Domenica 3 novembre, nel santuario di N.S. di Seunis a Thiesi, l’arcivescovo Gian Franco Saba ha presieduto la celebrazione eucaristica interparrocchiale di chiusura della visita pastorale nelle comunità di Cheremule, Torralba e Thiesi. Al termine della celebrazione l’Arcivescovo Gian Franco Saba ha comunicato la nomina di Don Piero Paulesu nuovo Parroco della comunità di Cheremule. 
Di seguito si riporta l’omelia dell’arcivescovo Gian Franco:

<< Oggi, radunati insieme come Chiesa in questo bel santuario del Meilogu, celebriamo la Messa con la quale ringraziamo il Signore per il dono della Visita pastorale. Lo compiamo come comunità parrocchiali di Thiesi, Torralba e Cheremule. Desidero da subito esprimere a tutti e a ciascuno, a partire dai presbiteri, la gratitudine per l’accoglienza, per l’amicizia, per l’affetto che mi è stato riservato in queste giornate di particolare contatto, e di condivisione. Abbiamo potuto toccare con mano il dono dello Spirito Santo che lavora in mezzo a noi; perciò non siamo qui per interrompere l’opera di Dio, ma per metterci a Sua disposizione, per affidarci a Lui, affinché, dopo questo rendimento di lode, il cammino diventi sempre più agevole e sempre più spedito, sostenuti dalla grazia del Signore.

Nella Visita pastorale vi sono delle dimensioni che fanno toccare l’aspetto organizzativo delle comunità, ma nello sguardo di fede, camminando tra il santo popolo di Dio, si coglie anche l’opera e la presenza del Signore che è presente. Questo è stato possibile viverlo con il dono della grazia del ministero ordinato, perché la presenza di un nucleo di presbiteri a servizio di questo territorio, parte viva del presbiterio turritano, è un segno della presenza di Cristo pastore in mezzo al suo popolo. Un dono di Dio, una grazia di Dio. E questo è il primo elemento che desidero sottolineare. Il Ministero appartiene alla grazia del Signore, non appartiene alle realtà terrene; è a servizio delle realtà terrene, ma viene da Dio ed è una grazia speciale di Dio che ci è data. Questo sguardo di fede, credo che, né a noi che l’abbiamo ricevuto, né a voi per i quali siamo a servizio, sia importante mai perdere di vista.

Il ministero ordinato viene dal Signore, è dispensato dalla Chiesa, è grazia di Dio, e per questo rendiamo grazie. Rendiamo grazie per il dono della presenza dei Ministri ordinati e preghiamo per la perseveranza nella grazia, per il dono della salute, delle forze, delle energie, di tutto ciò che è necessario possedere, di spirito di discernimento in questo tempo di cambiamento epocale. Vi è anche uno sguardo di grazia molto ampio, perché visitando le comunità si vedono, nei tanti colori del popolo di Dio, le bellezze di Dio: dai bambini agli anziani, dalle persone in piene forze e in piene energie a chi invece vive la fragilità, da chi vive una situazione di stabilità a chi di precarietà. E così come anche il fiorire, il nascere di esperienze, di percorsi, di cammini, sono il segno e volto di una Chiesa in cammino, di una Chiesa irrigata dallo Spirito Santo.

La Visita pastorale ha anzitutto questo compito, discernere i segni della presenza di Dio e nell’Eucaristia di consegnarli a Lui perché li faccia fruttificare. Questa dimensione Papa Francesco ce la ricorda nell’Evangelii Gaudium quando dice che la Chiesa deve imparare a saper festeggiare e fruttificare per i doni dello Spirito Santo, a saper gioire dell’opera di Dio. Sentirci un grembo fecondo, una Chiesa fecondata dalla grazia, è già una missione ed è anche una buona predisposizione per la missione perché ci immette, proprio come Maria, in un atteggiamento di proattività, di generosità e di vivacità che nasce dalla grazia del Signore.

La liturgia della Parola di questa domenica ci ha fatto ascoltare un testo del Deuteronomio che mi sembra molto importante per aiutarci a comprendere il nostro essere tutti popolo di Dio in cammino. Il testo è quello nel quale Mosè si presenta per dialogare con il popolo e lo invita ad ascoltare il Signore. Mosè, questa guida suscitata da Dio, di che cosa parla al suo popolo? Parla di ciò che Dio stesso gli ha detto. Credo che questa sia una chiave pastorale fondamentale. Noi siamo chiamati a progredire come popolo santo di Dio ascoltando la ascoltando e nutrendoci della Parola di Dio. Come cresce la Chiesa? Nutrendosi della parola di Dio. Ed ecco Mosè. Mosè conduce il popolo all’ascolto, alla via dell’ascolto. “Ascolta, Israele!” Questa è la legge, questa è la prospettiva, questa è la via che Dio ha indicato. Questo ascoltare è molto di più di un semplice osservare, di un fatto esteriore, significa entrare in una relazione di dialogo con Dio. Ecco, la comunità cristiana vive questa esperienza costantemente. Nell’Eucaristia noi viviamo questa esperienza in modo sublime, ma anche in tante altre attività il Signore ci invita a metterci in ascolto della Sua Parola.  Ascoltare di chi è compito? Non di qualcuno, non di alcuni eletti, non di alcuni prescelti ma di tutta la comunità. Tutta la comunità cresce, la Chiesa tutta cresce, ascoltando la Parola di Dio. Questo è un mandato per la missionarietà della Chiesa. Lo incoraggio caldamente perché nelle nostre case ritornino ad essere spolverati piccoli Vangeli dalla bellezza delle nobili librerie per usurarli quotidianamente, un utilizzo feriale.

