Visita pastorale: l’arcivescovo Gian Franco incontra i pazienti e il personale dell’ospedale di Thiesi
Nel pomeriggio di lunedì 28 ottobre, nel corso della Visita pastorale a Thiesi, prima della Celebrazione eucaristica con l’amministrazione del sacramento dell’Unzione degli infermi, l’arcivescovo Gian Franco ha incontrato i pazienti e il personale dell’ospedale del centro del Meilogu.
L’Arcivescovo, nell’incontro dialogato con il personale sanitario, ha detto:
«Saluto don Luigi e don Piero e tutti voi qui presenti.Nell’ascoltare le parole di saluto rivoltemi a nome di tutto il personale della struttura sanitaria, mi ha colpito sentire che, negli anni Venti del secolo scorso, questa opera è nata perché qualcuno ha sentito il bisogno di prodigarsi per il bene degli altri, per il senso della vita comune, per il senso della vita sociale, per il senso del bene comune. Sicuramente la Sardegna di un secolo fapresentava tante problematiche sul piano sanitario. Sono stati poi posti in evidenza i progressi compiuti e quindi la possibilità di avere una struttura qualificata vicina alle persone, vicina ai bisogni del malato. Da quanto è stato detto, oggi anche questa realtà vive indubbiamente la crisi di una transizione. Fermarci alla crisi sicuramente non è un bene. Come è stato chiesto, possiamo anzitutto pregare perché venga donata la luce a quanti sono chiamati a studiare e ad elaborare delle prospettive di rinascita e di ripensamento di questa struttura.
La presenza di una struttura ospedaliera nel territorio, al di là di come venga chiamata, è certamente un segno di civiltà. Ogni qualvolta nell’istruzione, nella sanità, nella cura delle persone fragili, facciamo dei passi indietro è un ritornare indietro nel cammino di civiltà. Oggi la civiltà della scienza ha a disposizione tante conoscenze, tante competenze, ma ha indubbiamente bisogno anche di una ‘civiltà dell’amore’, come la chiamava Paolo VI, o di una ‘cultura della prossimità’, come la chiama Papa Francesco, ovvero ha necessità di cercare le modalità per poter raggiungere tutti, affinché ogni persona possa attingere alla cura dei bisogni primari. La cura della salute è un bisogno primario. La salute non si può programmare; la malattia può arrivare all’improvviso e quindi non dobbiamo lasciarci prendere dalla tendenza di una cultura tecnocratica che pensa di poter mettere tutto in agenda. Nella vita umana non è possibile mettere tutto in agenda. Le strutture sociali, le strutture di servizio alla persona, credo debbano tener conto del fatto che non tutto può essere gestito con la categoria del rendimento. Indubbiamente vi è un’economia solidale che è importante, vi è un’economia distributiva che è importante, ma la cura di una sola vita vale tanta economia».
Dopo i saluti di benvenuto e l’incontro con i pazienti e il personale sanitario, l’Arcivescovo ha presieduto la Celebrazione eucaristica con l’amministrazione del sacramento dell’Unzione degli infermi.
Di seguito riportiamo l’omelia tenuta dall’arcivescovo Gian Franco:
«Per chi vive l’esperienza della fragilità, parlare di malattia potrebbe non essere semplice e potrebbe non esserci la voglia di stare ad ascoltare tante cose sulla sofferenza. Questa reazione psicologica, questa dimensione umana che può essere presente in chiunque, ci deve portare a scoprire che Gesù è disposto ad ascoltare tutte le nostre sofferenze e tutte le nostre malattie. Egli ci viene incontro proprio per incontrarci nella nostra situazione concreta, per chiamarci a stare con lui nel momento e nelle condizioni in cui ci trova. L’incontro con Gesù non è l’incontro per le stagioni buone, per le stagioni della vita dove ci sono le forze, le energie. L’incontro con Gesù non avviene solo in un bel salotto:Gesù ci incontra in tutte le situazioni, in un letto, in un ospedale, in una carrozzina, in qualunque momento, in qualunque situazione. Credo che questo debba essere il primo motivo di speranza che siamo chiamati a riscoprire. Dio viene ci viene incontro in ogni situazione. Ecco perché la Chiesa, sin dalle origini, ha tramandato la consuetudine di imporre le mani e ungere gli infermi con l’olio.
Imporre le mani e ungere gli infermi con l’olio sono due gesti molto importanti. Quando il sacerdote impone le mani invoca la presenza di Dio: questo è tanto importante. Il sacerdote imponendo le mani invoca la benedizione di Dio, chiede che egli si renda presente in quella situazione, in quel momento. L’imposizione delle mani è un gesto molto importante nella Chiesa: è presente in quasi tutti i sacramenti, proprio perché con questo gesto è segno della presenza di Cristo. Nell’imporre le mani il sacerdote invoca la presenza della Santissima Trinità. Ecco perché gli apostoli si recavano dagli ammalati, incontravano gli ammalati e invitavano i cristiani a chiamare i presbiteri per imporre le mani ai malati.
