Cargeghe: Celebrazione eucaristica con l’amministrazione del sacramento della Confermazione

23 Giugno 2024 | primo piano, Senza categoria

Nel pomeriggio di domenica 23 giugno l’arcivescovo Gian Franco ha presieduto la Celebrazione eucaristica con l’amministrazione del sacramento della Confermazione nella parrocchia dei Santi Quirico e Giulitta, a Cargeghe. Alla celebrazione hanno partecipato anche i cresimandi della parrocchia dei Santi Gavino , Proto e Gianuario di Muros.

Nell’omelia, caratterizzata dal dialogo con i cresimandi, l’arcivescovo ha detto:

«Chi stamani ha partecipato all’Eucaristia penso che abbia notato che le letture di questa sera sono diverse da quelle di stamattina.Questo perché nel calendario liturgico siamo già dentro una grande festa. Sapete quale festa? La festa di San Giovanni Battista. Nel Vangelo sono menzionati i suoi genitori: Zaccaria ed Elisabetta.

Nella Prima Lettura abbiamo sentito: “Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto”. Cosa vuol dire, secondo voi,essere pensati fin dal grembo materno? Significa che Dio ci ha pensati da prima che nascessimo. Vedete questa sera San Giovanni Battista anzitutto ci aiuta a scoprire il senso della nostra vita e che ciascuno di noi è pensato da Dio da sempre. Vuol dire che ciascuno di noi ha ricevuto una chiamata personale per la vita e ciascuno di noi è originale.

Oggi voi venite a contatto con tanti oggetti che sembrano essere preziosi e invece non lo sono, con oggetti che magari sembrano preziosi ma sono delle imitazioni, delle riproduzioni. Gesù stasera ci vuole insegnare, attraverso la vicenda di San Giovanni Battista,che ogni vita, ogni persona è preziosa e lo vuole dire anche a voi. Tra un po’, quando verrete davanti al Vescovo per ricevere il dono dello Spirito Santo, che cosa direte? La prima cosa che direte sarà il vostro nome. Questo vuol dire essere originali, con il proprio nome, con la propria persona.

Ecco, Gesù ha pensato da sempre ciascuno di noi. Per ciascuno ha una chiamata per diventare un progetto originale e non una fotocopia di altri. Per fare questo occorre anche rispondere,bisogna mettersi a disposizione.

San Giovanni Battista ci insegna a scoprire che Dio ha un progetto per ciascuno di noi. Per realizzarlo occorre impegnarsi, occorre vivere non in modo passivo. Bisogna riflettere, farsi aiutare. Eoggi voi ricevete un aiuto, l’aiuto fondamentale proprio per rispondere alla vocazione di ciascuno di noi: lo Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è colui che ci aiuta a capire chi siamo, che cosa il Signore ci propone e come possiamo attuarlo, ci dà le forze, ci accompagna nella vita per attuarlo. Penso che durante il catechismo abbiate studiato i doni dello Spirito Santo. Si chiamano doni dello Spirito Santo che servono per accompagnarci».

L’arcivescovo, proseguendo l’omelia, si poi è rivolto agli adulti:

«Servono anche agli adulti. I due genitori citati nel Vangelo non hanno capito subito come funzionava la storia del progetto di Dio. Hanno avuto un po’ di difficoltà. Il Vangelo ci dice che erano vecchi, sterili e non potevano avere figli. Il Signore entra dentro questa situazione per cambiare tutto, per far nascere la vita. A volte ci può essere la tentazione di pensare che possiamo fare da soli, che da soli comprendiamo tutto, quasi che non avessimo bisogno di Dio nella nostra vita. I genitori di Giovanni Battista ci insegnano che anche loro hanno un po’ faticato.

Anche la Chiesa, che oggi è chiamata da Papa Francesco a non essere sterile, ogni tanto fatica, rischia di essere un po’ vecchia, non generativa, di non dare vita. Questo perché noi ci vogliamo sostituire a Dio. Quando vogliamo rimanere nelle posizioni umane senza affidarci al Signore, allora si è sterili davanti a Dio.Ricordiamo invece che c’è sempre una possibilità di fecondità, una possibilità di rinascita, una possibilità di vita nuova.

Questo è il mio augurio anche per il cammino pastorale che stiamo facendo. Questa celebrazione è stata ben preparata in un cammino con don Matteo, gli educatori, i catechisti, gli animatori, i genitori dei cresimandi di Muros e Cargeghe. È il segno di una conversione pastorale; è un segno di fecondità dove le comunità non si chiudono come castelli ma vivono l’esperienza dell’appartenenza all’unica Chiesa. Come diceva prima don Matteo, le comunità vedono nel Vescovo colui che viene per confermare nella fede, non l’autorità, ma il successore degli Apostoli che conferma nella fede. E allora, ecco, io sono ben contento nel vedere questo cammino che pian piano diventa sempre più di comunione, di condivisione, di partecipazione, di fuoriuscita dalle sterilità delle chiusure, dalle sterilità delle contrapposizioni».

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