Ordinazione diaconale dell’accolito Claudio Ottonello
Giovedì 29 agosto l’Arcivescovo Gian Franco, nella Basilica dei Santi Martiri Turritani a Porto Torres, ha presieduto la celebrazione eucaristica per l’Ordinazione diaconale dell’accolito Claudio Ottonello, della Parrocchia Sacra Famiglia in Sassari.
Di seguito riportiamo il testo dell’omelia tenuta dall’arcivescovo Gian Franco.
«Carissimo Claudio, carissimi fratelli e sorelle,
la liturgia oggi ci presenta colui che è definito l’ultimo profeta dell’Antico Testamento, il primo apostolo di Gesù: San Giovanni Battista. È proprio la logica dell’apostolato, della sequela a Cristo di Giovanni, che alla luce del servizio del Ministero diaconale, rende questa data molto significativa per il dono di grazia che stai e stiamo per ricevere. Nella preghiera di consacrazione diremo e chiederemo “sia immagine del tuo Figlio, che non venne per essere servito ma per servire”.
Il Vangelo di oggi è anche una bella pagina caro Claudio, per uno studioso di diritto canonico e per un esperto di giurisprudenzacome te, perché, come ben sai, nel tardo IV secolo, nel periodo in cui la Chiesa in epoca teodosiana si trovò a dover affrontare il primato della coscienza di fronte ad altri primati, questa pagina fu per i Padri della Chiesa testo e bussola di riferimento.
Giovanni è il discepolo del Messia, è la voce che grida nel deserto, è il precursore e il testimone. Ma egli viene presentato soprattutto come l’amico dello sposo, come colui che indica lo sposo: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv1,29). Nella sua vocazione vi è inscritta la vocazione di ogni araldo, di ogni messaggero del Signore, il quale tiene il dito orientato verso Cristo e non verso sé stesso. Vediamo così prefigurato il senso di ogni ministero nella Chiesa e nella comunità: il ministero è la missione stessa della Chiesa. Gesù definisce Giovanni Battista il più grande dei nati di donna e lo considera una sorta di modello, un punto di riferimento. La sua funzione e il suo modello, che nel passato ha ispirato tanti cammini di sequela, rimangono di grande attualità anche per noi oggi, per il cristiano, per la Chiesa. Giovanni sprona ciascuno di noi a vivere in un incessante dinamismo di conversione e di ricerca del Signore, in un dinamismo di domanda.
Caro Claudio, credo sia nel dinamismo che ha accompagnato la tua stessa esistenza, che a un certo punto nella tua vita ti sei chiesto in profondità chi fosse veramente Gesù e in particolare chi fosse Gesù per te. Che cosa annuncia Giovanni allora come oggi? Che il Regno dei cieli è vicino, che Gesù è presente, che il Messia è presente, che Dio si è fatto prossimo al suo popolo. Egli annuncia la vicinanza di Dio, annuncia la fedeltà di Dio, delle promesse di Dio. Egli, perciò, non parla di sé stesso, ma parla della storia della salvezza. Si inserisce dentro un cammino, dentro un percorso di dialogo tra Dio e l’umanità, aiutando i suoi contemporanei a scoprire il volto di Cristo. E questa è sempre la nostra missione e il nostro obiettivo, in modo particolare una peculiarità del ministero diaconale.
Che cosa caratterizza la vita Giovanni Battista?
Certamente l’austerità, la sua dedizione all’ascolto della Parola nel deserto. La Parola che egli annuncia è stata oggetto di ricerca, di studio, potremmo dire, ma nel senso più ampio di questo termine, proprio di incontro con la voce del Signore. Giovanni, infatti, non si definisce la Parola, ma afferma di essere la voce. Il grande Agostino, commentando questa differenza tra la voce e la Parola, ricorda alla Chiesa del suo tempo e alla Chiesa di tutti i tempi che nessuno di noi è la Parola, ma siamo una voce a disposizione della Parola. Tutto questo ci aiuta a comprendere sempre meglio il mistero e la missione della Chiesa. Questa Parola ha fatto di Giovanni Battista un uomo libero. Un uomo, non solo uno schiavo delle passioni personali, ma un uomo libero da quei condizionamenti sociali che gli avrebbero in qualche modo impedito di essere la voce dello sposo, di essere l’amico dello sposo. È bella la definizione ‘amico dello sposo’, perché ci aiuta a scoprire il ministero diaconale e il servizio della Chiesa in una logica di relazione.