Gesù stesso faceva questo gesto perché la presenza di Dio non è una presenza insignificante. All’imposizione delle mani corrisponde una presenza efficace. Con l’imposizione delle mani il primo dono che riceviamo, ancora prima della guarigione, è l’amore di Dio, che viene effuso nei nostri cuori. Ecco allora che la presenza del sacerdote accanto al malato non è una presenza che crea paura, fobia. Un tempo si chiamava il sacerdote quando l’ammalato non era più cosciente. Forse anche oggi c’è nuovamente un certo ritorno a questa situazione tra tecnicismo e scientismo in rapporto al malato e alla malattia. Forse questo è dovuto dall’aver perso il senso che Dio è il Signore della vita, che è Lui che veramente ci accompagna, ci sostiene, ci dona la grazia di cui abbiamo bisogno. Dio nel momento della malattia è una presenza di amore e il sacerdote vicino all’ammalato è lo strumento dell’amore di Dio.
In una catechesi antica del IV secolo, c’è un bellissimo testo di San Giovanni Crisostomo, che parla del cosiddetto ‘caso dei clinici’. Era la situazione di coloro che differivano il giorno del battesimo sino al momento in cui sarebbero stati storditi dalla morte incombente. Questo accadeva perché non avevano preso una decisione verso il Signore e perché si aveva un’idea di Dio punitiva, sia aveva un’idea non di un Dio di amore, ma un Dio giudice. Invocare la presenza di Dio non era vista come una medicina ma come una paura, un pericolo.
Il primo beneficio che possiamo ottenere da questo sacramento è la consolazione. L’amore suscita consolazione, fiducia, speranza. Non a caso l’Unzione degli infermi è un sacramento della guarigione. Noi ci possiamo ammalare di tante malattie. Oltre al dolore per una malattia nel corpo, talvolta c’è un coinvolgimento della persona molto più ampia che si esprime e si manifesta con altre forme di sofferenza interiore che possono essere la mancanza di consolazione, la mancanza di fiducia, la mancanza di speranza, la solitudine, il senso della paura, del limite, della fragilità. Il senso della fragilità, se sostenuti dalla grazia di Dio, è una malattia più grande della stessa malattia fisica.
Questa sera consegniamo tutte le nostre fragilità al Signore, perché imponga le sue mani su di noi, su chi riceverà questo sacramento e verrà unto con l’olio benedetto. Quest’olio non è dei morti, perché il morto non ne ha più bisogno, egli è già è passato ad un’altra vita. È l’olio dei moribondi, di coloro che stanno per morire. E in un certo senso lo siamo tutti perché nessuno di noi sa quando morirà. Tante volte capita di vedere persone fisicamente provate, che sembrano all’ultimo istante della vita, e persone più robuste che invece hanno una chiusura della vita più rapida. Ogni uomo, ogni donna, tutti noi siamo moribondi, cioè ci troviamo nella condizione di persone che devono morire. Ma questa realtàla guardiamo con fiducia. L’olio è il segno della grazia che ci fortifica. Nel battesimo siamo stati unti due volte: con l’olio dei catecumeni e con l’olio del crisma; con la cresima siamo stati ancora unti con l’olio del crisma. Vorrei sottolineare l’unzione con l’olio dei catecumeni, fatta sul petto, al battesimo. Con quell’unzione viene invocata la custodia di Dio, la ‘corazza’ di Dio, perché il catecumeno possa camminare di buona lena. Ecco, nel cammino il cristiano a volte sperimenta la fragilità, la malattia e allora ha bisogno di un’altra unzione, con l’olio degli infermi. L’olio degli infermi non porta l’anticamera del mondo dei morti nelle nostre case o nelle nostre famiglie, ma porta la grazia di Dio, porta l’amore del Signore. Ecco perché è importante che la cura degli ammalati abbia tutta questa attenzione con i sacramenti. I sacramenti ci sostengono nei momenti della forza e nei momenti della debolezza.
Il Papa parla della Chiesa indicandola come un ospedale da campo. Papa Francesco usa spesso questa immagine proprio perché nella Chiesa siamo un po’ tutti ammalati, tutti sofferenti:tutti abbiamo bisogno di sentirci dentro una casa curati dall’amore di Dio e dall’amore del Padre.
L’apostolato verso i malati il sacerdote non lo può compiere da solo. Negli incontri già avuti nel corso della Visita pastorale abbiamo parlato dei ministri straordinari della Comunione, degli accoliti, dei diaconi, di tante figure impegnate in parrocchia. Valorizziamo, promuoviamo tutti i mezzi che la Chiesa ci mette a disposizione per sostenerci lungo il cammino.
Non dimentichiamo che la cura del corpo e la cura dell’anima, dello spirito, vanno sempre unite. Nell’uomo, da una parte c’è lo spirituale, dall’altra la dimensione materiale. Siamo creature di Dio, opera di Dio.
Affidiamo ciascuno di noi, soprattutto chi è sofferente, chi vive la fragilità in modo faticoso, all’amore del Signore perché susciti quei farmaci di cui abbiamo bisogno: la speranza, la fiducia, la fortezza, la consolazione».