«Andate e invitate al banchetto tutti». Veglia missionaria diocesana nella Giornata missionaria mondiale
Domenica 20 ottobre l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Veglia missionaria diocesana, appuntamento che, da decenni, fa parte del calendario diocesano, come una tradizione che ogni anno ha la capacità di essere segno e testimonianza della giovinezza perenne della Chiesa guidata dallo Spirito Santo. Quest’anno, in occasione della visita pastorale, la veglia è stata celebrata nel Santuario di Nostra Signora di Seunis, a Thiesi.
Di seguito si riporta la riflessione dell’arcivescovo Gian Franco:
«Viviamo la Giornata missionaria mondiale nel contesto della Visita pastorale a Thiesi, Torralba e Cheremule, e la viviamo come appuntamento diocesano proprio qui a Thiesi. Mi fa piacere vedere, insieme ai presbiteri anche laici impegnati provenienti dalle diverse parrocchie della diocesi. È un primo passo di missionarietà, anche questo. La missione, infatti, nasce da un incontro, dall’incontro con Gesù.
Nella preghiera noi incontriamo Gesù, ascoltiamo la sua Parola. Viviamo quell’esperienza che abbiamo ascoltato alla luce dell’evangelista Matteo, il quale dice che a un certo punto Gesù racconta una parabola per spiegare un messaggio importante: il suo desiderio di incontrare tutti. La parabola è quella di un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Noi possiamo comprendere come le nozzesiano un momento di festa. Questi sposini della parabola avevano un re dietro, e quindi chissà quanta dedizione per organizzare la festa. L’evangelista utilizza questa immagine umana per esprimere che a questo banchetto vi erano tante vivande, tante ricchezze, e colui che aveva organizzato era colui che aveva davvero la ricchezza vera. Però non tutti vollero partecipare alla festa e questo è il primo punto della vicenda di questo banchetto. Quando il re invia i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, non tutti vollero partecipare.
Poi ne manda altri ancora, ma non se ne curarono. Ecco, qui c’è un desiderio: è il primo aspetto che mi piace sottolineare ascoltando questa Parola di Gesù. Dio ha un grande desiderio, il desiderio di incontrarci, il desiderio di invitarci a partecipare a una festa. Che cos’è l’invito di Dio? Non è per un funerale. Dio non ci vuole invitare a un funerale. Dio non ci vuole invitare a un incontro di tormento.Dio ci vuole invitare a un incontro di amore. Questa scoperta, questo annuncio, è la buona novella che penso ciascuno di noi ama sentirsi dire: è l’annuncio che ogni creatura umana desidera scoprire. Dio desidera conoscerci perché ci ama, perché ci vuole bene. Gli uditori dell’invito che atteggiamento assumono? Alcuni non vollero andare alla festa, altri non se ne curarono e che cosa fecero? Non rimasero con le mani in mano, fecero qualcosa di importante, alcuni andarono al proprio campo, chi ai propri affari e altri poi non solo, presero i servi che si recarono come ambasciatori, li insultarono e li uccisero. Quindi qui c’è anche una logica di contrapposizione dove non si coglie il gesto di amore di Dio, non si riesce a sentirlo, non lo si coglie. Al centro queste persone hanno il proprio “io” e,quindi, non c’è Dio.
È un “io” talmente grande che non c’è spazio per ricevere un invito. Tant’è vero che alcuni si recano al proprio campo e chi ai propri affari e quindi sono presi, potremmo dire, solo dal possedere, dall’avere. Altri invece sono presi anche dalla violenza: non solo non accolgono l’invito, ma assumono anche un atteggiamento violento. Dio sa che questo non è il suo desiderio e perciò non si arrende a un progetto che desidera realizzare. Non si ferma di fronte alle difficoltà, di fronte alle resistenze. Nell parabola non viene messo in evidenza il fatto che queste persone fossero religiose o meno; è interessante che l’evangelista Matteo non lo sottolinei, mentre sottolinea soltanto che furono invitati ad un appuntamento di gioia per partecipare a un banchetto di nozze, a una festa. Un momento di gioia, di amicizia. Questo sottolinea l’evangelista, ma loro non riescono a coglierlo. Non colgono che Dio ci ama.
Il possedere prevale sull’apertura in questa situazione nella quale gli invitati, talvolta, sono anche violenti. Il Signore ci invita a nuovi banchetti; invita anche le persone religiose a nuovi banchetti nella storia, ma l’avidità li porta e ci porta a non partecipare. L’evangelista Matteo sa che l’annuncio del Vangelo comporta anche sofferenza. Quanti martiri, quante persone hanno offerto la loro vita, quanti sono stati ambasciatori di Cristo ma hanno subito percosse! Questo iniziò nella prima predicazione del Vangelo ma prosegue anche nel corso dei tempi. Quanti martiri missionari o quanti missionari martiri: sono molteplici le forme di martirio. Ci sono i missionari martiri che sono andati nelle terre lontane, ma questa sera io desidero sottolineare l’operato dei missionari martiri della vita quotidiana delle nostre parrocchie, coloro che si sono spesi nelle proprie comunità. Tanti uomini, tante donne, che si sono spesi per annunciare il Vangelo, talvolta anche nella incomprensione sociale del loro ambiente. Tanti sacerdoti che nel silenzio, nell’umiltà e nella generosità hanno speso le loro vite per le comunità parrocchiali e non senza sofferenze. A volte vi è una sofferenza nel sapere che si è invitati a un banchetto e non se ne coglie la gioia, la bellezza. Oggi poi vi sono anche le violenze che derivano dai fondamentalismi religiosi. Talvolta una fede rigida genera violenza nella comunità, sia tra chi è cristiano ma anche tra i non cristiani. Lo vediamo tutti i giorni.
Il primo elemento che sottolineo dunque è proprio quello di non saper cogliere l’invito. Non è tanto se uno è religioso o non religioso, buono o non buono. Il re della paraboladesidera condividere una gioia, è una gioia di famiglia, la gioia del figlio, del figlio che si sposa, è un padre che desidera rendere partecipi di questa dimensione nuziale. Quando poi si indigna manda le sue truppe per i crocicchi delle strade a recuperare invitati alle nozze. Queste, uscite nelle strade, accolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. Qui c’è un passaggio di situazione: da chi si pensava accogliesse l’invito a chi invece non era nei progetti dell’invito. Sembrerebbe che tutti gli altri che si trovavano nei crocicchi delle strade fossero disponibili perché accolgono l’invito.
Questa è la condizione del nostro cuore quando è liberodalla chiusura del possedere già tutto, dal presumere di avere già tutto. È la libertà del povero di cuore, dell’umile, del semplice, di colui che sa di non dover ricevere alcun invito perché non ha né campi da coltivare rispetto agli altri invitati e non ha altri beni di cui doversi curare. Scopre che è lui che ha bisogno di cura, che ha bisogno di attenzione.Ed ecco che questi accettano. L’evangelista sottolinea tutti, buoni e cattivi. L’invito si allarga, questo banchetto diventa sempre più nuziale. Da una nuzialità si passa ad un’altra nuzialità, da un banchetto più ristretto si passa a un banchetto più allargato, più ampio. È questo passaggio che l’evangelista Matteo desidera trasmettere ai suoi contemporanei e anche a noi oggi. Il banchetto di Dio è per tutti i popoli, è per ogni persona, è per ogni individuo. La storia della salvezza ha un principio, ha un punto di partenza, ma quel punto di partenza è un’elezione non per sé stessi, ma per gli altri, per tutti. E quando ci si chiude su sé stessi, allora non diventa più per tutti. E questa è un’altra sfida anche per noi: saperci invitati da Dio, comunque noi siamo, in qualunque condizione noi ci troviamo. Il banchetto è per tutti.