Talvolta si è mal interpretata la visione gerarchica della Chiesa e tutt’ora ancora capita che questa venga interpretata in termini orizzontali, in termini mondani, ma non in termini secondo lo Spirito, non secondo il proprio mistero. È un servizio, un servizio di dedizione, di amicizia con il Signore che porta a spendere la propria vita per proclamare la Buona Novella. Generalmente dei martiri si ricorda soltanto il Dies Natalis, cioè il giorno della morte. Invece per Giovanni, essendo il più grande tra i nati di donna (cf. Mt 11,11), la liturgia ne ricorda anche la nascita, come avviene solo per la Beata Vergine Maria. Questo è segno della sua importanza, della sua qualità nella nostra vita. E quindi la sua morte non è soltanto una morte di testimonianza della Fede, ma di testimonianza della Verità.
Il Vangelo che è stato proclamato ci ricorda che durante la festa, la figlia di Erodiade, Salomè, intraprende una danza in onore del re Erode, che ne resta abbagliato e le concede di chiedergli qualunque cosa. E lei, consultatasi con la madre, chiede la testa di Giovanni. Erode non vorrebbe, ma non può rifiutare perché ha giurato, e così concede la testa del Battista. È una pagina significativa. San Giovanni Crisostomo, commentando questo testo, ci ricorda: “Piangiamo su Erodiade e su coloro che la imitano. Anche oggi vediamo tanti pranzi del genere di quello di Erode. Non si uccide il precursore, ma si lacerano le membra di Cristo”. Per promesse mondane, per promesse non fatte secondo la coscienza, Erode concede la testa di Giovanni Battista. Ecco perché Giovanni Battista è un uomo di diritto e un modello.
Qual è la differenza tra la parresia e il fanatismo religioso?
Questo è un tema sul quale Giovanni Battista ci aiuta tanto a riflettere. Che relazione vi è tra la parresia e la Verità?
Oggi in tanti dibattiti, in tanti scritti, in tante conversazioni, si dice “ma io ho detto la verità, io dico la verità”. Che cos’è la Verità? È un tema che ritorna anche nel processo rivolto a Gesù e che l’Evangelista ci ripropone in questa situazione della fine di Giovanni Battista. La parresia da sola non permette di stabilire se quanto viene affermato sia vero. Spesso la parresia riguarda il modo di parlare e non il contenuto di un discorso. La parresia non significa dire tutto ciò che passa per la testa di una persona. La parresia è anzitutto una virtù etica. Prima di essere una caratteristica del discorso, è una qualità della persona che ne manifesta la statura morale. Ed essa, per essere esercitata in modo autentico, ha bisogno di un vero esercizio di ascesi e richiede un’opzione di fondo. La Verità esiste e si rivela a chi è disponibile a cercarla e riceverla con tutte le sue conseguenze. Giovanni Battista è stato un discepolo della Verità, non di una verità astratta, non di una verità privata, ma della Verità che aveva un volto, che era il Messia.
La parresia non ha nulla a che vedere con l’espressione senza filtri di ciò che si pensa, che spesso diventa un modo di parlare volgare e provocatorio. Noi viviamo in una società e in una cultura dove si cerca il consenso, spesso il consenso ideologico, dove si è segnati e contraddistinti da forme più fondate sul sentimento che sulla ragione. E quindi tutto questo nelle relazioni porta ad opinioni fondate sull’aggressività. Come sottolineava qualche anno fa un pensatore del nostro tempo, il cardinale Gianfranco Ravasi: “il male del nostro tempo è che nei mezzi di comunicazione e nella comunicazione si parla di fatti religiosi ma non vi è la teologia”.
