella parte destra dello scudo (va ricordato che destra e sinistra in araldica sono invertite rispetto a chi guarda in quanto tali posizioni sono riferite, per storica tradizione, alla destra e alla sinistra del possessore dello scudo che lo reggeva davanti a sé) appare un simbolo che in araldica viene definito “fede”, cioè due mani che si stringono.

Un insigne ed erudito storico e araldista del XIX secolo, Berardo Candida Gonzaga così definisce tale figura: “simbolo […] d’una mutua unione, di riconciliazione, di alleanza e di conclusione di un contratto di pace”. Nel nostro caso questo simbolo è costituito da una mano di carnagione chiara che afferra una mano scura; di tutta evidenza il richiamo al concetto di solidarietà che, nel contesto attuale, si esplica nell’aiuto e soccorso ai migranti, ai nostri fratelli che attraversano il Mediterraneo, questo mare ricco di storia e cultura che oggi, parafrasando le parole di Papa Francesco, assume giorno dopo giorno la dimensione di “un immenso cimitero” per le genti delle periferie del mondo; guardando tale disegno sembra quasi di assistere allo sforzo di chi presta amorevole soccorso per trarre dall’acqua chi vi si dibatte in pericolo di vita.

Il “campo” su cui poggiano le due mani è in oro, il primo tra i metalli nobili, simbolo quindi della prima Virtù, la Fede; infatti, è la Fede che rende ancora più forte e dinamica la Carità che origina il gesto di amore verso il fratello in difficoltà.

Nella parte sinistra appaiono due figure che richiamano l’ascendenza dell’Arcivescovo.

Il cognome Saba, diffuso dall’antichità in ambiente mediterraneo e così in Sardegna, fa subito pensare all’antico regno di Saba, noto nella storia per la sua floridezza e per i ricchi scambi commerciali che intratteneva con i regni vicini, soprattutto di spezie e incenso per le celebrazioni religiose, e per la lungimiranza dei suoi sovrani; tra questi figura la mitica regina di Saba, citata dalla Sacra Scrittura, che si mette in viaggio per raggiungere re Salomone, il sovrano giudaico la cui fama di monarca sapiente ed equilibrato, è giunta fino a lei spingendola a fargli

visita per attingere alle sue doti di uomo saggio e giusto. Di questa donna, oltre che nella Bibbia, nel 1° Libro dei Re, troviamo citazioni nel Corano e nel Kebra Nagast, dove si narra del leggendario trasferimento dell’Arca dell’Alleanza in Etiopia. Quindi, come non riconoscere nella regina un punto di convergenza e d’incontro tra culture e religioni differenti, concetti assolutamente attuali negli odierni contesti e quindi il cammino della sovrana etiope che si reca da Salomone identifica come, alla fine, la ricerca di equilibrio, pace e saggezza sia linfa vitale per le vite di tutti noi, denominatore comune di diverse culture, religioni e razze.

Ecco quindi il perché questi concetto sono rappresentati dal caduceo, il bastone alato con due serpenti attorcigliati intorno a esso.

I serpenti che si affrontano indicano posizioni opposte, ricondotte all’armonia dalle ali che simboleggiano il primato dell’intelligenza e della sapienza che provengono dall’alto, ponendosi al di sopra delle contese. Il caduceo simboleggia quindi la conciliazione, l’armonia che origina dalla sapienza. Era portato dagli araldi e dagli ambasciatori come simbolo della loro funzione mediatrice ed aveva anche una valenza morale, poiché rappresentava la condotta onesta e sapiente dei sovrani.

In questo caso è disegnato in rosso, il colore che rappresenta la fiamma che alimenta da sempre la ricerca della sapienza e della saggezza di cui la regina di Saba è l’impersonificazione.

Il libro aperto su cui poggia il caduceo costituisce riferimento alla mamma di Mons. Saba, Caterina: infatti, esso è uno degli attributi che nell’iconografia classica accompagnano la figura della santa patrona della madre dell’Arcivescovo, Santa Caterina da Siena, dottore della Chiesa, frequentemente rappresentata nell’atto di reggere il libro delle Sacre Scritture.

Esso è in argento, colore simbolo della trasparenza, quindi della verità e della giustizia, doti che devono sempre corredare lo zelo pastorale del Vescovo mentre l’azzurro dello sfondo simboleggia il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio, quindi il cammino delle virtù che si innalzano sulle cose di questa terra verso l’incorruttibilità della volta celeste; inoltre, vuole anche richiamare le acque del Mediterraneo su cui si affaccia l’arcidiocesi turritana che il Santo Padre Francesco ha affidato alle cure pastorali di Mons. Saba.

Il “capo” dello scudo, cosiddetto Capo di Savoia in quanto riprende il vessillo della casa Sabauda che governò il Regno di Sardegna e Piemonte, vuole essere un gesto di omaggio alla città che ospita la sede arcivescovile: infatti, il vessillo sabaudo appare anche oggi nello stemma comunale di Sassari.