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Quando “non c’è Cristo che tenga”

ANNO C – XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Am 6,1.4-7 | Sal 145 | 1Tm 6,11-16 | Lc 16,19-31

Ufficio Comunicazioni Sociali – don Michele MURGIA

Concentrati su se stessi e mai preoccupati per gli altri: sono i farisei di ieri e di oggi, che usano il sentimento e gli apparati religiosi per ricercare esclusivamente la propria realizzazione, la propria salvezza, la propria visione di perfezione davanti a un dio costruito ad hoc. Nel loro fantasioso mondo interiore costruiscono camere a tenuta stagna in cui Lazzaro non può entrare -e nemmeno Dio!-, in cui nessuna variante alla loro visione può essere accolta… e poco importa se quelle gabbie dell’anima siano dorate o fatte di fango: purtroppo egoismo e arroganza possono essere caratteri dominanti anche dell’uomo più indigente. Ad aggiungere tensione al racconto del Vangelo domenicale, contribuisce una conclusione che decreta l’impossibilità del rimedio: la vita di Lazzaro, con le sue disgrazie prima e con il premio eterno dopo, è l’espressione definitiva di un giudizio che alimenta senza fine il tormento dell’epulone; mentre la ricchezza isolante del secondo è l’origine mai valutata e risolta dei tormenti (ormai finiti) di Lazzaro. Negli inferi il ricco continua il proprio isolamento come una condanna che la Legge e i Profeti non sono riusciti a evitargli e, di fronte alle sue richieste tardive, l’unica constatazione possibile è che per chi pensa solo a sé la Resurrezione è inutile… “non c’è Cristo che tenga”!

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