Una religione e una religiosità senza un’autentica teologia rischiano di scadere nel fanatismo. Quindi la parresia non coincide con la Verità. Anche Erode avrebbe potuto dire di agire per parresia, e non era nella menzogna. Essa è una via etica. È un’attitudine interiore di sincerità verso sé stessi. È una questione di onestà intellettuale e di rettitudine morale. È quella che ha animato Cristo, il Verbo di Dio servo-sofferente, simbolo della Verità che non è scesa a compromessi con il male del mondo, ma ha donato sé stesso. In questa prospettiva è bene comprendere l’esercizio del Ministero diaconale e di tutte le altre forme del sacramento dell’Ordine.
Il Concilio Vaticano Secondo ci ricorda che questo ufficio, cioè il ministero, che il Signore ha affidato ai Pastori del suo popolo, è un vero servizio, che nella Sacra Scrittura è chiamato diaconia o ministero. Munus, servitium e ministerium non sono tra loro separati, ma sono tra loro intimamente connessi. Ci ricorda il Concilio vaticano II che il servizio è la forma e la maniera specifica con cui la gerarchia deve formare e guidare il popolo sacerdotale. E allora, se questa via è quella del servizio, il ministero e l’esercizio del ministero non devono cadere nell’inganno della parresia intesa come adesione a princìpi, a prospettive che non sono fondate nella Parola di Dio.
Il Santo Padre Francesco ci ricorda alcuni tratti della parresia. Primo, nel ministero pastorale è importante esercitare la parresia aiutando le persone a discernere ciò che accade nel loro cuore. Quel giudizio formulato nel Vangelo dei confronti di Giovanni è privo di un discernimento fondato sull’interesse, sulla cupidigia, sulla concupiscenza e sulla corruzione. Poi l’evangelizzazione, ci ricorda sempre il Papa, è un’azione liberante, non è proselitismo. L’evangelizzazione non fa perdere la libertà, il proselitismo invece è incapace di creare un percorso religioso in libertà. Nell’evangelizzazione il protagonista è Dio, nel proselitismo non è lui. “L’evangelizzazione – continua il Papa – non viola mai la coscienza, annuncia, semina e aiuta a crescere”. Caro Claudio, a te che tra poco riceverai il libro dei Vangeli, ricordo che la teologia è importante anche per chi studia il diritto e per il servizio che certamente con grande amore eserciterai in questi ambiti nellaChiesa. La teologia rende le persone libere, non le fa dipendere. Il proselitismo invece crea dipendenze e crea schiavitù e non fa crescere le persone. Il proselitismo è ricco di orgoglio, di arroganza e di dominio: è il generatore di ingiustizia. La pagina del Vangelo che abbiamo ascoltato è proprio segnata dall’ingiustizia. Il ministero diaconale, ci ricorda il Concilio Vaticano II, non è un’azione di ascesa ma è un’azione di discesa a immagine di Colui che è venuto per servire e non per essere servito. Anche nella Chiesa antica, nella Chiesa dei Padri, a un certo punto il ministero diaconale e altri ministeri entrarono in una confusione, proprio perché fondati non più sul ministero, sul servizio, ma sul prestigio, sul ruolo, sul denaro, su altre questioni. Origene dice così, parlando dei diaconi e di altri delicati ministeri connessi al diaconato: “Alla funzione sociale e caritativa (cf. Comm in Mat. 16,8) si aggiunge quella di assicurare vari servizi durante le assemblee liturgiche: designazione dei posti durante l’accoglienza dei forestieri e dei pellegrini, l’incarico della gestione delle offerte, la sorveglianza dell’ordine e del silenzio, l’attenzione nello stile delle celebrazioni” (Didascalia). Ma spesso questi servizi non sono svolti in comunione con Colui che presiede la comunità, Cristo servo.
Lo Spirito Santo che ora invochiamo, generi in te, Claudio, susciti in te, nella nostra Chiesa e in ciascuno di noi il vivo desiderio di servire come Cristo stesso ha servito e amato la sua Sposa, così per poter essere riconosciuti nella Gerusalemme celeste anche noi come amici dello Sposo».