Assemblea ecclesiale diocesana: l’arcivescovo Gian Franco presiede in Cattedrale la Celebrazione eucaristica
Venerdì 20 settembre, al termine dei lavori dell’Assemblea ecclesiale diocesana svoltisi nel Teatro Verdi di Sassari, l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione eucaristica nella Cattedrale di San Nicola.
Di seguito riportiamo l’omelia dell’Arcivescovo.
«Il testo della prima lettura che abbiamo ascoltato ci propone l’annuncio della buona novella rivolto ad un popolo che aveva sperimentato l’esilio. Dio si rivolge a persone segnate dalla fragilità, dall’esperienza del dolore, della dispersione e della lontananza. Il profeta si presenta come un araldo inviato da Dio su un monte di fronte a Gerusalemme per annunciare una nuova prospettiva di speranza. Questa parola il Signore oggi la rivolge a noi, riuniti in assemblea ecclesiale, attraverso la Parola che risuona nella sua nuova Gerusalemme. Anche noi sperimentiamo il movimento di Dio verso di noi. Dio si reca al popolo segnato dalla prova dell’esilio perché possa sperimentare una nuova condizione e perché la gloria del Signore risplenda su di esso. Nel Vangelo, invece, Dio si presenta come l’agricoltore, come colui che si prende cura della vigna. In tutto questo noi sperimentiamo l’annuncio di fiducia e di speranza. Dio è colui che compie il primo passo, rivolgendo un messaggio pasquale.
“Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce. La gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni, ma su di te risplende il Signore, e la sua gloria appare su di te”.
Tutto questo è motivo di fiducia, di speranza, di consolazione. Gerusalemme, da luogo di devastazione, di sopruso, di lontananza, diviene un luogo di incontro, un luogo di relazione, un luogo dove è possibile avviare un nuovo percorso, un nuovo itinerario. La Città Santa, Gerusalemme, che fu devastata dall’invasione nemica, è invitata a riscoprire la propria bellezza, a contemplarsi con gli occhi stessi di Dio. Non saranno tanto le grandi costruzioni o lo splendore dell’antico Tempio ad essere motivo di gioia, di luce e di speranza, ma la gloria di Dio che la rende polo di attrazione per tutti.
“Rivestiti di luce, perché la notte dell’esilio è terminata”.
Queste parole sono veramente motivo di conforto e di consolazione, perché pongono in risalto l’opera di Dio, l’azione di Dio nella nostra vita, cioè nella vita del suo popolo in cammino. E che cos’è un’assemblea ecclesiale se non il momento in cui il popolo di Dio in cammino, radunato in questa Chiesa particolare turritana, riascolta l’invito di Dio?
“Rivèstiti di luce, sii luce perché tu stessa divenga un polo di attrazione”.
La luce nel buio, nelle tenebre, nella nebbia, dissipa tutto ciò che è oscurità. “Rivèstiti di luce”: questa parola conduce noi, popolo di Dio in cammino, al nostro battesimo che abbiamo voluto sottolineare con l’aspersione dell’acqua nei riti di introduzione. Quando, in tale circostanza, il sacerdote ha consegnato ai nostri genitori e ai nostri padrini la luce accesa al cero pasquale, questi hanno ricevuto la luce di Cristo perché noi stessi poi nel tempo divenissimo luce, ci rivestissimo di luce. Poi c’è stata posta su una veste bianca, segno del candore della grazia battesimale, dello splendore della luce di Cristo.
“Rivèstiti di luce”: è l’invito che il Signore rivolge a noi, consapevoli che lungo il cammino la luce si può attenuare. Possiamo però ravvivare la luce, la luce di Cristo che illumina ogni uomo. Possiamo rivestirci di un nuovo abito, un abito luminoso, splendente, che è Cristo stesso, rivestìti di Cristo. E perciò questa grazia, questo dono che abbiamo ricevuto, diventa anch’esso motivo di annuncio, motivo di testimonianza.