Rieducare i bambini, i ragazzi all’ascolto della Parola. Questa è un’azione missionaria che ogni persona può svolgere: il papà, la mamma, uno zio, una zia, un nonno, una nonna, chiunque, oltre agli operatori pastorali. È questa l’altra dimensione che desidererei sottolineare: è importante che le nostre comunità abbiano sempre dei Mosè, cioè delle figure che ricordino al popolo “ascolta, Israele”. Certamente questo è compito del presbitero, ma non solo. Ogni animatore, ad esempio chi svolge il servizio della catechesi, chi si cura del ministero del canto, chi del ministero della cura degli infermi, i ministri straordinari dell’eucaristia, nei comitati delle feste, nelle confraternite e così nei vari gruppi, trovare sempre uno spazio per l’ascolto della Parola. La comunità si edifica nutrendosi della Parola. Questo è il nutrimento attraverso il quale il popolo può affrontare il lungo cammino del deserto per giungere a una terra dove scorrono latte e miele, come il Signore ha promesso. Ecco, il Signore ci ha dato una promessa, la pienezza, ed è nella prospettiva; oggi la viviamo parzialmente, ma vi è un deserto da attraversare che sono anche le fatiche della vita, le prove della vita, ma è anche questo cambiamento d’epoca, nel quale le nostre comunità sono chiamate a ripensarsi alla luce della fede. Come si ripensa la comunità? Ascoltando la Parola di Dio, nutrendosi della Parola di Dio. Questa è la logica del popolo dell’alleanza e così anche del popolo cristiano. Questa via auspico che possa diventare il pane quotidiano delle nostre comunità. 

In questi giorni anche noi, insieme come Chiesa, abbiamo cercato di metterci in ascolto della voce di Dio, narrando le storie, le tradizioni, le consuetudini, presentando i volti, le presenze delle nostre comunità. Di questo rendo insieme a voi grazie al Signore. Una storia costruita da Dio e con Dio, una storia di grazia, ma oggi anche una storia che richiede un popolo in cammino, non un popolo seduto. Il popolo di Dio è in cammino, per sua natura, la sua indole è di essere un popolo dell’Esodo, un popolo discepolare. È l’indole del Popolo di Dio, è l’indole della Chiesa, perché la Chiesa è proiettata verso la Gerusalemme Celeste. E allora, ecco, bello il passato, e di questo rendiamo grazie al Signore. È bello il presente, che nasce e che va avanti, ma dobbiamo guardare con sempre più ferma decisione e convinzione al futuro, con fiducia e con speranza da generatori di vita con spirito generativo, quindi non in spirito conservativo. Figli di una storia, figli di una tradizione bella ma che necessita di essere tradotta nell’oggi perché ciascuno possa entrare in relazione con Dio affinché ciascuno possa incontrarlo. Noi, perciò, abbiamo un compito, abbiamo una missione, è la missione di tutti, come il Papa ci ricorda:“ogni persona è una missione”; sono tanti i cristiani che io ho incontrato, i credenti battezzati in questi giorni e in queste settimane. Proviamo a pensare, se uscissimo dalla mentalità della delega, cioè che è il prete che si occupa della chiesa, dell’evangelizzazione, per entrare in un’altra logica, quella del “io ho un mandato da Dio di annunciare il Vangelo”, cambia tutto e non toglie nulla al ruolo del presbitero, anzi, lo corrobora, ma tutti noi riscopriamo la nostra vocazione: essere un popolo in cammino, un popolo partecipe, un popolo che insieme annuncia il Vangelo. Infatti, la logica della sequela, come ci ricorda Gesù, non è quella di persone isolate, strettamente a questa sequela, a questo ascolto che è anche amore verso Dio, vi è un’altra dimensione: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Sono due binari del cammino che non sono separabili tra loro: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo. Il discepolo del Signore, perciò, non è un isolato, ma è una persona proiettata verso l’altro, attenta all’altro. Essere discepoli del Signore vuol dire pensare all’altro. Anche la spiritualità cristiana può essere egoistica, cioè una spiritualità in cui uno dice “io penso a me stesso, io penso alla mia parrocchia, io penso al mio gruppo, io penso alla mia sede, io penso alla mia parrocchia, questo è il mio ambito”. Questa è la logica del “mio”, è la logica del possedere che può anche toccare la fede, ma la rende falsa, la falsifica. Invece la fede è aperta all’altro, abbraccia l’altro, include l’altro, comprende l’altro, non lo butta via. Questa prospettiva ci aiuta anche a capire il perché dell’interparrocchiarità, il perché del cammino diocesano. Non è una strategia aziendale di questo momento, non è l’idea di un Vescovo o di un Papa, è l’indole della Chiesa. La Chiesa è comunità. Si vive in tante comunità ma la Chiesa è una. E allora il mistero dell’unità della Chiesa lo si traduce anche nella prassi pastorale. Una prassi pastorale congiunta, dove ci si aiuta reciprocamente, soprattutto in tempi come questi, dove non ci sono più tante forze, tante energie. Forse il Signore ci vuole riportare all’essenziale, comprendere meglio ciò che dobbiamo focalizzare con attenzione. Non esistono parrocchie di serie A, parrocchie di serie B e parrocchie di serie C: la parrocchia è parrocchia, qualunque essa sia, è una comunità di credenti e vale per ciò che essa è. Questo aspetto credo che debba sempre più diventare un alfabeto comune per aiutarci ad entrare in una dinamica di cammino condiviso, di sinodo, di cammino insieme, in una dinamica di sinodalità. E noi lo stiamo facendo, la zona del Meilogu lo sta sperimentando e di questo vi ringrazio. Ringrazio i sacerdoti per la disponibilità, per la partecipazione, per la presenza. Bisogna andare avanti con determinazione, non toglierà nulla alla peculiarità di ogni parrocchia in questo cammino, anzi, la farà crescere, la farà emergere nella bellezza di questa parola, di rendere visibili i doni di Dio in ogni comunità.