Credo che questa universalità del messaggio cristiano debba diventare un po’ l’esperienza feriale della nostra vita. Quando pensiamo alla Chiesa, alla vita della Chiesa, ricordiamo che è per tutti e non solo per alcuni. È la chiave di svolta della conversione pastorale. Non saranno le strategie, che sono mezzi, modi che tutti utilizziamo; c’è un atteggiamento spirituale, un atteggiamento missionario diverso che siamo chiamati ad assumere. È molto importante, perché nei nostri ambienti il giudizio, la valutazione, la precomprensione dell’altro può essere un limite, un blocco missionario, un blocco apostolico. Esistono, talvolta, dei blocchi. La missione è per tutti e papa Francesco ci ricorda che anche oggi è importante tenere presente questa prospettiva: è la prospettiva di chi non chiude le porte della Chiesa dalle porte aperte; è la prospettiva di una Chiesa in uscita verso tutti. E allora, ecco davvero che anche il banchetto dell’Eucaristia non diventa un banchetto selettivo o un banchetto di giudizio. Chi si può accostare alla Comunione? Tutti! Anche un peccatore? Sì, tutti. Questo ribalta la missione. Trasforma il nostro modo di annunciare il Vangelo, non chiude, non mette sbarre, ma aiuta le persone a camminare, perché vuol dire che non lascia le persone nel male, che non lascia le persone fuori dall’amicizia con Gesù, ma le porta vicino a lui, a Gesù, con un altro stile, con lo stile dell’invito gratuito.
Oggi noi siamo in un tempo di un annuncio missionario che è nuovamente iniziazione cristiana. I Padri della Chiesa parlavano di “mistagogia”, cioè accompagnamento progressivo al mistero, accompagnamento al mistero. Un tempo forse eravamo nella logica della conduzione delle cose, della guida delle cose. Oggi siamo chiamati alla logica dell’accompagnare, del raccordare, del comporre, dell’invitare. Ecco perché il Papa dice che tutti siamo discepoli missionari, non solo discepoli, ma discepoli missionari, non prima discepoli e poi missionari, no, non è un gioco di parole, tra discepolo o missionario. I genitori, e qui ne vedo molti presenti, possono essere i primi discepoli missionari insegnando a pregare al bambino appena nato. I genitori danno due nutrimenti, quello materiale e quello spirituale. Questa è una cosa molto bella. L’immagine della Chiesa Madre è proprio questa.
I crocicchi delle strade del mondo di oggi – ci dice il Papa – li dobbiamo scoprire anche nella nostra diocesi. Ed ecco che torna il discorso dell’interparrochialità di cui ho parlato nel discorso di saluto. Questo modo di vivere la nostra Chiesa locale è finalizzato a un risveglio missionario che dalla base genererà anche le vocazioni sacerdotali. Una vocazione sacerdotale matura in una comunità che ascolta la Parola di Dio, che accoglie l’invito di Gesù, e così maturano le vocazioni alle missioni, alla vita religiosa femminile, alle nuove ministerialità. Questo risveglio parte dal basso. Gesù va nei crocicchi; il banchetto è composto da persone che arrivano dai crocicchi. Questo spoglia la Chiesa di un certo elitarismo. Anche le diocesi sono chiamate a spogliarsi di questo stile elitario, che un po’ può esserci stato in certe epoche pastorali. Il Signore ci invita a ripartire, a riprendere il largo, a uscire nei crocicchi. Gesù non ci lascia da soli, ci accompagna. Lui è il primo che è andato nei crocicchi. E lui è sempre con noi.
Nutro un grande senso di gratitudine nei confronti di tutti voi perché c’è un bel fermento missionario che si sta avviando. Bisogna andare avanti con fiducia, con coraggio, con speranza. Vedo che a volte c’è il sacrificio, perché c’è la famiglia, oppure vedo sacerdoti da soli, talvolta anziani, a volte non in piena salute, però l’azione missionaria nella comunità viene portata avanti. Chiediamo al Signore questa sera che faccia fruttificare questo fermento missionario che pian piano sta diventando contagioso».