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Questo Gesù ci ha sconvolti

DOMENICA DI PASQUA DI RESURREZIONE

At 10,34a.37-43 | Sal 117 | Col 3,1-4 | Gv 20,1-9

Ufficio Evangelizzazione e Catechesi – mons. Mario SIMULA

«Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?». «La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è risorto: precede i suoi in Galilea».

Si parte dalla testimonianza per condividere un’esperienza. La Pasqua vista con gli occhi di Maria, appassionata del Signore, guarita dal suo amore e, oggi, testimone della sua Risurrezione. Vorrei avere gli occhi di questa donna innamorata, il battito del suo cuore, la fretta del suo passo, i gesti delle sue mani e la scioltezza della sua lingua e ancora nelle narici il profumo dell’unguento da lei versato sul Signore, per poter diventare un urlo di festa che racconti al mondo la gioia della morte e della risurrezione di Gesù. La Pasqua possiamo raccontarla soprattutto con la vita, con la felicità degli occhi, con la vibrazione di tutta la persona, coinvolta in un evento di novità inaudita, impensabile e unica. “Il Signore è risorto!”. Nella mirabile Veglia Pasquale si è riaccesa la Luce di Cristo, il Cero grandioso che ricorda il Vivente che non muore più e che accompagna le nostre nascite e le nostre morti come scansione di un’esistenza destinata alla Pasqua dell’Agnello, Cristo, nel Suo Regno. In questa Santissima Notte abbiamo immerso i nostri corpi nell’acqua che ci libera dai fermenti di ogni malizia, abbiamo dissetato la nostra arsura abbeverandoci alle fonti della Parola di Dio che raccontava le meraviglie fatte dal Signore: quelle di ieri, attuali anche oggi e sempre. Sono la nostra storia. La memoria viva e attuale della sua Presenza accanto alla nostra esperienza quotidiana, fragile, dolente e sempre incerta. Le nostre chiese hanno riascoltato l’Alleluia della speranza. E lo hanno gridato al mondo. E noi siamo attoniti, stupiti, increduli e ricolmi di allegrezza, davanti ad una donna che non può contenere nel cuore la felicità che scoppia e che diventa invito ai discepoli: “Mi ha detto che vi precederà in Galilea. Là lo vedrete!”. Anche gli amici di Gesù, reduci e increduli, prostrati da una guerra del cuore e della fede, ritrovano le strade della fiducia, ancora esitante, ma aperta al grande Annuncio. E corrono al sepolcro per toccare con mano, anche loro, che ormai la morte è vinta. Rimangono soltanto i teli e il sudario. Tracce di un dramma. Testimonianza di “una cosa nuova”, mai udita e mai vista. A noi rimane la grazia di aver sentito e accolto il racconto. Rimane la beatitudine di averlo custodito e di custodirlo nel cuore e di tramandarlo. Rimane l’esperienza di sperimentarlo ogni giorno nella misericordia fragrante del Signore. Ma rimane anche l’esortazione severa e incoraggiante di Paolo:

“Fratelli, non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con àzzimi di sincerità e di verità”.

Nel giorno che ha fatto il Signore, può sopravvivere nelle nostre comunità pasquali il lievito vecchio, il lievito di malizia e di perversità, il lievito della divisione e dell’esclusione? No, se vogliamo che il Cero abbagli il cuore. Ritroviamo gli azzimi di sincerità e di verità. Prima di illuderci di aver vissuto quelli della carità e dell’amore. Essere fermento buono per fermentare pasta nuova.

