Monastero di San Pietro di Sorres: Celebrazione Eucaristica in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo e del conferimento del ministero dell’Accolitato al seminarista Giovanni Masia

30 Giugno 2024 | primo piano

Sabato 29 giugno l’arcivescovo Gian Franco, nel Monastero di San Pietro di Sorres, a Borutta, ha presieduto la Celebrazione eucaristica in occasione della Solennità dei Santi Pietro e Paolo.Durante la celebrazione l’arcivescovo ha conferito al seminarista Giovanni Masia, della parrocchia Sacra Famiglia in Sassari, il ministero dell’Accolitato.

Di seguito pubblichiamo l’omelia dell’arcivescovo Gian Franco:

Questa sera, nella circostanza nella quale celebriamo la solennità dei Santi Pietro e Paolo, motivo di festa per la cara comunità di Sorres, di Borutta, per il Meilogu. Per tutta la diocesi, altro motivo di gioia è il conferimento del ministero dell’Accolitato al lettore Giovanni Masia, della parrocchia della Sacra Famiglia, in cammino verso il ministero presbiterale.

Questi motivi di gioia ci pongono davanti ad una delle pagine più significative sul ministero nella Chiesa, sul senso del ministero nella Chiesa. L’evangelista Matteo ci ricorda uno degli episodi nei quali Gesù, nella regione di Cesarea di Filippo, pone una domanda ai suoi discepoli: “Chi è il Figlio dell’Uomo?” (Mt 16,13).

Per un rabbì del suo tempo, come egli era, è una domanda lecita, una domanda legittima, perché tante erano le domande e gli interrogativi per capire chi fosse il Figlio dell’Uomo. E con spontaneità i discepoli gli rispondono: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» (Mt 16,14). Sono tante le interpretazioni ma Gesù arriva al dunque e passa a porre la domanda dalla gente a coloro che stanno con lui: “Ma voi, chi dite che io sia?” (Mt 16,15).

Gesù desidera porre i discepoli in una situazione di comprensione profonda dell’esperienza che condividono con lui. E infatti è proprio del discepolo conoscere il maestro, avere la consapevolezza per la quale si segue un maestro. Non vi è sequela, non vi è ragione di una sequela che sia autentica, che sia consapevole, senza conoscere, comprendere chi si intende seguire.

Questa domanda oggi riecheggia per la Chiesa, per la Chiesa universale, per la Chiesa turritana. Riecheggia per ciascuno di noi e per te, caro Giovanni. Ogni sequela ha bisogno di approfondire non solo la strada, ma il chi, colui che è oggetto della nostra sequela, che è il centro della nostra sequela. Perché hai scelto di seguire Cristo? Questa domanda è centrale, non solo per te, ma per ogni comunità cristiana.

Oggi ci chiediamo come sia possibile evangelizzare la comunità odierna, la società odierna, il mondo di oggi. Da quale punto occorre partire? Credo che Gesù ci riveli da quale punto essenziale occorre partire: “Ma voi, chi dite che io sia?” (ibid.)

Non solo teoricamente, astrattamente, che rilevanza ha Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, nella nostra vita e nella nostra esistenza? È questa domanda che deve essere posta al centro delle nostre comunità. La Chiesa vive dalla risposta a questa domanda. La Chiesa ringiovanisce nel rispondere a questa domanda. La Chiesa si rigenera rispondendo a questa domanda. È bello che oggi ci poniamo questa domanda in un luogo così significativo come il Monastero di San Pietro di Sorres. Chissà quante volte abbiamosostato in questo luogo per ascoltare la voce di Gesù che ci diceva “Tu chi dici che io sia?”. E quante persone vengono qui, pellegrini in cammino per porsi questa domanda.

Oggi viviamo anche un momento di grande gioia nel vedere che un gruppo di giovani, provenienti dal Vietnam, che hanno risposto a questa domanda e continuano a rispondere a questa domanda,sono il segno della rinascita, del rinnovamento, del ringiovanimento del futuro di questa preziosa comunità. Questo vale per un monastero, ma è altresì valido per una parrocchia; è valido per ogni singola comunità, per una diocesi.

Oggi è ancora più significativo perché ci invita ad uscire dall’abitudine. Ci invita ad uscire dal dare per scontate certe risposte, dalla routine, dal pensare che in modo rutinario noi possiamo edificare la comunità cristiana. Questo è il primo elemento che desidero sottolineare.

Vi è poi un secondo aspetto. Simon Pietro, nel brano del Vangelo proclamato, appare come un bravissimo studente di teologia: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Questo è l’altro elemento che mi pare significativo. Talvolta noi siamo teologicamente perfetti nella teoria, nel rispondere astrattamente, ma nella sequela siamo incapaci di perseguire la via. Questo aspetto è un altro motivo importante per ogni credente, per ogni battezzato, che assume una rilevanza ancor più importante per chi è in cammino verso il Ministero ordinato o per noi che già abbiamo ricevuto la grazia del sacramento dell’Ordine nei diversi gradi, dell’episcopato, del presbiterato, del diaconato.

