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Misericordia: atto supremo

+ Padre Paolo Atzei, Arcivescovo

“Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro”. Così, Papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo, Il volto della Misericordia (n. 2). Desidero accennare ad alcune parole e gesti ultimi e, per questo, anche supremi, nel senso di più alti, sommi, della Passione di Gesù secondo il racconto di Luca, testo che si proclama nelle domeniche di quest’anno liturgico.
In primo luogo, l’Istituzione dell’Eucaristia, con cui l’Evangelista introduce il racconto della Passione, per dire che ne è il primo episodio, strettamente correlato, intrinseco alla narrazione fatta evento misericordioso, salvifico. C’è un’evidente progressione nei gesti e nelle parole di Gesù, dalla Cena pasquale al pieno attuarsi sulla croce con l’autorivelazione fatta sul Corpo e sul Sangue.
Seguiamolo nei momenti decisivi dell’ora suprema. Nel Getsemani, con i tre più intimi, vive “nell’angoscia” una lunga preghiera. Ai suoi che non reggono a quell’“agonia”, o lotta estrema per accettare la morte secondo la volontà del Padre, ricorda che la preghiera è antidoto alla tentazione, intesa come un essere distolti dal disegno di Dio. Tutta l’esistenza umana è in questo rischio. La preghiera, ossia l’unione con Dio, lo supera e allontana.
Ecco Giuda accostarsi a Gesù per baciarlo: un gesto forse incompiuto, perché all’evangelista ripugna. Nel processo davanti al Sinedrio, emergono l’autoconsapevolezza e la libertà di Gesù, significate da poche, essenziali parole, per aiutare a leggere alla luce della fede (anche “se voi non mi crederete”). A Pilato che lo interroga se non sia lui il re dei Giudei, cogliendolo in parola, risponde: “Tu lo dici”. Si succedono le scene dell’indecisione del Governatore e della consegna alla folla di Gesù condannato e condotto al Calvario. Nel tragitto, l’incontro con le donne e la solenne ammonizione, perché piangano su se stesse e sui loro figli.
Tutto conduce all’atto supremo: Gesù è pienamente coinvolto nell’autodonazione attraverso la morte in croce. Poco prima, la preghiera per i crocifissori: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno!”. E il grido ultimo: “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”. Parole dette con straziante dolore, mentre pende dalla croce. Atto supremo di misericordia infinita.
Quindi, la promessa al ladrone pentito che, rimproverato il compagno di sventura, rivolto a Gesù, implora: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E Gesù: “In verità io ti dico, oggi con me sarai nel Paradiso”. Il colmo! Al nostro sguardo umano la più grande ‘ingiustizia’, perché non può, un simile malfattore, andare dritto in Paradiso. Ma Dio nel Figlio fa “ogni giustizia”, perché “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”. Il massimo della Misericordia!
La liturgia contempla, adora, ripresenta questo dramma divino-umano, cuore stesso del Padre nel cuore del Figlio, culmine e fondamento della nostra salvezza. Stare dentro o immedesimarsi nei sentimenti che furono di Cristo, durante la Passione e Morte, riviverla e prendere parte all’azione sponsale della Chiesa cui lo Sposo ha dato tutto se stesso, perché la ama, diventa la vera risposta: riconoscente, adorante, glorificativa  di tutto il mistero di Cristo, abbracciato e culminante nella Pasqua. La Risurrezione è atto e parola suprema della misericordia, vincitrice sul peccato e sulla morte.
Non si tratta, tuttavia, di “fare” qualcosa per Gesù, ma di “vivere” Lui, il suo Vangelo ed esserne segno vivo nell’esistenza credente, fatta in Cristo tutta liturgia: sacrificio di espiazione, di lode e rendimento di grazie.
Essere “misericordiosi come il Padre” significa diventarlo nel e col Figlio, in misura illimitata, attingendo la grazia del suo Mistero pasquale ed esercitandosi nella quotidianità a beneficio di coloro che di misericordia hanno più bisogno. Questo il segno più necessario all’umanità.
Buona Pasqua, nell’Anno del Giubileo Straordinario della Misericordia.

[Libertà, Editoriale del numero 11 del 22.03.2016]
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