Gesù, Maria non ti riconosce subito, i discepoli hanno paura di te, come di un fantasma. Tommaso è ostinatamente incredulo. Nel primo incontro, con te Risorto, Gesù, prevale il dubbio, prevale l’oscurità di sempre, prevale la mia povera ricerca fatta di pensieri, ma assente col cuore. Gesù, eppure tu stai lasciando tracce inspiegabili quando ti presenti. “Che sia proprio Lui?”. I poveri discepoli di Emmaus sono tristi per questa loro esitazione: desiderano ma non credono. Gesù, abbiamo bisogno delle tue parole di fuoco che incendino i nostri cuori. Gesù, abbiamo bisogno di quel pane spezzato e di quel vino donato, perché avvenga il riconoscimento completo e appagante. Gesù, Maria può raccontarci quale è la strada, e la strada è semplice: passare dall’incertezza, all’accoglienza del nostro nome. Se tu mi chiami mi dici: Mario, Margherita, Maria, io sussulto, in un attimo passo alla gioia dilagante, non posso anche io non chiamarti con confidenza, con tenerezza, col cuore in subbuglio: “Rabbunì! Maestro”. E si ravviva il desiderio di abbracciare i tuoi piedi, di lasciarti tracce di profumo amoroso, di piangere per commozione e per stupore, di asciugarti i piedi con i cappelli.Gesù, la Pasqua è questo incontro dolcissimo con te, pieno di attenzioni, di sguardi, di cure. Siamo tutti scappati nella notte. Adesso tu ci vieni incontro, ci cerchi per abbracciarci, ci guardi per commuoverci, ci tocchi per rassicurarci, ci ascolti perché noi possiamo parlare a cuore aperto. Gesù, sono pronto alle sorprese meno attese. “Pietro mi ami tu?” che confusione nel mio cuore! Che umiliazione! Però oso risponderti: “Tu sai che ti voglio bene”. E insisti, insisti. Però non riesco ad andare oltre quel “Ti voglio bene”. Tu Gesù, mi accetti ugualmente. Mi guardi ugualmente con tenerezza indicibile. Mi prendi per mano e mi dai la forza di dirti: “Signore, tu sai che ti amo”. E intanto prepari l’alba di quel giorno nel quale avrò la forza, la gioia, l’estasi di dirti: “Gesù, ti amo, ti amo, ti amo”, non ho il coraggio di guardarti negli occhi. Tu mi hai già scrutato nel cuore. Gesù, io canto per te, grido per te, sono felice per te. Ti sto riconoscendo “mio Signore e mio Dio” e mi sento privilegiato, perché tu, mio Signore e mio Dio, mi hai scelto. Io valgo meno della polvere che calpesti, valgo meno degli insulti che ricevi, valgo meno delle condanne infami che cadono sulla tua testa. Eppure tu, Gesù, mi scegli. Che cosa ti spinge ad amarmi così pazzamente? Che cosa ti spinge a distrarre il tuo sguardo dai tuoi passi, per fissare i miei occhi smarriti, sfuggenti e indecifrabili? Che cosa ti spinge ad amarmi in questo modo? Una cosa tu conosci bene: io sono un miscuglio di tradimenti e di dichiarazioni d’amore. Sono un residuo di fedeltà cercata e di incoerenza vissuta. Sono un povero che, davanti al tuo ingresso in Gerusalemme, si esalta sperando in una sorte fortunata. Quando però, Gesù, capisco il prezzo necessario per seguirti, divento come un ubriaco. Un po’ mi nascondo, un po’ mi affaccio per curiosare, ma soprattutto, mi sento sconvolto dai rimorsi. Che cosa non hai fatto tu, per me, Gesù, che adesso io debba unirmi al vociare scomposto della gente per condannarti, anch’io, con una voce stonata e stridula? Aiutami a venire allo scoperto. Ti seguo fino a quella croce sospesa tra cielo e terra, come il cireneo, che sa prendere ogni giorno la sua croce, e seguirti. Come la Veronica che sa asciugare il tuo volto e ne rimane folgorata nel cuore per sempre. Come le donne che piangono su di te e dimenticano che devono piangere sui loro peccati. Io non so fare molto di più, Gesù. Forse molto di meno. Vorrei scappare Gesù. Vorrei perdermi nei deserti della mia aridità. Vorrei essere inghiottito dalla terra. Ma il tuo sguardo intenso, mi dissuade e mi dice: “Vieni. Fin dove puoi. Come puoi. Ma vieni. Anche il tuo amore incolore può essermi di conforto in questo momento disperato di dolore”. Gesù, sto arrancando lungo i tornanti del calvario. Vorrei sedermi e lasciarti andare solo. Vorrei scappare e lasciarti solo. Ma l’amore mi spinge. Che amore strano, il mio! Ti rinnega e ti desidera. Ti disprezza e ti esalta. Ti rifiuta e ti cerca. Che amore strano è il mio! Eppure vengo con te. Fra qualche giorno prenderai il mio cuore e lo ricostruirai nuovo. Ti sporcherai le mani con il mio sangue, con i miei rifiuti, con le mie contraddizioni, con le mie paure, con i miei peccati. Eppure mi darai un cuore nuovo, un cuore che prova passione per te, che sa reggere il tuo sguardo, che sa piangere di gioia e di dolore, che sa essere felice anche quando sputa sangue. Che prova ad essere come il tuo cuore. Tu, ci hai messo tutto di te. Perché devo deturpare la tua opera prodigiosa? Verrò con te a qualsiasi costo, anche ferito dal male; ma verrò con te perché il tuo cuore può, desidera, vuole contenermi. Sono consumato dal pianto Gesù. E’ una tua dolcissima grazia. Anche perché, guardandoti, attraverso le lacrime, scorgo che anche tu piangi con me.

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