Qual è la logica della missione? La logica della missione è un amare con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza Dio. C’è la totalità della persona qui che ci viene indicata: il cuore, l’intelligenza e le forze. Tre elementi che siamo chiamati a mettere insieme: cuore, intelligenza e forze. Credo che allora anche gli aspetti organizzativi, se letti in chiave biblica, in chiave spirituale, noi li vediamo in un’altra dimensione. Questo ascolto vuol dire anche ritornare alla formazione. Noi non possiamo mai dire di essere un popolo che sa tutto. Non possiamo mai dire di essere credenti arrivati, credenti che sanno tutto. Questa è un’idolatria. Ed è l’idolatria che porterà il popolo di Israele all’infedeltà, a non camminare nella legge del Signore. Quando Israele si convinse nel suo cammino, e i discepoli di Gesù si convincono nel loro cammino, di aver capito tutto, vanno fuori strada. “Mettiti in ascolto” è un atteggiamento di umiltà, un atteggiamento di disponibilità, di docilità. Questa via desidero tradurla anche con questa parola: formazione. Abbiamo bisogno di sostare per riprendere energie intellettuali, per coltivare il nostro modo di leggere la vita di tutti i giorni, di interpretarla. L’evangelizzazione non è solo un fatto astratto che non si incarna nelle domande di tutti i giorni; l’evangelizzazione si incarna nelle domande di ogni giorno, in tutto ciò che passa nella nostra vita e le risposte non arrivano così in modo meccanico. È davvero una grazia poter dedicare del tempo alla cura della propria formazione. 

Oggi in questo santuario appare davanti a noi una donna che è Maria, la Vergine dell’Ascolto. Maria non solo ha compiuto delle azioni, ha eseguito delle azioni, ma ha dato il suo consenso, ha dato la sua partecipazione. Maria, perciò, ha scavato nel suo cuore, ha elaborato nel suo cuore ciò che Dio gli stava chiedendo. Questa dimensione mariana della Chiesa siamo chiamati a recuperarla per sostare in ascolto e scavare nel nostro cuore. Il Signore ci sta chiedendo un grande sforzo, una grande fatica è possibile! Ma proviamo a pensare a Maria quando è stata chiamata da Dio a quella missione, anche a lei ha chiesto qualcosa che forse collimava pienamente con il comune sentire, con la visione generale delle cose. Si è aperta alla novità di Dio.

Maria è questo segno. Il segno non delle novità fantasiose, delle novità che sono stramberie, è il segno dell’apertura a Dio che fa nuove tutte le cose, che ci riporta a Dio, al Figlio, e questo l’ha resa felice, l’ha resa beata. Ci ricorda Sant’Agostino: “vale di più per Maria essere stata discepola di Cristo anziché madre di Cristo”. È significativo e questo vale di più, è una prerogativa felice essere stata discepola anziché madre. Maria era felice poiché, prima di dare Cristo alla luce ella portò nel ventre il Maestro. Il Signore rese Maria, perciò, beata, affermando che sono beati coloro che ascoltano la Parola di Dio. Ecco la via del discepolo, di colui che genera nel suo cuore la presenza di Dio. Maria fu beata perché ascoltò la Parola di Dio, la mise in pratica, la custodì e camminò alla luce di questa Parola. 

Ecco il mio augurio per noi: camminare insieme come Chiesa Turritana, diventiamo questi discepoli, questo “noi di Dio” in ascolto della Sua Parola >>.

Al termine della celebrazione la Sala Aligi Sassu ha ospitato un momento di convivialità per la chiusura della Visita pastorale e l’incontro con la Comunità islamica locale.