Gerusalemme, infatti, diventa un polo di attrazione. E questo polo di attrazione vedrà fluire popoli provenienti da diverse terre, da diverse culture, diverse religioni. In questo mistero, adombrato e preparato nell’Antico Testamento, troviamo il compimento del mistero e della missione della Chiesa, chiamata ad essere la Gerusalemme terrena in cammino verso la Gerusalemme celeste, luogo dove ogni lingua, ogni popolo, ogni cultura può trovare uno spazio. San Paolo VI, nell’occasione di una sua meditazione del 1964, ricordava che Dio invita i cristiani ad essere un richiamo per tutti, affinché tutti coloro che guardano il cristianesimo dal di fuori, sentano un’attrazione. La missione dei cristiani, infatti, non è quella di rinchiudersi dentro le proprie mura, bensì quella di essere luce, luce che splende sul monte, una città aperta. Prosegue poi San Paolo VI: “Noi desideriamo lavorare per il bene del mondo, per il suo vero interesse, per la sua salvezza. Anzi, pensiamo che la salvezza da noi offerta al mondo gli è necessaria. La missione del cristianesimo è una missione di amicizia tra i popoli della Terra, una missione di comprensione, di incoraggiamento, di promozione, di elevazione”.
In ognuna di queste parole vi è un programma, uno stile, un modo di essere Chiesa e di annunciare e testimoniare il Vangelo. Siamo perciò invitati ad essere una Chiesa in uscita – come Papa Francesco desidera definirla –, una comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa e che diventano un polo attrattivo di riferimento, un messaggio vivo di speranza. Tutto questo, mentre noi ci troviamo riuniti in assemblea ecclesiale, vuol dire che desideriamo chiedere allo Spirito Santo che ci insegni a camminare guidati dalla sua luce. E non solo. Il messaggio del profeta Isaia ci invita anche a leggere il presente e a guardare il processo storico che stiamo vivendo con fiducia e con speranza, consapevoli che il tempo delle tenebre e della nebbia si possono dissipare proprio con la luce del Signore risorto. Anche a noi viene detto: “Alza gli occhi intorno e guarda”.
Per saper vedere chi desidera entrare, chi desidera accostarsi, per saper scorgere quei segni di luce che il Signore ha acceso nel nostro cammino. E Dio, ci ricorda Gesù nel Vangelo, è simile ad un agricoltore, il quale ha una sola grande preoccupazione, ovvero che i tralci, cioè noi, siamo uniti a lui che è la vera vite. Ed egli, il padre, l’agricoltore, si prende cura dei tralci perché portiamo molto frutto. Questo è il progetto di Dio per noi, non un progetto di sventura ma un progetto di amore, un progetto di buona riuscita. Questa dinamica di cura di Dio avviene però con l’unione del tralcio con la vite. Senza questa unione il tralcio secca e non può portare frutto. E questa unione noi la viviamo nella grazia battesimale che abbiamo ricevuto e nel banchetto eucaristico nel quale ascoltiamo la Parola, ci nutriamo del Pane dell’eucaristia e siamo spinti a vivere il sacramento dell’amore nelle strade della vita.
Da questa relazione è possibile la conversione pastorale, è possibile un rinnovamento, è possibile ricostruire il tessuto delle nostre comunità cristiane. Da questa relazione con Cristo è possibile compiere quelle sperimentazioni che con creatività vengono incoraggiate dal Cammino Sinodale e dal Magistero di Papa Francesco. Siamo chiamati ad essere perciò un annuncio di accoglienza, una Chiesa inclusiva aperta a tutti. La riflessione di un narratore francese del nostro tempo, convertito dalla vita atea al cristianesimo, sulla missione della Gerusalemme terrena e celeste, dice: “A mio avviso, è necessario riscoprire la storia per poter plasmare il presente. Quando i fratelli diventano fratricidi è perché hanno dimenticato di avere un’origine comune, lo stesso padre o la stessa madre”. In questo caso questi fratelli credono ognuno di essere all’origine della loro storia. E invece all’origine della storia della nostra vita e della comunità ecclesiale vi è la Santissima Trinità, Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo».