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La via del ritorno

ANNO A – III DOMENICA DI PASQUA

At 2,14.22-33; Sal 15; 1Pt 1,17-21; Lc 24,13-35

Ufficio Evangelizzazione e Catechesi – mons. Mario SIMULA

Il tratto di strada che corre tra Gerusalemme ed Emmaus ha due significati e due destinazioni opposte. I discepoli che hanno abbandonato Gerusalemme stanno percorrendo la strada della delusione, del disincanto. Ad ogni passo si sgretola la loro speranza. E’ come se il mondo cadesse sopra la loro fiducia, sopra le loro aspettative. Per lo Sconosciuto, che ad un tratto li accompagna, la strada prende la direzione opposta. Riporta al punto di partenza. E’ da quel punto che prende alimento la novità piena della Pasqua. Sono molto diversi i discorsi. I due discepoli narrano un’attualità distorta, delusa, avvilita. Non sanno spostare il loro sguardo da una visione miope degli avvenimenti che li ha travolti. Il discorso del pellegrino, che si affianca ai loro passi, è pieno di memoria, di prospettiva. Essi guardano, tragicamente, l’oggi. Lo Sconosciuto guarda tutta la storia della salvezza che oggi si compie. Questa visione mi affascina. Tuttavia la tentazione più insistente, più dolorosa, più amara che sperimento nella mia vita, è legata alla fissità dello sguardo. Non riesco a vedere le luci dell’amore che sfolgorano. Guardo soltanto l’oscurità che, piano piano, scende dentro la mia vita e nel mio cuore. Se qualche volta ho il coraggio di andare oltre avviene quando iniziano a risuonare in me le parole dello Sconosciuto: “Tu sei tardo e duro di cuore nel credere. Sei appiattito su un avvenimento che è già superato. Per la prima volta, sento il bisogno di dire a te e a tutti quelli che rischiano di non credere, di guardare indietro, indietro, e scavare nelle parole di Mosè, dei profeti, di Davide, di tutti i credenti di Israele, il loro desiderio del Messia.  Tu il Messia lo hai davanti agli occhi e non lo riconosci. Va’ oltre. Lasciati spalmare sugli occhi il fango della vita. Non ti accorgi che nella memoria che ti metto davanti c’è un desiderio irresistibile dell’incontro con il Figlio di Dio? Non ti accorgi  che se vuoi trovare la Luce devi ripercorrere all’inverso i passi che ti stavano allontanando?”. E’ proprio così, in certi momenti ci viene molto difficile credere che la morte di Gesù di Nazareth su quella croce, è un parto meraviglioso di vita. Questo è il segreto di Gesù: nella sua morte c’è tutta la vita. Lo ha capito il centurione che, vedendolo morire in quel modo, crede nel Dio della vita: Gesù, uomo di Nazareth, Figlio di Dio. Vorrei poter gridare il travaglio della mia anima e riuscire a manifestare il meraviglioso duello tra la morte e la vita. Vorrei riuscire a gridare la vittoria della vita. Gesù accetta di arrivare fino alla casa di Emmaus. E’ preziosa quella casa. E’ la casa dell’assemblea che prega. Lungo il viaggio Gesù aveva donato l’ebbrezza della sua Parola. Dentro la casa dona il Pane dell’immortalità. Parola e Pane svelano il mistero. Quegli occhi stanchi, vicini alla cecità, d’improvviso, vengono abbagliati da un Pane che viene spezzato e donato. Nessuno pronuncia il nome di Gesù. Quel Pane è Gesù. Il Risorto. Il Vivente. Il cuore dei due discepoli, stanco e mortificato nelle aspettative, sperimenta un fuoco inatteso. Brucia come un roveto ardente nel quale le fiamme della Pasqua divampano. Pervadono. Purificano ogni cosa. Diventano fonte di energia. E mentre Gesù scompare alla loro vista i due di Emmaus ritrovano la Luce. Ritrovano il Vigore delle gambe. Ritrovano l’Energia del cuore. E corrono corrono ritornando sui loro passi. E’ impossibile ormai trattenere la gioia, lo stupore, l’inattesa rivelazione. Credo che mai come oggi siamo messi davanti alla nudità della nostra fede povera. Persone stanche di Gesù Cristo. Comunità abituate a Gesù Cristo. Mentre Gesù vuole da noi persone che ogni giorno vivono la loro scoperta. Quando mi accorgo che il mio cuore rallenta il passo, capisco che  mi sto abituando a dire parole su Gesù, a raccontare fatti di cronaca che non mi appartengono. Non sto dicendo il mio amore. Non sto dichiarando la mia adesione. Non sto annunciando il mio abbandono incondizionato nelle sue mani. Eppure Dio non mi dona la vocazione di annunciare un morto. Ha messo nel mio cuore una vocazione che grida la vita. Devo fare ancora infiniti passi, come un principiante della fede che non riesce ad andare oltre il latte. Che ha perso lo stupore. Che rischia di non trovare mai il coraggio irresistibile di una notizia per la quale vale la pena di dare la vita. La mia fede zoppica. La mi fede è incerta. La mia fede sembra non sostenermi in certi snodi cruciali dell’esistenza. La fede mi appare smarrita ai pensieri e al cuore. La mia fede non si tocca con mano nella mia esistenza. Gesù, Sconosciuto per amore, si mette accanto a me per non crearmi soggezione. Vuole che mi sfoghi con Lui nelle mie delusioni; vuole che arrivi, ascoltandolo, al traguardo di una fede che ama. Su quella croce Lui è appeso e le sue piaghe sono sempre incandescenti. Mi vuol dire: “Io non ti ho salvato con oro e argento, con cose venali. Io ho messo sulla bilancia la mia vita e il mio amore. Non essere più incredulo ma credente”. 

Gesù, che povero discepolo hai scelto. Sto arrivo al giro di boa definitivo della mia vita e ancora discuto con me stesso se credere o non credere. Non è una questione di pensieri o di dottrine. Nella testa tutto  sarebbe facile. Gesù, è una questione di cuore. E’ l’amore in gioco. E’ la verifica delle mie scelte in gioco. Gesù, tu sei così delicato verso di me da non farmi mai violenza. Ti racconti.  Aspetti, paziente, che io intraveda, nella tua narrazione, la tua presenza che vuole soltanto attrarmi. Gesù, Tu sai che “il mio credo è sicuro”. Gesù, i conti non tornano più quando guardi il mio cuore perché non è altrettanto sicuro l’amore. Gesù, aiutami a rimanere a lungo in ascolto mentre tu parli. Gesù, aiutami a rimanere a lungo in contemplazione mentre tu  ti doni, Pane vivo e Sangue profumato. Gesù, hai capito che i miei passi non possono finire ad Emmaus. Per questo ti riveli e, senza accompagnarmi, mi riconduci fino a Gerusalemme. Quello è il luogo delle memorie che salvano. Quello è il luogo nel quale devo piantare la mia tenda per abbeverarmi di te. Quello è il luogo dal quale riprendo la strada per andare oltre la Città Santa. Per andare ad incontrare tante città sante, piccole e grandi, ricche e povere, piene di miserie e di opulenza. Gesù, devo riconoscere che tu non mi  metti davanti ad alternative. Gesù, l’unica strada è andare. Gesù, l’unico amore è accorgermi. Gesù, l’unica compagnia è l’odore dell’umanità. 

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