Possiamo essere bravi teologi, rispondere molto bene, ma solo teoricamente e non nella sequela. Il Signore è alla ricerca di discepoli missionari e Pietro, che qui è un bravo studente, si rivelerà dopo un pessimo discepolo. Caro Giovanni, questo è vero per te, è vero per noi. Per ciascuno di noi. Ma Pietro perché diventerà poi non solo un bravo teologo ma anche un bravo discepolo missionario? Perché la speranza e la fiducia in Cristo gli darà tutte le energie per andare avanti. Perché sarà consapevole che la grazia di Cristo lo aiuterà a capire cosa vuol dire nella vita questa confessione di fede: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Tant’è vero che Gesù gli risponde che è stato bravo ma gli ricorda anche che “né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” (Mt 16,17).

Questa dimensione ci riporta ad una logica della fede incarnata nella vita, incarnata nell’esistenza. Talvolta può esserci la tentazione di pensare che il Signore chiami perfetti discepoli, che il Signore chiami bravi alunni, illustri teologi. Il Signore invece ha chiamato questo povero pescatore di Galilea e ne ha fatto la salda roccia, gli ha dato le chiavi del Regno dei Cieli, lo ha scelto perché ha confidato non nella sua forza ma nella forza dello Spirito.

Questo è un altro segreto per la vita consacrata ma anche per la vita di ogni battezzato. In modo speciale desidero sottolinearlo in rapporto a noi chiamati al Ministero ordinato. Siamo bravi non perché abbiamo letto tutti i libri di teologia. Questo non basta, occorre chiaramente farlo ma è necessario farlo questa consapevolezza: “né carne né sangue te l’hanno rivelato” (Mt 16,17). Questo è il segreto di ogni vocazione. È bello constatare che nel cammino di formazione e di discernimento ho potuto vedere anche in te, Giovanni, acquisire questa consapevolezza di docilità piena, di affidamento alla Chiesa incarnata in un luogo concreto, in un vescovo concreto, in educatori concreti, per portare avanti un discernimento progressivo e graduale senza mai perdere di vista che la chiamata al Ministero non è dovuta ma è una Grazia. La chiamata al Ministero è un dono di Dio e non un mestiere. Questo lo pongo in rilievo per incoraggiarti nel cammino che ti attende, per incoraggiare ciascuno di noi ma anche per porre in evidenza che è il segreto del buon esito del cammino di una vocazione.

Pietro cammina con il Signore ed è chiamato ad essere “pietra”, ad essere forte, ad essere un punto di basamento. Ed egli lo sarà.

Pietro passa attraverso delle fasi complesse, dalla non accettazione che quel Cristo, il Figlio del Dio vivente, dovesse vivere l’esperienza della croce, della morte, della risurrezione. Il suo cuore e i suoi occhi dovranno aprirsi alla luce della risurrezione del Cristo risorto. Dopodiché, ecco che noi rincontriamo Pietro dalla testimonianza degli Atti degli Apostoli in un momento certamente di grande turbolenza. Ed è il momento nel quale il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fu ucciso Giacomo, il fratello di Giovanni, e poi fece arrestare anche Pietro. Pietro che, davanti al supplizio di Cristo fuggì, rinnegò. Ora lo troviamo da protagonista, dedito, in cammino. È passato dall’essere un discepolo astratto ad essere un discepolo concreto, un discepolo nella vita, nell’esistenza. Ha accettato la sfida di scendere in campo e questo gli costò le catene del carcere. Ma quello fu il luogo nel quale sperimentò la libertà.

Questo è l’altro aspetto che credo questa sera possiamo sottolineare pensando alla sfida dell’evangelizzazione in questo momento. Talvolta potrebbe nascere la tentazione di scoraggiarsi e di dire che non c’è più fede, non c’è più vita cristiana, non c’è più recettività del Vangelo. Invece il Signore ci dice che chi toglie i ceppi a chi vuole incatenare i messaggeri di Cristo è Dio stesso. Questi ceppi possono avere tra tanti nomi, una certa cultura, un certo modo di vivere, una certa chiusura, una certa incapacità di comprendere il dono della fede cristiana. Il Signore rende liberi i messaggeri. È proprio della tradizione dei profetti, della tradizione dell’antica alleanza. Egli dona a coloro che sono portatori del lieto annuncio la capacità di camminare, la capacità di annunciare. Egli conduce fuori da ogni prigionia, spezza ogni ceppo. Credo che questo debba incoraggiare quello che Papa Francesco chiama il processo di conversione pastorale, il cammino che abbiamo intrapreso anche noi come Chiesa turritana in comunione con la Chiesa universale.

Pietro diventa per grazia un uomo strappato dalla mano di Erode. Così dicono gli Atti degli apostoli. Ogni apostolo viene strappato dall’Erode di turno. Perché chi guida la Chiesa è Cristo. Lo stesso Paolo afferma, rivolgendosi a Timoteo, che egli ha vissuto la sua esperienza di apostolo nella logica della buona battaglia, della corsa, ma è la fede che lo ha accompagnato e lo ha custodito. Quella fede che Gesù chiese a Pietro: “Ma voi, chi dite che io sia?” (Mt 16,15).

Questa domanda per noi rimane costante, essenziale e basilare. E allora nel benedire oggi e ringraziare il Signore per il dono del tuo cammino, Giovanni, per il dono della bella presenza dei giovani arrivati dal Vietnam, desidero ancora incoraggiare la nostra Chiesa diocesana a creare ambienti, spazi, luoghi dove far riecheggiare e risuonare la domanda di Gesù, affinché possa nascere un vero processo di rinnovata stagione di evangelizzazione>>.

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